Sabato, 12 Dicembre 2015 00:00

Lectio magistralis: Fare e disfare il genere

Scritto da
Vota questo articolo
(8 Voti)

Una lezione davvero interessante quella tenutasi giovedì 3 dicembre, durante il corso di filosofia politica a scienze politiche presso il Polo Universitario di Novoli. La docente del corso, la professoressa Brunella Casilini ha voluto fare un regalo ai suoi studenti (e a tutti coloro, colleghi, laureandi, studenti di altre facoltà che hanno assistito alla lectio magistralis) invitando ad approfondire uno dei testi in programma, “Fare e disfare il genere”, di Judith Butler con Federico Zappino, studioso di filosofia politica e uno dei massimi esperti del pensiero della filosofa statunitense, nonché traduttore e curatore della recente nuova edizione (Mimesis) del succitato testo, oltre ad aver tradotto e curato anche “La vita psichica del potere” (anch’esso edito da Mimesis) e aver pubblicato, insieme a Lorenzo Coccoli e Marco Tabacchini “Genealogie del presente. Lessico politico per tempi interessanti.”(Mimesis, 2014)

Casalini, prima di passare la parola al relatore, chiarisce come la Butler si sia trovata, suo malgrado, a diventar protagonista della cosiddetta teoria gender. Spesso l’interpretazione che si dà del suo pensiero, relativo a questo punto, risulta piuttosto infedele ai suoi testi. Il tema della performatività del genere viene letto e interpretato nel senso che del genere si possa fare l’uso che se ne vuole, come fosse paragonabile a un abito che si sceglie di indossare o cambiare a proprio piacimento. In realtà le norme di genere poco hanno a che fare con “l’arbitrarietà” soggettiva, con l’individualismo e la piena libertà di azione e la possibilità di scelta; le norme svolgono invece sempre un’azione sui corpi molto forte e coercitiva, spesso perfino violenta (soprattutto per quanto riguarda i corpi intersessuali o intrasessuali) e comportano sempre un lavoro sociale molto faticoso. Per cui, ben lontano dal poter esser visto come un vestito da indossare a proprio libero piacimento, il genere apre a una dimensione che può risultare drammatica.

Federico Zappino esordisce dicendo che il suo intervento si concentrerà su un capitolo di “Fare e disfare il genere”, in particolare – “rendere giustizia a qualcuno” – concernente il caso (vero), diventato emblematico, di David Reimer. È attraverso l’analisi di questa vicenda che Butler ci permette di capire che cosa sia la teoria del genere e che cosa sia il genere stesso. Per capire in maniera più consapevole il caso di Reimer, studiato da psicologi, chirurghi, psichiatri, medici, ecc., occorre partire, prosegue Zappino, dal concetto faucaultiano (non dimentichiamo, tra l’altro che Foucault costituisce un costante punto di riferimento per la Butler), di “regime di verità”. Capire questo concetto permette di focalizzarci non tanto sul fatto che quello di Reimer sia un caso limite, ma su quegli elementi che caratterizzano anche la nostra “normalità”, la nostra esperienza esistenziale e sociale, quegli elementi che sono frequenti nelle nostre vite e che dunque accumunano ciascuno di noi alla storia di Reimer, per quanto essa li drammatizzi e li renda plasticamente più evidenti. E l’elemento comune è proprio il regime di verità. Quest’ultimo altro non è, nell’ottica foucaultiana (qui Zappino si riferisce soprattutto a un piccolo testo di Foucault, “Illuminismo e critica”, molto efficace per chiarezza ed esaustività), fatta propria poi anche da Butler, che l’insieme delle relazioni di sapere e di potere; laddove il primo dei due termini sta ad indicare tutte le pratiche di sapere, tutti gli enunciati materiali, tutte le elaborazioni di oggetti di conoscenza che un campo discorsivo può accettare in un certo momento, mentre il secondo termine, indica una relazione tra azioni: è una modalità di azione che non va a intervenire direttamente sugli altri, poiché non agisce sui corpi, bensì è “un’azione sull’azione, azioni eventuali, attuali, future o presenti” (Illuminismo e critica). Un regime di verità è l’insieme di

