Bobby Sands, Ufficiale Comandante dei prigionieri dell'IRA detenuti a Long Kesh, ed i suoi compagni dal momento in cui furono rinchiusi nel blocco H (riservato ai militanti dell'IRA) avevano richiesto di essere riconosciuti come prigionieri politici: la lotta che stavano combattendo, assieme ad altri migliaia e migliaia di persone, era una lotta di liberazione e di riscatto dai soprusi che la popolazione irlandese era costretta a subire da parte degli unionisti fedeli alla Corona di Sua Maestà nell'Ulster. Ad una netta disuguaglianza sociale ed economica che divideva cattolici da protestanti, si aggiunsero discriminazioni civili (ad esempio sul diritto di voto) e violenze. Il tutto, ricordiamocelo, con ancora aperta la ferita della separazione dell'Ulster dal resto dell'Irlanda.
La loro richiesta, quindi, era semplicemente quella di veder riconosciuta la propria incarcerazione come fatto politico e non come semplice punizione. Questo status che venne fortemente negato dal Governo britannico: avrebbe significato dare legittimità alla battaglia dell'IRA e riconoscere l'esistenza di disuguaglianze e discriminazioni. I prigionieri si organizzarono quindi portando avanti una serie di proteste: si rifiutarono inizialmente di indossare le divise del carcere non essendo, appunto, carcerati come gli altri, ed in seguito di lavarsi. Queste forme di protesta non riuscirono a smuovere minimamente la posizione di Margaret Thatcher. I prigionieri decisero quindi di passare allo sciopero della fame. Dobbiamo precisare, per comprendere a pieno la loro lotta, che lo sciopero della fame è considerato da coloro che si battono per un'Irlanda unita e repubblicana un gesto pieno di significato: rimanda alla Great Famine, durata dal 1845 al 1852 circa e durante la quale migliaia e migliaia di irlandesi morirono di stenti ed emigrarono. Non fu una carestia vera e propria: un fungo particolare distrusse quasi totalmente le piantagioni di patate, alimento principale per la popolazione povera (in quasi totalità cattolica), mentre navi mercantili britanniche continuavano a depredare l'isola per i portare avanti i proprio affari.
La scelta di lasciarsi morire dignitosamente di stenti presa dal gruppo di detenuti si ricollegava quindi alla storia dell'indipendenza irlandese e serviva a ribadire il motivo per il quale si trovavano incarcerati.
Così, il primo giorno di marzo del 1981 iniziò la staffetta: il primo ad iniziare lo sciopero fu proprio Bobby Sands e alla sua morte seguirono gli altri, con disciplina, dignità ed unità.
La lotta dei prigionieri del Blocco H ricevette attenzione non solo dagli abitanti di Irlanda e Regno Unito ma da tutto il mondo. Bobby Sands fu addirittura eletto deputato nel Parlamento nella circoscrizione di Fermanagh – South Tyrone, senza riuscire ovviamente a prendere il proprio posto.
Bobby Sands morì il 5 maggio del 1981, dopo sessantasei giorni senza cibo. La sua condotta fu di esempio e diede la forza a tutti e nove i prigionieri che intrapresero lo sciopero dopo di lui.
La sua è una storia di una coerenza e di un coraggio che lasciano senza parole. L'amore per il proprio Paese, per la propria storia e per la propria libertà, mai conosciuta veramente, che animavano Bobby e gli altri ragazzi sono gli stessi che oggi spingono i prigionieri palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane ad intraprendere la stessa forma di protesta. Dopo gli altri prigionieri che avevano cominciato a rifiutare il cibo lo scorso inverno, l'ultimo è stato Samer al Issawi, che ha interrotto il suo sciopero, avendo raggiunto, un accordo col governo, lo scorso 23 aprile.
Se è vero che quello di indipendenza irlandese è un movimento molto peculiare, per i successi ottenuti dalle sue organizzazioni (IRA e Sinn Féin), per la sua matrice apertamente socialista e per il livello di radicamento che ha sempre avuto, da una parte è facile tracciare una linea rossa che unisce i guerriglieri dell'IRA ai militanti indipendentisti palestinesi a quelli del PKK curdo. E questo significa che qualcosa da imparare da Bobby Sands e gli altri che lo hanno preceduto ce lo abbiamo anche noi: disciplina, dignità ed unità.