Licata è una città simbolo ancora oggi di quello che vuol dire crisi in Sicilia: fino agli anni ’60 le raffineria di zolfo site ancora oggi (in ruderi) nel waterfront portuale avevano costituito per l’intera comunità un importante indotto economico. Con lo smantellamento dell’indotto industriale la crisi del settore agricolo e della pesca iniziò a pesare nell’ economia cittadina con ripercussioni sull’hinteland stesso. Crisi dalla quale l’intera comunità non si è mai ripresa; dagli anni ’60 ad oggi è stato un lento e inesorabile vivacchiare, modello su piccola scala di un più grande rappresentato dal piano regionale. L’emigrazione che torna prepotente non solo verso il Nord “produttivo” ma anche e soprattutto verso mete estere (Germania, Belgio e così via). Un popolo quello siciliano estremamente orgoglioso, il quale però poche volte, evidentemente oppresso da mafie e corruzione è riuscito a inscenare tutto il proprio dissenso e la propria non omologazione. Episodio cardine da questo punto di vista fu la vera e propria sommossa popolare che interessò Licata nel caldo e afoso Luglio del 1960.
Il disagio sociale era diventato insostenibile, in pochissimi mesi dall’inizio di quell’anno ben 1300 lavoratori erano stati costretti a cercar migliori fortune fuori dalla terra natia. Quel 5 Luglio andò in scena una sommossa popolare, un moto d’orgoglio di una collettività.
Il blocco della stazione, il grande corteo nelle vie centrali e infine il bagno di sangue. La violenza colpì questo remoto angolo d’Italia, e l’accaduto è rimasto per tanti anni sopito quasi nascosto forse a voler arginare altri moti d’orgoglio di un popolo generoso e storicamente incline alla lotta (troppo spesso ostruita dai poteri forti).
Quel pomeriggio dopo violenti scontri con la polizia perse la vita un giovane, appena affacciato alla società, un ventunenne pieno di sogni e speranze; Vincenzo Napoli.
Piazza Alimonda, Genova, il G8; scene che a Licata si videro: leggendo sia la stampa dell’epoca sia sentendo le memorie di chi quel giorno lo visse in prima linea. Le forze dell’ordine colpevoli di aver creato confusione, con cariche assolutamente fuori luogo e ingiustificabili; i cittadini che chiedevano risposte ricevettero manganelli e infine rumore sordo e lugubre del piombo. Con Vincenzo furono feriti altri giovani “ribelli” i quali avevano osato sfidare l’autoritario e tirannico governo Tambroni.
Angelo Peritore, Giuseppe Lo Jacono, Giovanni Amato e Giuseppe Vecchio, tutti ragazzi tra i 20 e i 30 anni proprio all’interno di quella fascia d’età che forse oggi vive con maggior disagio la crisi e l’incertezza totale verso il futuro. La memoria di Vincenzo, l’attacco a una città intero non possono e non devono essere dimenticati. Il territorio dal punto di vista sociale sembra quasi aver avuto un risveglio negli ultimi tempi, la nascita del comitato No Triv, il virtuoso associazionismo nato in questi ultimi anni (dal settore storico-culturale a quello della lotta contro le mafie), tutti fattori che stanno contribuendo alla rinascita di una presa di coscienza chiara, un’autodeterminazione collettiva all’interno di un processo nato e provato a frenare in quella canicola datata Luglio 1960.
A Vincenzo, a tutti coloro che credono all’autodeterminazione dei popoli; per non dimenticare.