I due autori delle lettere hanno vissuto da protagonisti le varie vicende della sinistra italiana, pur appartenendo a generazioni diverse. La cronaca politica è però lontana, tanto che in alcuni passaggi tornano in mente i dialoghi filosofici dell'antica Grecia.
Il punto di partenza è rappresentato dalla scelta di Ingrao di non ripresentarsi alle elezioni del 1992, dopo essere stato deputato per 44 anni (dal 1948).
Bettini scrive un articolo per «Paese Sera», ritenendo che alla notizia non sia stato dato il giusto rilievo. Il pezzo si chiudeva con una valutazione ancora valida: «Sembrano non essere tempi buoni per le persone serie: e vanno avanti i cinici feudatari di questa modernità senz'anima, mentre non fanno notizia le vere passioni e il pensiero profondo» (Ingrao, l'eretico. L'incanto e il disincanto di un leader sempre con gli umili e gli oppressi, «Paese Sera», 19 gennaio del 1992).
L'eretico del PCI si era opposto alla svolta della Bolognina, ma ancora non aveva abbandonato i Democratici di Sinistra, sostenendo la necessità di rimanere nel "gorgo" che invece lascerà nel 1993. Bettini è invece ancora oggi un dirigente del Partito Democratico, seppure su posizioni critiche. Di tutto questo non c'è traccia nel carteggio, anche se ci sono tracce evidenti (da un aneddoto su Togliatti a l'indicazione di Zingaretti come erede di un percorso storico).
Non sono le singole scelte di posizionamento ad essere in discussione, come non trovano grande spazio le valutazioni opposte sul potersi definire comunisti dopo il 1989. Le lettere si confrontano sulla superficie di contatto fra i due, ossia senso dell'impegno politico.
L'apertura è affidata alla reazione di Ingrao rispetto all'articolo uscito su «Paese Sera» (che è riportato in appendice). Bettini risponderà molto dopo, nel 2005, in occasione dei 90 anni di quello che considera uno dei suoi maestri. Segue uno scambio del 2007. Non si tratta di molte pagine, ma raccolgono ragionamenti su cui vale la pena soffermarsi per ore (senza peraltro pretendere di arrivare a una conclusione).
Quello che si misura è la distanza tra la politica del passato e quella contemporanea, che è qualitativa più che temporale. L'interrogarsi sull'impegno politico è necessariamente sacrificato alla necessità dell'agire nel presente, ma negli ultimi decenni il prevalere della tattica ha completamente cancellato la progettualità della sinistra.
La riflessione centrale ruota attorno potere. Gli "errori e orrori" del comunismo, secondo Bettini, sono da ricondurre all'onnipotenza della politica, che invece non può esaurire gli aspetti dell'umano. Occorre arrivare ad «una più serena e laica accettazione della vita», per portare avanti «l'ambizione dei lenire questo stato naturale delle cose». La politica come «arte regolatrice». Queste sono le conclusioni a cui arriva il democratico, mentre manca completamente la riflessione sulla questione comunista da parte di Ingrao (in questo si percepisce uno squilibrio tra i due autori).
Oggi «Paese Sera» non esiste più e persino la guerra in Iraq di Bush jr. è un riferimento storico da non dare per scontato tra gli studenti delle scuole superiori. Forse quindi è bene che resti insoddisfatta la curiosità sulla cronaca storica di un lungo periodo completamente travolto dalle macerie della seconda repubblica. Ciò però non impedisce un senso di nostalgia e sconfitta, proprio di chi si confronta con il XX secolo ma è nato dopo la declamata "fine della storia". La necessità di cambiamento, da esprimere attraverso una progettualità che abbraccia la politica come impegno di vita che mira alla trasformazione dell'esistente richiede nuove risposte. Che i protagonisti di ieri siano inadatti è indubitabile, data la situazione in cui il paese è arrivato al 2014 che sta per iniziare. Rottamare o disprezzare il passato è però la cosa peggiore che si può fare, significherebbe rinunciare ad imparare dagli errori che sono già stati compiuti. Così come ha poco senso proseguire nel malcostume che fa della storia un campo in cui schierare opposte tifoserie.
Recuperare il rispetto tra scelte diverse, il valore del confronto e della dialettica, aiuterebbe a abbandonare «l'illusione ottica che le manovre di palazzo possano sostituire la mancanza di una vera rappresentatività degli elettori». Non dimenticare questa lezione e tornare a discutere anche a un livello alto aiuterebbe in ciò che ancora esiste nella lunga tradizione partita da Gramsci e Togliatti. Questo breve spaccato di due protagonisti della sinistra è in questo senso una lezione umana e quindi politica.
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