“procedimenti e istituzioni con cui gli individui sono impegnati e costretti a compiere, in determinate condizioni e con precisi effetti, degli atti di verità, è ciò che definisce e determina la forma di questi atti e che stabilisce per questi atti delle condizioni di effettuazione e degli effetti specifici […] ciò che determina gli obblighi degli individui rispetto alle procedure di manifestazione del vero.”(Foucault, Du gouvernement des vivents, corso al Collège de France del 1979-80). Questo insieme di relazioni dunque struttura un regime di verità, che, indipendentemente dal fatto che quest’ultima sia vera o meno (diventa comunque indifferente il suo grado di verità o falsità), è accolta e fatta funzionare come vera da una società. Verità che non è qui intesa come un concetto fisso, monolitico, ma in costante divenire, che non precede né eccede le relazioni di sapere e di potere. Quindi non conta il carattere veritiero, ma il fatto di porlo come tale e agire secondo quella verità, costruita attraverso tali relazioni di sapere e potere e che assume perciò il carattere di una “norma” cui lo stesso soggetto si sente anche implicitamente costretto ad adeguarsi. “Questo è il modo in cui si interroga il rapporto tra sapere e potere […], non ponendo una domanda di legittimità, ma cogliendo quel che quella domanda non può intercettare, cioè i nessi storici e contingenti tra la dispersione di enunciati materiali e la molteplicità irriducibile delle maniere di conduzione che fanno la nostra particolare esperienza di quel nesso.” (Stefania Ferrando).


Butler riprende, prosegue Zappino, il concetto di relazione tra soggetto e potere:

“Non si tratta solo del fatto che esistano leggi che governano la nostra intelligibilità, ma che vi siano modalità di conoscenza e di verità che definiscono, in maniera efficace, la nostra intelligibilità. Questo è ciò che Foucault chiama politica della verità, una politica che riguarda quelle relazioni di potere che delimitano a priori ciò che conterà o meno come verità, e organizzano il mondo secondo determinate modalità, regolari e regolabili, che noi arriviamo ad accettare come ambito dato della conoscenza. L’importanza di questo punto viene compresa quando si inizia a chiedersi: chi conta come persona? Chi conta in quanto genere coerente? […] chi posso diventare in un mondo in cui i significati e i limiti soggettivi mi precedono? […] e cosa accade quando inizio diventare qualcosa che non trova posto nel regime stabilito di verità?” (Fare e disfare il genere).

Questo ultimo aspetto è cruciale perché fa comprendere come Il processo di costituzione della soggettività, si definisca in base al proprio e all’altrui riconoscimento; tale riconoscibilità è però possibile solo attraverso delle “norme”, dei regimi di verità che eccedono il soggetto stesso, che stabiliscono ciò che io stesso sono, che sanciscono quel “dimmi chi sei”, che Foucault vede caratterizzante precipuamente l’occidente.

“L’assoggettamento, suggerisce Foucault, appare come una forma di dipendenza originaria che non abbiamo la possibilità di stabilire in anticipo ma che ci fonda, certo paradossalmente ma – a quanto pare – inesorabilmente. Così quel potere che sentiamo schiacciante fuori di noi è certamente un’esperienza tra le più dolorose. Tuttavia è importante essere consapevoli che la costituzione stessa del soggetto conversa proprio con (e di) quel potere” (A.Pagliaru).

