Venne condannato a morte per aver guidato la cosiddetta guerra dei contadini, esplosa in Germania nel 1525 nella forma di un'aperta ribellione alle vessazioni economiche cui i principi tedeschi sottoponevano i contadini, e in generale le classi più povere della popolazione. Le schiere contadine furono sbaragliate in poche ore e la strage che ne seguì fu spaventosa.
Era da pochi anni scoppiato il caso della Riforma di Lutero, alla quale tutto il popolo tedesco, e non solo, aveva guardato con la speranza di un rinnovamento religioso ma anche sociale. La figura di Müntzer, in quanto teologo e politico, è stata studiata per secoli, attraverso molteplici punti di vista: per Lutero e i suoi seguaci era una sorta di diavolo arrivato sulla terra per sovvertire l'ordine naturale delle cose, per i pietisti un martire della fede originaria a cui far riferimento, infine per la storiografia marxista un profeta dei movimenti rivoluzionari.
Effettivamente, avvicinandosi al pensiero di Müntzer non si può non notare in esso l'intima connessione tra teologia e politica: "l'intero popolo deve avere il potere della spada, il potere di legare e di sciogliere." Per Müntzer il buon cristiano è colui che non può rimanere indifferente davanti ai soprusi dei potenti sui più deboli, e ha il dovere di cambiare lo stato di cose, se ritenuto ingiusto. Nelle sue riflessioni la fede in Dio non si riduce ad uno studio passivo delle Scritture, è anzi una fede che potremmo definire attiva, a momenti combattiva, come nel caso della guerra dei contadini. La fede diventa qualcosa di sterile, se non utilizzata per essere d'aiuto ai bisognosi. Con queste premesse, appare piuttosto chiaro il motivo per il quale Müntzer sia stato particolarmente studiato nell'ambito della scuola storiografica marxista.
Prima di iniziare ad analizzare queste interpretazioni è doveroso partire da un presupposto fondamentale: Müntzer si occupò di questioni economiche e sociali, ma esclusivamente in relazione con la religione; si rese conto che in mancanza di una "stabilità" materiale ed economica, la fede non poteva trovare terreno fertile: "Gente che spende ogni minuto del suo tempo per procurarsi il pane non ha tempo d'imparare a leggere la Parola di Dio."
Nella prima metà dell'800 si svilupparono ricerche storiche intenzionalmente collegate alla situazione politica: ne abbiamo un esempio con Wilhelm Zimmermann, uno storico social-democratico che considerò Müntzer e le rivolte da lui guidate nel contesto della nascente rivoluzione europea. Zimmermann aprì la strada all'interpretazione marxista di Friedrich Engels, che nel 1850 scrisse La guerra dei contadini in Germania. Non si nasconde, fin dalle prime pagine, lo stretto collegamento che Engels (e prima di lui Zimmermann) vide tra Müntzer e un importante processo rivoluzionario: "Il parallelo tra la rivoluzione tedesca del 1525 e quella del 1848-'49 era troppo evidente perché io lo respingessi." C'era quindi, in Engels, l'intento ben preciso e dichiarato di mettere in luce un collegamento tra le due rivolte, un collegamento che potesse del tutto rientrare nella concezione materialistica della storia, tipica della scuola marxista. Non troviamo quindi, in quest'approccio, un lavoro prettamente di analisi storica, ma piuttosto di adattamento degli eventi ad una specifica visione ideologico-politica.
Engels ci proietta nella sua contemporaneità, illustrandoci la situazione della classe operaia tedesca. Il mondo tedesco del XVI secolo e quello del XIX finiscono così per toccarsi, per parlarsi, senza filtri di sorta. Engels definì la Lega degli eletti di Allstedt (una lega di cittadini promossa da Müntzer nel 1523, fortemente anti cattolica e paritaria) una "anticipazione del comunismo" e vide in Müntzer un "profeta della rivoluzione". Sta qui, a mio parere, il limite di quest'opera, se la vogliamo leggere da un punto di vista storiografico e non di analisi socio-politica: l'aver tralasciato le differenze, per l'appunto anche sociali, che hanno reso peculiare il XVI secolo, e in particolare la guerra dei contadini, rispetto alle rivolte tipiche del mondo operaio e contadino dell'800.
Chiaramente l'opera di Engels aveva un suo preciso scopo "educativo": quello di mostrare le cause dell'insuccesso rivoluzionario e presentare la guerra dei contadini come grande paradigma rivoluzionario tedesco per l'organizzazione del movimento comunista. All'opera di Friedrich Engels seguirono i lavori di Karl Kautsky e di Ernst Bloch. Entrambi usarono il termine "comunismo" riferito al pensiero e all'opera di Müntzer, facendo però riferimento ad un'idea politica, o meglio ad un progetto politico, che ancora non esisteva in quanto tale al tempo in cui viveva Müntzer. In Bloch si trovano quasi più riferimenti al nesso tra il Müntzer rivoluzionario e la Rivoluzione d'ottobre che al Müntzer "storico". Come già accennato, Müntzer era sì un "rivoluzionario", ma la portata del suo operato non si esaurisce solo in questo. Per gli storici marxisti vissuti tra '800 e '900 era però troppo forte la necessità di trovare un terreno fertile nel passato, che potesse essere usato come base ideologica sulla quale costruire un presente diverso.