I ragazzi della generazione di cui faceva parte Eugenio Curiel erano quelli che sotto il fascismo ci erano nati; l'Italia liberale non l'avevano conosciuta. Erano quelli che fin da piccoli venivano inquadrati nelle organizzazioni del regime, dai balilla ai GUF, i Gruppi Universitari Fascisti. E la consapevolezza del fatto che non ci fosse, se non in termini minimi, una società di massa al di fuori di questo inquadramento, accompagna l'elaborazione politica di Curiel. Per provare a costruire una consapevolezza antifascista nella società italiana degli anni '30 non si poteva stare al di fuori delle organizzazioni di massa: bisognava ad ogni costo sforzarsi di agire sulle contraddizioni, sulle perplessità e sui dubbi che animavano i giovani intellettuali ed universitari del tempo. Ed è questo che fece Curiel: divenuto uno della penne più importanti de Il Bò, il giornale universitario degli studenti padovani, si occupò della condizione dei lavoratori, in particolare di quelli delle tipografie, arrivando a scrivere che il sindacato avesse il dovere di sorvegliare sull'applicazione dei contratti collettivi e che fosse una pura follai affermare che in un sistema corporativo gli interessi dei lavoratori coincidessero con quelli dei padroni. Solo cercando di piantare questi semi di riflessione contro il regime, cercando di spostare, piano piano e con fatica, la posizione delle menti più brillanti che animavano tali organizzazioni, uno come Curiel, che arrivò nel 1937 ad aderire al Partito Comunista d'Italia, quel partito clandestino che riuniva i comunisti sotto il fascismo, quello stesso partito di Longo e Grieco, poteva sperare di cambiare la società.
Eugenio Curiel non abbandonò mai le posizioni di condanna del minoritarismo politico, nemmeno quando, per quelle che potremmo definire “cause di forza maggiore”, fu costretto a vivere un periodo di confino a Ventotene né quando, lasciata l'isola in seguito 25 agosto '43, decise di prendere la strada dei monti. Unitosi ai combattenti partigiani milanesi, fu tra i fondatori del Fronte della Gioventù per l'Indipendenza nazionale e per la libertà. Come hanno fatto notare sia Fresu che Höbel, anche in questo caso gli sforzi di Curiel sono andati nelle direzione di evitare ogni possibile minoritarismo: non a caso fondò il Fronte della Gioventù, anziché un'organizzazione giovanile aperta ai soli comunisti.
Oltre all'appassionante viaggio attraverso l'avventurosa vita e le stimolanti elaborazioni di Eugenio Curiel, la presentazione del volume di Fresu ha fornito molti spunti di riflessione, anche sul presente. Dalla scomparsa di quello che Gramsci ha chiamato “intellettuale organico” e che ha portato ad uno svuotamento di fatto della politica odierna, all'impellente necessità che abbiamo di recuperare certi insegnamenti se davvero abbiamo l'ambizioso progetto di ricostruire la sinistra italiana.
Che dire, c'è molto da studiare e da fare. Questo libro può essere un'ottima occasione di partenza.