Occorre pertanto sottolineare che questo potere non agisce comunque costringendo il soggetto in termini deterministici ma si “limita” a fornire la cornice di intelligibilità entro cui può aver luogo la soggettivazione e il riconoscimento di quel soggetto. Tale relazione tra soggetto e potere non si instaura solo tra questi due poli ma in tutte le relazioni inserite in ogni regime di verità e si stabilisce anche in maniera riflessiva tra il soggetto e se stesso: oltre quindi a quelle“ tecnologie del potere, che regolano la condotta degli individui e li assoggettano a determinati scopi o domini esterni, dando luogo a un’oggettivizzazione del soggetto” esistono delle “tecnologie del sé, che permettono agli individui di eseguire, con i propri mezzi o con l’aiuto degli altri, un certo numero di operazioni sul proprio corpo e sulla propria anima - dai pensieri, al comportamento, al modo di essere - e di realizzare in tal modo una trasformazione di se stessi.”(Foucault, Tecnologie del sé). O, in questo contesto, più che trasformazione è più corretto parlare di riconoscimento, del soggetto nelle sue relazioni sociali e del soggetto nei confronti di sé stesso. Io posso costituirmi come soggetto e riconoscermi come tale se sento di esser conforme a una norma che mi precede e mi trascende, se so di appartenere a un regime di verità che mi costituisce, mi riconosce e mi fa esistere come soggetto. È come se fuori da queste pratiche, da questi regimi, si sfilacciasse la mia stessa possibilità di soggettivazione e (auto)riconoscimento.

Il soggetto è dunque governato e governabile, in maniera anche invisibile. Mettere in discussione il regime di verità implica pertanto attivare un processo di desoggettivazione, che può diventare lacerante, drammatico. L’”arte” di non esser governati – laddove per governo, come abbiamo detto, si intende l’insieme di relazioni di sapere e di potere che strutturano il regime di verità – deve essere consapevole dell’inevitabile rimessa in discussione dell’io e dell’esposizione a un rischio, una sfida forte e radicale, poiché mettere in discussione quel dato regime di verità su cui si fonda la mia stessa possibilità di costituirmi come soggetto riconoscibile, da me stesso e dagli altri, significa rischiare il disconoscimento appunto, il rifiuto da parte della società di esser riconosciuto come soggetto, può farmi precipitare nel dubbio su chi sia io, o dare comunque adito a tale dubbio da parte degli altri. Anche il genere rientra in questa rete di potere, diventa passabile o addirittura “sinonimo” di riconoscibilità o meno, rientra in un regime di verità. In Butler ricorrono molte domande proprio legate al tema della riconoscibilità e al genere: quali soggetti di genere sono riconoscibili? Quali forme di soggettivazione di genere esistono? Chi posso essere? Quali sono le relazioni affettive, sessuali? Quali norme circoscrivono la mia possibilità di agire, amare..? cosa accede se divento qualcuno che non viene previsto, non è riconoscibile entro il regime di verità? E così via.

Torniamo alla – drammatica – storia di David Reimer. David nasce in Canada, nel 1965, come Bruce Peter Reimer, insieme al fratello gemello Brian. A causa di un problema di fimosi – una “malformazione” per la quale il glande è completamente coperto dal prepuzio e quindi causa anche dolori nel fare i bisogni fisiologici – Bruce viene sottoposto a un’operazione chirurgica – una cauterizzazione – mai praticata prima e che risulta fallimentare provocando, a causa dell’eccessiva potenza del macchinario usato, la totale bruciatura del pene. I genitori, preoccupati per la futura vita sessuale del bambino e incerti sul da farsi si rivolgono a un noto (soprattutto per le sue teorie di genere) psicologo statunitense, John Money, uno dei maggiori esperti in transessualità e intersessualità, il quale sostiene la cosiddetta tesi del costruttivismo del genere e la neutralità di quest’ultimo. Secondo il medico l’identità di genere si sviluppa entro un contesto sociale e quindi può essere appresa nell’infanzia e venire, per così dire, opportunamente educata a divenire quel tipo di identità, attraverso adeguati atteggiamenti, comportamenti, predilezioni identificativi del dato genere “acquisito”, dopo l’applicazione di un determinato intervento di modifica del genere natale. Avendo lavorato con molti pazienti intersessuati Money è convinto che bambini nati con organi maschili non perfettamente sviluppati potessero “tranquillamente” essere indirizzati verso l’altro sesso e vivere questa “nuova” identità sessuale corrispondendovi pienamente. Pertanto suggerisce ai genitori di Burce di sottoporre il figlio a un intervento di asportazione dei genitali (o quel che ormai era rimasto di essi) e implementazione di una vagina e di crescere il figlio come una bambina, non appena sarà stata raggiunta la pubertà. All’età di 22 mesi al bambino vengono amputati i testicoli e gli viene modellata una “vagina rudimentale esterna.” Bruce diventa così Brenda, ma, all’età di 8-9 anni comincia a manifestare desideri che la società indicherebbe come prettamente maschili: vuole avere una mitragliatrice per il compleanno e altri giocattoli “da maschio”; non si sente a proprio agio in abiti da femmina, non ama giocare con le altre bambine, preferendo la compagnia dei maschi e fa persino la pipì in piedi, cosa che gli/le costerà la ferocia delle compagne femmine, che addirittura minacciano di ucciderla se avesse continuato a farlo.

