Mercoledì, 04 Giugno 2014 00:00

Far finta di scegliere - Intervista ad Ascanio Celestini

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Quando si chiude il sipario e Ascanio Celestini esce fuori di scena, lo spettatore, tra gli ultimi applausi e il brusio della folla, è costretto a fare i conti con la realtà, quella realtà che durante lo spettacolo "Discorsi alla Nazione" si combina lentamente alla bizzarra immagine di un paese afflitto da una guerra civile, il cui problema principale è però la pioggia incessante.

(D'altra parte è proprio l'autore a spiegarci che in guerra possono morire in molti ma mai tutti, la pioggia, invece, colpisce proprio tutti)

Piove, c'è la guerra e dal balcone di un fantomatico condominio appaiono strani personaggi che espongono la loro idea di società, la loro idea di politica. Aspiranti tiranni che rinunciano alla maschera democratica per parlare apertamente senza la necessità di omettere i dettagli più scomodi della propria visione del mondo.


Risate amare, profonde riflessioni e dubbi irrisolti; Ascanio Celestini è forse l'interprete più originale dell'alto compito che è proprio della satira, con la tenacia di chi - per dirla con le parole di Valerio Magrelli - "in una risata liberatoria, riesce a nascondere il sassolino nella scarpa, il bruscolo nell'occhio, il proverbiale pisello che, sotto i venti materassi della principessa, le impedisce di dormire”

Quando si chiude il sipario e l'eco degli ultimi applausi è ormai svanito, le immagini apparentemente bizzarre raccontate da Celestini si trasformano in un grande specchio in cui lo spettatore è costretto a rivedersi ma senza il beneficio della finzione, perché quando l'attore esce fuori di scena, a farci compagnia rimane solo la realtà.

1) “Discorsi alla nazione” è uno spettacolo 'work in progress', che in questo lungo tour ha visto il proprio perfezionamento attraverso l'influenza delle vicende legate all'attualità politica: Da dove  nasce l'idea di questo spettacolo?

Ci sono molte versioni di Discorsi alla Nazione. Una parte di quei racconti erano stati scritti per il teatro, ma anche per una trasmissione televisiva durante la quale raccontavo brevi storie e poi sono confluiti insieme ad altri nel libro “Io cammino in fila indiana”. Ho fatto delle serate con alcuni di essi, ma non erano spettacoli con una vera e propria drammaturgia. Poi nel 2012 Jean Louis Colinet, direttore del Théâtre National de Bruxelles e del Festival de Liège mi ha proposto una regia in Belgio. Così ho iniziato a lavorare con l’attore francofono David Murgia. Ho pensato ad una specie di laboratorio. Dovevo capire che tipo di attore era. E anche io dovevo farmi conoscere da lui. Volevo mettere a disposizione degli strumenti e non imporre una regia. Gli ho dato un racconto alla volta, poi alcuni glieli ho cambiati e ho scritto alcuni testi nuovi. Contemporaneamente ho iniziato a sperimentare in Italia una mia versione dello spettacolo modificando ulteriormente il testo. In queste settimane è stata pubblicata in Francia la traduzione francese di “Io cammino in fila indiana” che raccoglie i racconti editi in Italia più una decina che ho scritto dopo. Ora ci sono almeno quattro Discorsi alla Nazione: i racconti della pubblicazione italiana, quelli dei due spettacoli e l’ultimo del libro francese. In tutti ho voluto costruire una drammaturgia semplice che ruota attorno a meccanismi elementari. Sono come ingranaggi che si inceppano. Un uomo con l’ombrello che entra in conflitto con quello che ne è sprovvisto, uno che ha la pistola in tasca e non se ne può disfare, uno che spiega per quale motivo spara dalla finestra, ecc… Persone che vivono sulla soglia tra la convivenza e il conflitto e la loro unica possibilità di evoluzione è inevitabilmente lo scontro.

2) Nelle parole di un tiranno che parla al popolo o proprio in una parte di quel popolo che prova a celare il proprio status di sfruttato riversando la propria rabbia nei confronti di chi sfruttato lo è ancora di più, esce fuori con  forza un tema ricorrente nel suo lavoro, ovvero quello della violenza verbale. In che modo l'aver sdoganato un certo linguaggio e una certa modalità di trattare alcuni temi, ha cambiato il nostro Paese in questi ultimi vent'anni?

Il legame significante tra le parole e le cose implica che non solo le cose che cambiano modificano le parole, ma anche le parole riescono a modificare la nostra relazione con le cose. Quando in Ruanda venti anni fa gli Hutu uccisero un milione di Tutsi in tre mesi, arrivarono a tanto perché c’era stata anche una mutazione linguistica. Gli scontri avevano una profonda radice culturale che era stata alimentata dal colonialismo. Da un secolo gli europei gli facevano lezioni di razzismo fino a convincerli che tra Tutsi e Hutu ci fosse una vera differenza. Quando s’è arrivati al genocidio i Tutsi venivano chiamati scarafaggi. Uccidere un milione di persone è un crimine inconcepibile. Sterminare un milione di scarafaggi è un servizio per la comunità.

La stessa cosa accade da noi. L’omofobia e il maschilismo soft, un razzismo giustificato dalla crisi economica o dalla paura dell’invasione, l’imperialismo nascosto in termini come “missione umanitaria”, “bombardamento chirurgico” e “peacekeeping” modificano la percezione del reale. Arriveremo a chiamare “condivisione del divertimento” la violenza sessuale?

3) A conclusione del suo spettacolo si cimenta in un'amara constatazione del mutamento avvenuto in gran parte del vecchio popolo della sinistra italiana, mutamento che ha portato all'acquisizione del punto di vista dell'avversario di classe e di una conseguente abiura della propria cultura politica. Questo cambiamento per certi aspetti repentino, nascondeva forse un intimo ed inconfessabile desiderio di trasformarsi in un qualcosa di diverso e per certi aspetti opposto rispetto a quanto si era?

Il filosofo Norberto Bobbio si occupò della distinzione tra destra e sinistra venti anni fa in un piccolo libro. In un periodo nel quale la totalità delle istituzioni della politica (partiti e sindacati soprattutto) sembra schiacciata su posizioni capitaliste vale la pena ricordare il centro di quel testo. Tutto ruota attorno all’idea di uguaglianza. Non che la sinistra la vuole, mentre la destra la combatte. È che per una persona di sinistra è insostenibile una società senza uguaglianza, mentre per una persona di destra è ineluttabile che la disuguaglianza permanga e forse è anche un incentivo per premiare i più meritevoli.

Visto che la società capitalista è fondata sulle gerarchie e dunque sulle disuguaglianze è impensabile che una persona di sinistra possa considerarla giusta o per lo meno sopportabile. Il fatto che troviamo spesso esponenti (e anche elettori) di partiti apparentemente di sinistra dichiararsi a favore di scelte che squilibrano la società sempre più a favore dei più ricchi è il sintomo di una confusione ideologica dietro la quale si nascondo privilegi e giochi di potere. Ma anche negli strati più bassi avanza il pensiero di destra, cioè tra quelle persone che dovrebbero essere coscienti che questo squilibrio è contro di loro. In questi anni ci stanno convincendo che le ideologie sono forme del passato, mentre l’ideologia è una visione del mondo con la quale confrontarsi e attraverso la quale cercare di comprendere la propria condizione. Senza una visione del mondo possono convincerci di qualsiasi cosa, anche che il binomio destra/sinistra si deve trasformare a favore di una società di ambidestri.

4) Il linguaggio usato nel suo spettacolo ci restituisce quella dimensione del politico in cui c'è chi parla dal pulpito perché ha il suo popolo pronto ad applaudire, vi sono gli slogan perché servono a descrivere meglio un orizzonte comune e c'è la politica perché con essa l'uomo si eleva e riesce a dotarsi di quegli strumenti che gli permettono di esprimere il proprio disagio e la propria idea di mondo. Con l'avvento dei social network il linguaggio della politica e la politica stessa hanno subito un radicale cambiamento visto dai più come un'importante rivoluzione. Strumento in grado di garantire partecipazione o piattaforma in cui il populismo trova terreno fertile; Qual è la sua opinione in merito al rapporto tra politica e rete?

Ritengo sbagliato parlare della rete considerandolo uno strumento a parte rispetto ad altri. Ad esempio il successo di Grillo nasce apparentemente nella rete, ma è solo una parte della realtà. Lui è conosciuto soprattutto come personaggio della televisione. Da lì è stato cacciato, ma comunque da lì proviene e ha ottenuto il successo. Il suo blog è stato un rifugio dal quale affacciarsi come da un balcone. Sotto quel balcone c’è un piccolo popolo che lo segue in rete, ma soprattutto la massa che lo ascolta di rimbalzo attraverso gli altri mezzi di comunicazione. Quando dice che non andrà in televisione perché gli fa schifo, la maggior parte delle persone apprende la notizia proprio dalla televisione.
La rete è la prova che per muovere idee e comunicare non basta un solo mezzo. È come il percorso di un viaggiatore che fa il giro del mondo. C’è il pazzo che lo fa in bicicletta o in barca a vela, ma per girarlo davvero senza porsi dei limiti (stare solo in mare o solo per terra, correre o andare piano) bisogna usare molti mezzi: treno, aereo, automobile, a piedi…

5) Nel nostro paese la satira, strumento che forse con maggiore efficacia di altri può sollevare temi che spesso vengono ignorati, ha sempre subito pesanti attacchi per mano di censori la cui determinazione è sempre apparsa eccessiva ed ingiustificata. Perché ancora oggi la satira – che per brevità definiremo come l'esortare alla riflessione attraverso un'amara risata – fa così paura al potere?”

Ci sono molti poteri e quello dei politici che si scagliano apertamente contro chi li infastidisce è solo uno. C’è il potere della politica intesa come sistema relazionale che tende ad eliminare il corpo estraneo, non il più dannoso, ma quello che non fa tornare i conti. Il potere delle convenzioni secondo le quali certe cose devono essere fatte in un certo modo, non nel migliore, ma solo nella maniera consolidata. C’è un potere tecnico secondo il quale, per esempio, per poter accedere ad un fondo pubblico un artista deve saper partecipare ad un complicatissimo bando, perciò alla fine non vince il miglior artista, ma il miglior ragioniere. Sono molti i sistemi che sono solo parzialmente aperti, ma solo in funzione del fatto che una chiusura totale denuncerebbe la loro ingiustizia e non darebbe la possibilità di far accedere, di tanto in tanto, frammenti esterni da inglobare e omologare.

Foto di Maila Iacovelli e Fabio Zayed liberamente tratta da informazione.it

Ultima modifica il Martedì, 03 Giugno 2014 23:12
Calogero Laneri

Nato in Sicilia, studia Scienze Politiche presso l'Università degli Studi di Parma. Sin da ragazzo si appassiona alla politica e da allora sta cercando di smettere, senza grandi risultati.

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