Sabato, 20 Aprile 2013 00:00

La strada gelata verso la liberazione di Berlino

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Il 20 aprile del 1945, ad esattamente 28 anni di distanza dalla pubblicazione delle Tesi di Aprile di Lenin, le truppe sovietiche fecero il loro ingresso a Berlino. L'Armata Rossa aveva sferrato il primo attacco di quella che poi sarà chiamata la battaglia di Berlino il 16 aprile 1945: la capitale tedesca venne conquistata pochi giorni dopo, il 2 maggio.

Nel frattempo, il 30 aprile Hitler si era suicidato per non cadere in mano nemica, e il Terzo Reich si arrese ufficialmente l'8 maggio, sei giorni dopo la fine della battaglia. Questa, all'interno del quadro generale degli scontri della Seconda guerra modiale, fu la naturale risposta all'invasione tedesca del territorio sovietico di pochi anni prima.

Nel giugno 1941 Hitler aveva lanciato la cosiddetta "operazione Barbarossa" con lo scopo di assicurare al nuovo impero tedesco i territori abitati dalle "inferiori" razze slave.

Nelle prime settimane della spedizione le vittorie dell'esercito nazista furono praticamente incontrastate, sia per la potenza degli armamenti tedeschi che per il basso morale diffuso nei territori da poco sovietizzati. Dopo qualche giorno di preoccupante silenzio, Stalin chiamò la popolazione alla resistenza in un appello radiofonico che faceva appello al sentimento patriottico russo, o per meglio dire, sovietico.

Nel tardo autunno le truppe tedesche arrivarono davanti alla città di Mosca, dove vennero sconfitte per la prima volta nel dicembre 1941 e furono costrette a una disastrosa ritirata. Hitler non si diede per vinto e nella primavera del 1942 tentò un altro attacco sul fronte orientale, stavolta diretto a Stalingrado. Anche questo tentativo però si rivelò del tutto fallimentare: nell'inverno del 1943 si concluse la battaglia di Stalingrado, con la quasi totale distruzione delle forze dell'Asse impegnate sul fronte orientale. Emerse allora un'importante differenza di strategia militare tra Hitler e Stalin: il primo era convinto di essere più esperto dei suoi generali, considerati generalmente infidi dal Führer, a cui negò la possibilità di effettuare ritirate tattiche, che forse avrebbero potuto evitare il disastro di Stalingrado. Stalin invece seppe scegliere gli ufficiali considerati migliori, richiamando addirittura quelli che aveva precedentemente esiliato per motivi politici.


Oltre a questo, nel giro di pochi mesi migliaia di fabbriche sovietiche vennero trasferite in zone più orientali, allontanandole dalle zone degli scontri, e la produzione degli armamenti crebbe a ritmi altissimi. La vittoria di Stalingrado portò con sé molteplici conseguenze: la liberazione da un nemico spaventoso ed insieme anche il rafforzamento (interno ed esterno) di Stalin e del suo governo. Nei mesi successivi il conflitto cominciò a spostarsi progressivamente nei paesi dell'Europa orientale, finché le truppe sovietiche, protagoniste di un'avanzata a dir poco stravolgente, giunsero a Berlino e la occuparono. Questo fu probabilmente il momento di più alta popolarità, a livello mondiale, di cui godette Stalin.

Fu infatti la capitolazione di Berlino e del Führer stesso che segnò, insieme alla liberazione italiana, la fine della Seconda guerra mondiale sul terreno europeo.

Immagine tratta da cpcml.ca

Rosa Matucci

Nata a Fiesole (FI) alla fine del 1988. Nel 2006 mi sono iscritta a Rifondazione, dove milito ancora oggi. Laureata in Storia con una tesi sul protestantesimo nel Risorgimento fiorentino. Lavoro all'Istituto Ernesto de Martino a Sesto Fiorentino, dove vivo da sempre.

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