Insomma, Brenda avverte la sensazione di non essere una femmina. A fronte di questo casi di incertezza di genere l’equipe di medici che fin dall’infanzia la segue, decide di far assumere alla bambina ancora più estrogeni. Brenda rifiuta e sarà di nuovo Money che cercherà di convincerla, in maniera psicologicamente violenta e subdola a inculcarle “il desiderio”, la voglia di essere una femmina: e mostra immagini di donne partorienti, di donne incinte... Cercando di persuaderla ad avere una vera vagina mostrandole quelle che per lui sono le gioie e le opportunità che essa può offrire. Money arriva persino a far simulare a Brenda un rapporto sessuale con il fratello gemello – il quale, probabilmente anche per questo, manifesterà problemi psichici, schizofrenici che lo spingeranno al suicidio – per farle vedere quale sarebbe stata la posizione che avrebbe dovuto assumere da grande in un reale rapporto. Brenda continua però a preferire attività sportive maschili e avverte un profondo disagio, quando, a causa degli estrogeni vede crescere i propri seni, mostrando di fatto, che “il forzato indirizzamento di genere”, la rassegnazione dell’identità di genere, non stava avendo successo, contrariamente a quello che scrive Money nei propri resoconti, convinto che proprio il caso da lui ribattezzato di John/Joan fosse la prova della sua tesi costruttivista. Lo psicologo scrive articoli in cui conferma che lo sviluppo di Brenda procede normale e sereno, senza prender minimamente in considerazione il reale stato d’animo e il verso modo di sentirsi della bambina e al suo rifiuto di conformarsi a comportamenti, atteggiamenti e desideri femminili. L’adattamento di Brenda, si legge in questi articoli, è soddisfacente e ciò avvalora la tesi che alla nascita l’identità di genere è aperta e rimane tale per almeno un anno dopo la nascita. È vero che si tratta di una tesi innovativa , che a dispetto di tutto ciò che ci ha consegnato la tradizione e la cultura, considera il maschile e il femminile come relativi, fluidi e plasmabili socialmente: non si nasce maschi e femmine ma lo si diventa. Più che dimostrare però la validità della sua tesi, l’atteggiamento dello psicologo dimostra di volerla inculcare i maniera invasiva e persino coercitiva nella testa di Brenda, reclutando un gruppo di transessuali per normalizzare il suo sviluppo femminile, chiedendole in continuazione se si senta una donna, come immagini il proprio futuro, se desidera sposarsi con un uomo (già il linguaggio è plasmato su una norma!), le chiede addirittura di spogliarsi davanti all’equipe di medici per mostrare i propri organi genitali. Brenda non sa rispondere a queste domande a continua a sentirsi maschio, a dispetto di ciò che pensa Money. Entra allora in scena un altro medico, Milton Diamond, un noto endocrinologo che sostiene invece una tesi opposta a quella di Money, vale a dire la tesi essenziali sta: secondo tale teoria, la natura dell’identità di genere non è affatto neutra o frutto di una genesi sociale e culturale, bensì è ormonale, genetica.

Chiara Del Corona

Nata a Firenze nel 1988, sono una studentessa iscritta alla magistrale del corso di studi in scienze filosofiche. Mi sono sempre interessata ai temi della politica, ma inizialmente da semplice “spettatrice” (se escludiamo manifestazioni o partecipazioni a social forum), ma da quest’anno ho deciso, entrando a far parte dei GC, di dare un apporto più concreto a idee e battaglie che ritengo urgenti e importanti.

Devi effettuare il login per inviare commenti

Free Joomla! template by L.THEME

Questo sito NON utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti.