È questo nucleo, secondo Diamond, che porta Brenda/David al rifiuto di una femminilità indotta e a un primordiale e originario istinto maschile che permane in lei/lui proprio perché nata/o con quel nucleo genetico, con il cromosoma Y. Per quanto si cerchi di farla vivere come una femmina, farle crescere i seni, farle provare desideri femminili, Reimer non avrebbe mai potuto sentirsi e vivere come una bambina, secondo Diamdond, perché il genere non si costruisce né si indirizza, bensì vi si nasce anche quando l’evidenza dell’organo genitale non c’è più. ma l’essenza maschile resta, quel nucleo fondativo del genere continua a manifestare l’istinto maschile (nel caso di cromosoma y, o femminile nel caso di cromosoma x). Diamond dice che Brenda/David si sente un maschio perché indirettamente crede nella forza causale, primaria, genetica del suo cromosoma Y. In realtà non è assolutamente chiaro se David si sentisse un maschio perché avvertiva “questa forza causale e originaria”. Sta di fatto che la il suo caso acquista la forza dell’allegoria: un uomo nato maschio- castrato dai medici- femminilizzato da un’equipe di psicologi e psichiatri- fatto diventare transessuale da un endocrinologo per poter recuperare “il proprio destino genetico, in nome della natura originaria, a differenza della tesi che vede il genere come fluido e modificabile. Per Judith Butler entrambe le ipotesi (la plasmabilità del genere da un lato e la sua fissità ed essenzialità dall’altro) sono confutate dai modi di realizzazione e di attuazione delle due tesi: da una parte la plasmabilità è indotta con la violenza (psicologica e coercitiva), dall’altra la naturalezza, l’“essenza” originaria viene indotta artificialmente tramite interventi chirurgici (iniezioni di testo terne, intervento di fallo plastica..) che rendano David maggiormente leggibile come maschio. La filosofa statunitense di fatto non nega né l’una né l’altra tesi, né le corrobora(pur ovviamente contestandone la metodologia forzata o artificiosa), ma quel che le sta a cuore evidenziare è il momento e il contesto in cui David afferma la sua umanità e la consapevolezza di vivere in una società strutturata secondo un principio di eteronormatività:
“Ciò che spero di mettere in evidenza”, scrive Butler, “è la cornice disciplinare in cui Brenda/David sviluppa il discorso della narrazione e della comprensione del sé, dal momento che essa costituisce la griglia di intelligibilità che a contempo mette in discussione e afferma la sua umanità. […] Alla persona e al corpo di Brenda/David è stato applicato un apparato di sapere che raramente, se non mai, è stato preso in considerazione come elemento determinante del discorso di David, quando quest’ultimo parla delle sue sensazioni sul vero genere.”ciò che per entrambi i medici conta è che Brenda/David incarni la norma, la verità etero normativa. Tale principio è presupposto fin dall’infanzia, nell’educazione, nel linguaggio stesso che è permeato da questa norma dell’eterosessualità, nei modelli di femminilità e maschilità..esso appare come obbligatorio, addirittura dato per scontato, per presupposto categoricamente. La società ci educa, fin da sempre ad essere eterosessuali, tutto l’ambiente della nostra vita privata, introspettiva, relazionale, sociale, politica ecc, è strutturato e orientato secondo questo principio. La cornice disciplinare dell’eterosessualità appare come obbligatoria: il genere di David non solo è disciplinato dal potere regolatore, dalla politica della verità, dal regime di verità (che già di base è connotato in termini di genere, già è eteronormativo, dunque non neutro), ma più precisamente il suo genere deve consolidarsi su questo principio che impone l’eteronormatività.
Non è tanto la teoria di genere a provocare danni, quanto piuttosto l’adattamento forzato dell’anatomia del corpo di Reimer a dei modelli, delle norme maschile/femminile, la normalizzazione inculcata. Entrambi i medici vanno a costruire una verità sul genere (i vettori si sapere e di potere si tengono sempre insieme); il loro intento non è sapere cosa Brenda o David sentisse, ma imporle di sentire qualcosa, farle interiorizzare quella norma presupposta, che sia l’essere femmina (Money), o l’essere maschio (Diamond). Brenda viene sottoposta a continue ispezioni, interrogazioni ripetute, sia da parte di Money, in funzione, per così dire “progressista”, sia da parte di Diamond, in funzione “conservatrice”, che fanno appello, o anzi, contengono implicitamente, un principio normativo, si plasmano sempre e comunque, in entrambi i casi, su un ideale etero normativo. L’esposizione a questo principio applicata a un corpo, un singolo corpo in questo caso, avviene sempre all’ombra di interrogativi costanti: è abbastanza femminile? Ha raggiunto la femminilità? La incarna perfettamente) è abbastanza femminile da esser desiderabile da parte di un uomo? Tutte queste domande mettono capo a quella relazione di sapere e di potere di cui parlavamo prima. La “stranezza” iniziale di Brenda deriva da predilezioni che per la nostra società, secondo tale nostra norma così bene introiettata non sono contemplate entro un genere femminile. Se si vanno a leggere i resoconti che David stesso scriveva ci si rende conto, spiega Butler, che vi è già la considerazione implicita che la norma dovesse essere la femminilità e che la sofferenza e la paura di Reimer deriva proprio dalla sensazione che lei/lui non sia in grado di adeguarsi a tale norma. “All’inizio si trattava di piccoli particolari. Cominciai a notare come mi sentivo, e com’ero diverso da ciò che si supponeva io fossi. Ma non sapevo cosa significasse. Pensavo di essere una persona bizzarra o qualcosa del genere..mi guardavo e mi dicevo che non mi piacevano i vestiti e i giocattoli che mi erano sempre stati dati. Mi piace stare con i ragazzi, arrampicarmi sugli alberi e cose di quel genere che di solito non piacciono alle ragazze. Mi guardavo allo specchio e (vedevo) che le mie spalle (erano) larghe , non c’era nulla di femminile in me.[.. ]Capivo di essere un ragazzo, ma non volevo ammetterlo. Mi dicevo che sarebbe stato meglio non aprire il vaso di Pandora”. Questo e altro scrive Reimer . Certo, non si può sapere se questa sua sensazione di essere un ragazzo provenisse, come vorrebbe la tesi essenziali sta, dalla “forza causale primaria del cromosoma Y”, dal fatto cioè che David essendo nato maschio è come se avesse sempre saputo dentro di sé, fin dai primi desideri dell’infanzia, di essere un maschio.
Fatto sta che nel momento in cui è una bambina Reimer sa di non corrispondere a un’eteronormatività che gli imporrebbe di essere e vivere come una bambina e quindi quella norma ce l’ha introiettata e agisce anche su di lui. Da una parte abbiamo dunque un autoritratto, che avrebbe dovuto esser letto e rispettato, ma dall’altra vi è una descrizione della persona “che avviene in un linguaggio che è già in corso, già saturo di norme, che ci influenza quando cerchiamo di parlare di noi stessi”. E nella stessa descrizione che lui fa di sé è implicito il concetto che egli sia consapevole dell’esistenza di una norma (che in questo caso è la femminilità) che presuppone come lui dovrebbe essere, e a cui lui non riesce a conformarsi. “Gli sembra evidente che le norme siano esterne rispetto a se stesso, ma che cosa accade se esse sono diventate il mezzo attraverso cui vedere, la cornice della sua visione del mondo e di sé. […] Pensiamo a dove agisce esattamente la norma quando David dichiara: <mi guardavo e mi dicevo che non mi piacevano quei vestiti>. A chi sta parlando David? E in quali circostanze, in quale contesto, il fatto che non gli piaccia quel tipo di abbigliamento costituisce una prova dell’appartenere al genere sbagliato?” eppure sembra proprio che nel contesto in cui ci muoviamo ciò equivale a una vera e propria prova. Tuttavia, la norma non equivale né a delle regole né a una legge, bensì “nell’ambito delle pratiche sociali, la norma opera come standard impliciti di normalizzazione […] presiede all’intelligibilità delle azioni e dei desideri del soggetto fino a trascenderli […] imponendo grammatiche di leggibilità”.
Se la norma è allora non solo è ciò che addirittura produce e rende intelligibili i fenomeni, ma anche ciò che li normalizza, trovarsi a vivere a di fuori da essa significa però ancora esser definibili comunque in rapporto alle norme stesse, definibili in base ad esse, come discostanti o fuori di esse, ma pur sempre sul loro modello. Sono fuori rispetto a qualcosa, ma quel qualcosa continua a definirmi, ed essere il mio termine di paragone, anche per dire che non sono “normato” su quel principio, che non faccio parte di quella norma. “I meccanismi di un certo regime regolatore, informa e in qualche modo eccede la legge stessa. Quando ci si domanda quali siano le condizioni di intelligibilità grazie alle quali l’umano si rivela, grazie alle quali esso viene riconosciuto, […] ci si riferisce a delle condizioni di intelligibilità determinate da norme, da pratiche che sono diventate preconcette e senza le quali non sarebbe possibile pensare l’umano.” Il punto diventa allora quasi “vitale”, nel senso che un eventuale processo di distaccamento da queste norme rischia di destrutturare la soggettività stessa, la sua stessa umanità e riconoscibilità come soggetto umano, come abbiamo ribadito più volte. Aprire “quel vaso di Pandora” e ammettere il proprio sentirsi outsider rispetto a quelle norme che rendono possibile la nostra stessa intelligibilità, al mondo ma anche a noi stessi, implica un rischio di de-soggettivazione radicalmente pericoloso e potenzialmente autodistruttivo, se viene portato avanti individualmente, nella propria solitudine e singolarità. E soprattutto quando si tratta di genere la norma si fa ancora più forte e violenta, ancor più impositiva, stringente, costringente.
“Il genere non è solo qualcosa che si né qualcosa che si ha (nel senso di incarnare un genere), ma piuttosto è il sistema attraverso cui ha luogo la produzione e la normalizzazione del maschile e del femminile, che ha effetti retroattivi sulla sessualizzazione del corpo.”
Il contesto in cui si muove Reimer è giù un contesto pre-cotituito in cui il prediligere giochi da maschio costituisce già una prova sufficiente di inappartenenza al genere. C’è già in gioco anche nella stessa percezione di Reimer quell’ansietà riguardo all’identità di genere: “il medico mi disse che sarebbe stato duro (rifiutare la mia femminilità), che sarei stato isolato, maltrattato (…) ma se valutano la mia felicità soltanto in base alla mia identità sessuale allora devo esser un perdente completo”. Ciò che le parole di David rivendicano è la consapevolezza (o la speranza) che la possibilità di essere amati, di amare e farsi amare non dipenda esclusivamente dall’identità sessuale, ma da altri fattori, così come la sua possibilità di esser felice. L’esito tragico della vicenda però testimonierà che questa felicità non è stata realizzata da David. Nel 1990 si sposerà, con una donna già madre di tre figli, poi si lascerà e alla fine a soli 34 anni, nel 2004 si sparerà un colpo di fucile alla testa, dopo poco il suicidio, tra l’altro, del fratello gemello, anche lui destinato a una vita infelice. Ciò testimonia drammaticamente che la messa in discussione di una norma che crediamo legata con un filo strettissimo alla nostra felicità, alla nostra possibilità di esser riconosciuti solo adeguandosi a tale norma, forse non può avvenire in maniera isolata, in solitudine. Da un lato si avverte, nelle parole di David una sorta di fiducia in quel moto di “ribellione” alla norma (“se mi considerate solo in base al mio genere e credete che io possa essere amato o che la mia felicità dipenda solo da quello, significa che sono (o che mi ritenete) un fallito totale”), ma dall’altro, l’esito tragico della sua storia ci fa intuire che sia più facile pensare che un’eventuale ribellione alla norma, una sua radicale rimessa in discussione abbia migliori margini di successo solo se la si porta avanti collettivamente, senza lasciare il soggetto da solo, isolato nel proprio singolo processo di de soggettivazione rispetto al regime di verità.
Quando David invoca l’io – sicuramente un io fragile, estremamente precario certo –, manifesta una certa convinzione che quell’io non è riducibile ai suoi organi genitali e che la propria felicità, così come la possibilità di essere amato non dipendano dall’essere adeguato a una norma, come credono i medici che proprio sulla base di questa certezza assoluta e indiscutibile cercano di offrirgli quella possibilità di essere amato, in quanto legata alla sua identità, costituzione sessuale, alla sua conformazione alla norma. David però rifiuta questa offerta che è un adescamento, una seduzione subdola all’assoggettameto, perché lui sa che gli sono date altre possibilità e altre ragioni per essere amato. Una simile invocazione va un po’ in contrasto rispetto a quanto detto prima, che egli abbia già introiettato la norma, perché lui sa si essere e doversi aspettare di più rispetto alla sua compatibilità o meno a quella norma. il suo io la eccede, Reimer non fa tutt’uno con essa. Attraverso “le altre ragioni per essere amato” che David invoca noi possiamo intravedere i limiti “del discorso di intelligibilità che dovrebbe determinare il suo destino” ma si colloco in quella zona che noi non riusciamo nemmeno a nominare, il suo essere “situato tra la norma e il suo fallimento” e alla fine non essendo né l’una né l’altro, lo mostra come “l’umano nella propria condizione di anonimità, ciò che […] limita ogni tentativo di dare un nome.
E in quel senso egli esemplifica la condizione di chi parla di sé ai confini di ciò che pensiamo di conoscere.” Occorrerebbe allora anzitutto riconoscere il carattere arbitrario e la fragilità di quella norma che detta la nostra condizione di riconoscibilità, di intelligibilità e di vivibilità, che taglia fuori coloro che “non vi rientrano” o non possono né riescono, né vogliono adeguarvisi, o li confina in una zona anonima, rendendoli particolarmente vulnerabili. Forse quella norma è troppo stretta per poterci stare tutti quanti, in maniera vivibile e far rientrare pure quei corpi, che magari anche visibilmente, sfuggono a quella norma. Il genere non si fa e non si disfa mai in solitudine, pena la possibile disfatta stessa del soggetto, ma lo si può fare e disfare attraverso un’azione collettiva, un agire in concerto: “siamo disfatti gli uni dagli altri […] ed è proprio in questo disfacimento che può emergere una promessa critica, una possibilità di trasformazione e di ricreazione dei parametri di intelligibilità e delle relazioni che eccedono i paradigmi consolidati – e dunque della loro vivibilità.”