Mercoledì, 25 Dicembre 2013 00:00

Insurrezione di gennaio: il tentativo di rivoluzione fallito dei comunisti tedeschi

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Novembre 1918.

Sono gli ultimi giorni di guerra, i soldati tedeschi muoiono a grappoli sotto i gas e le bombe inglesi nelle Fiandre. Si prepara la pace di Versailles: l’imperatore Guglielmo II e Max von Baden, il cancelliere, stanno trattando con gli alleati.

Da mesi la capitale Berlino è sconvolta dalle proteste lanciate dallo Spartakus-Bund, la principale formazione comunista tedesca scissasi nel 1914 dai socialdemocratici della SPD.

Lo Spartakus invoca l’immediata fine della guerra e una riforma radicale di stampo socialista nel Reich, e in città scoppiano disordini.

Nello stesso mese viene fondato dai membri del comitato esecutivo dello Spartakus Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht ed Ernst Thälmann il KPD, il partito comunista tedesco. Agli inizi di dicembre, poco dopo la fine della guerra, il neonato KPD conta già oltre 150.000 iscritti, e il suo primo congresso si terrà tra dicembre 1918 e gennaio 1919.

Dopo la fuga dell’imperatore e la fondazione della Repubblica di Weimar, il KPD entra in parlamento. Subito propone un pacchetto di riforme di stampo socialista, tese a combattere l’inflazione e i disagi sociali che seguono la fine della guerra e il potere nascente di gruppi paramilitari di estrema destra. Le riforme, che trovano grandissima approvazione popolare, sono tuttavia respinte da SPD, liberali ed estrema destra, e il presidente della repubblica Friedrich Ebert (SPD) decide di usare il pugno di ferro con i comunisti che scendono in strada in tutto il paese per protestare contro la decisione del parlamento.

Le manifestazioni, inizialmente pacifiche, sono ovunque caricate dalla polizia ed assaltate dai nazionalisti di destra: i morti si contano a dozzine, la sezione centrale di Berlino del partito comunista viene data alle fiamme e il più esaltato tra coloro che appiccano il fuoco all’edificio si chiama Adolf Hitler.

Mentre i deputati Haase, Dittmann e Barth si dimettono per protesta, il KPD e lo Spartakus si danno appuntamento in piazza a Berlino il 5 gennaio per una grande manifestazione contro la repressione violentissima attuata da Ebert e il rifiuto del parlamento di varare le riforme necessarie per placare la crisi economica che comincia ad attanagliare la Germania.

Le frange più estreme delle due formazioni comuniste già nutrono progetti eversivi: viene scoperto un attentato contro Ebert e due ministri del suo gabinetto, e la polizia sospetta un tentativo di insurrezione.

Ebert fa dimettere il capo della polizia di Berlino, considerato vicino ai comunisti, e lo fa sostituire con Wilhelm Reinhard, che diventerà poi comandante delle SS, con l’istruzione di “usare il pugno di ferro per impedire qualsiasi atto di matrice eversiva”. Reinhard riunisce soldati regolari e “gruppi volontari”, squadracce di estrema destra accomunate dall’odio per i comunisti.

La mattina del 5 gennaio lo Spartakus-Bund in tutta la sua forza marcia per le strade di Berlino: i comunisti sono 500.000 e inondano le strade della capitale di bandiere rosse. I poliziotti hanno blindato le sedi della SPD e dei liberali con cavalli di frisia e nidi di mitragliatrici. Si temono fortemente atti violenti, e qualcuno insinua che i “volontari” di Reinhard non aspettino altro.

Secondo Reinhard si sarebbero certamente verificati disordini più o meno gravi, ma nessuno immaginava che il 5 gennaio fosse stato scelto dall’ala radicale dello Spartakus e del KPD come la data d’inizio della rivoluzione bolscevica tedesca. Come in Russia, i rivoltosi attendono il momento opportuno: le armi non mancano, si dice che siano state importate dalla Russia con la complicità del Cremlino, in mano a Lenin. In tutto, i rivoltosi sono alcune migliaia, tutti portano appuntata sul bavero della giacca la stella rossa.

La “rivoluzione” inizia alle undici di mattina: i bolscevichi tedeschi si staccano dal corteo e irrompono nella sede del Vorwärts, il giornale della SPD. Vengono occupati fulmineamente anche la redazione della Berliner Tageszeitung, il maggior quotidiano berlinese, diverse stamperie e la centrale telegrafica. Dalla sede del giornale pende ora uno striscione: “Proletari tedeschi, avanti alla lotta - Fronte bolscevico rivoluzionario”. Le rotatorie vengono sfruttate per stampare decine di migliaia di volantini che invitano la popolazione ad unirsi ai rivoluzionari.

Prima che Reinhard possa inviare un reggimento alla riconquista degli edifici occupati, le strade sono sbarrate da barricate e ovunque alle finestre compaiono bandiere rosse. Dietro le bandiere, fanno capolino le canne dei fucili.

Il KPD, tuttavia, resta assolutamente sorpreso dall’insurrezione: il comitato centrale non era a conoscenza dei piani rivoluzionari della sua ala estremista. Molti premono per prendere parte all’insurrezione, che sembra andare a buon fine, ma molti preferiscono una dissociazione del KPD da ogni atto armato. Ma il timore di Liebknecht è che una dissociazione possa allontanare il neonato partito dai comunisti favorevoli all’azione armata e portare a una scissione al suo interno. Dopo tre ore di dibattito, il KPD aderisce alla rivoluzione ed esorta i suoi militanti ad armarsi e a prendere parte alla “lotta rivoluzionaria”.

Si forma un “comitato rivoluzionario” composto da membri del KPD e dello Spartakus-Bund. I rivoltosi, che raggiungono il numero di 50.000, falliscono nel tentativo di occupare il parlamento e gli altri edifici istituzionali. Reinhard scatena addosso ai comunisti tutti i 350.000 uomini della guarnigione berlinese. Per la prima volta, la “rivoluzione” prende una piega negativa per i militanti asserragliati nelle stamperie.

Il 10 gennaio, cinque giorni dopo l’occupazione dei giornali, gli uomini di Reinhard sfondano le barricate ed espugnano la sede del Vorwärts e le tipografie. Tutti i rivoltosi trovati in possesso di un’arma sono fucilati. Adolf Hitler combatte in prima linea. Lo stesso giorno, Reinhard fa arrestare tutti i membri del KPD trovati nella sezione centrale. Gli insorti, scesi a 4.000, controllano solo la centrale telegrafica, che perderanno il giorno seguente, 11 gennaio. La popolazione non si è unita ai bolscevichi tedeschi, la rivoluzione è fallita.

Il 12 gennaio, tutto è finito. