Seguendo la divisione accademica che attraversa il Paese raccogliamo qui il vasto ambito di materie comprese nelle definizioni di "scienze umanistiche" e "scienze sociali". Le persone, il loro vivere in società e tutto ciò che vi ruota attorno.
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Morte di un diciottenne
Quest'anno ricorre il quarantennale di un omicidio compiuto con modalità squadriste, è imperativo categorico di ogni comunista il non avere tabù nell'analizzare i fatti con gli strumenti del materialismo storico e dialettico. Qualche ultrasinistro analizza le contrapposizioni degli anni Settanta facendo esercizio di entrelacement, facendo cioè aderire a forza gli schemi usati per analizzare la guerra civile italiana seguente l'otto settembre 1943 al periodo scellerato dei cosiddetti "anni di piombo", arruolando sincreticamente i "combattenti" degli anni Settanta nell'epopea degli eroi partigiani antifascisti. No, queste modalità non mi appartengono, gli strumenti del materialismo storico e dialettico impongono di procedere nell'analisi della fenomenologia del reale con un'acribia ecdotica che trascende le semplificazioni viscerali per arrivare a cogliere il significato reale del fatto scevro da condizionamenti, quarant'anni sono un tempo sufficiente per capire.
I nonluoghi venti anni dopo: Augè e la preistoria della società planetaria
Mai come oggi la questione dello spazio diventa un tema politico e sociale di fondamentale importanza. Più il luogo viene annullato dalle tecnologie della telecomunicazione e dei trasporti, più si sente il bisogno di riappropriarsene. È in gioco una continua battaglia per lo spazio che divide chi il territorio può abitarlo e costruirvi progetti di vita e chi dal territorio deve fuggire a causa di guerre, malattie, persecuzioni politiche, catastrofi naturali. Il conflitto moderno è per l’accesso al luogo dove si possa immaginare un futuro, un accesso però spesso negato, in nome di timori irrazionali o di slogan propagandistici che fanno leva sulla paura. Per gli ultimi del mondo, per gli sconfitti della globalizzazione, le frontiere diventano così barriere invalicabili che definiscono una geografia globale della marginalità la cui drammaticità emerge in tutta la sua irruenza emotiva di fronte al moltiplicarsi di desolanti campi profughi o alle sempre più frequenti tragedie che si consumano al largo delle coste di Lampedusa.
“Ad un tratto nel vuoto della finestra si profilò a mezza vita la figura di un ufficiale tedesco. Era piccolo e con un viso freddo pieno di ferocia. Dopo avermi osservato a lungo mi disse: - Come ti chiami? – Chiodi Pietro. – Che mestiere facevi? – Il professore. – Quanti anni hai? – Ventinove. –“
da “Banditi” di Pietro Chiodi
L’altro intervento della giornata di studi in memoria di Pietro Chiodi su cui vorrei soffermarmi è stato quello di Andrea Mecacci, professore di Estetica presso l’Università degli Studi di Firenze, che ha concentrato il suo discorso su Banditi, il diario dell’esperienza partigiana vissuta da Chiodi. Il libro fa capire chi era quest’uomo, fa comprendere come senza l’esperienza raccontata in queste pagine probabilmente non sarebbe stato possibile neanche il suo magistero, che è innanzitutto un “magistero umano, nel più alto senso del termine”.
“Fuori si sentono voci tranquille di passanti e grida di bambini. Un terribile pensiero mi prende. Perché mi sono impeganato in questa lotta? Perché sono qui quando tanti più sani e forti di me vivono tranquilli sfruttando la situazione in ogni modo? […] Mi ricordo con precisione: una strada piena di sangue e un carro con quattro cadaveri vicino al Mussotto. Il cantoniere che dice: <È meglio morire che sopportare questo >. Sì è allora che ho deciso di gettarmi allo sbaraglio. Avevo sempre odiato il fascismo ma da quel momento avevo sentito che non avrei più potuto vivere in un mondo che accettava qualcosa di simile, fra gente che non insorgeva pazza di furore, contro queste belve. Una strana pace mi invade l’animo a questo pensiero. Ripeto dentro di me: < Non potevo vivere accettando qualcosa di simile. Non sarei più stato degno di vivere ”
da “Banditi” di Pietro Chiodi
Quanto v'è di certo nella morte è un po' mitigato da quanto v'è d'incerto: è un indefinito nel tempo, che ha in sé qualche cosa dell'infinito e di ciò che chiamiamo eternità.
Jean de La Bruyère
In questi giorni (15-16-17 maggio) si è tenuto, in vari luoghi di rilevanza della città di Firenze (Palazzo Vecchio, Gabinetto Viessieux, Biblioteca delle Oblate, Sinagoga e altri), il Festival delle religioni, organizzato dalla dottoressa in filosofia Francesca Campana Comparini, che come sottotitolo ha avuto “anadareoltre”, perché, come si legge nel volantino “è arrivato il momento di andare oltre, di prendere coscienza non solo della pluralità dell’esistenza ma di riconoscere il nostro volto in quello di chi ci sta di fronte, come disse Levinas. Oltre il fanatismo, oltre la mortificazione della vita, della razza, delle idee e infine dell’uomo.” Tra le varie conferenze che hanno visto ospiti importanti e noti quali Zygmut Bauman, Piergiorgio Odifreddi, Valdo Spini, Vincenzo Cantone, Ennio Morricone e tanti altri, presso l’Altana delle Oblate c’è stata quella che vedeva come relatori Paolo Ruffini, giornalista e direttore di TV2000, Vito Mancuso, teologo e scrittore di successo e Sergio Givone, filosofo di Estetica presso l’Università degli Studi di Firenze ed ex Assessore alla Cultura. Comparini dà avvio al dibattito citando le parole di Sant’Agostino: “non uscire da te stesso; rientra in te: nell’intimo dell’uomo risiede la verità, e se troverai che la tua natura è mutevole, trascendi anche te stesso […] Tendi pertanto là dove si accende il lume vero della ragione” e poi passa la parola a Ruffini.
In vista dell'iniziativa di presentazione del progetto "Ritorno al passato", pubblichiamo quest'intervista a cura di Alessandro Zabban
Il motore della storia.
Intervista a Ezio Gallori
1) Hai attraversato anni di grande cambiamento per il Paese, che hanno riguardato anche il mondo del lavoro. Com'è mutata la figura del sindacalista?
Il sindacalista di prima era un personaggio che innanzitutto lavorava, oggi invece la sua figura si è professionalizzata. Per alcuni è diventato un modo per fare carriera: alcuni rappresentanti dei lavoratori sono diventati deputati o dirigenti di azienda (non parlo solo di Moretti, il caso più noto, che è passato dalla Filt-Cgil a dirigere le Ferrovie dello Stato, per poi passare recentemente a Finmeccanica).
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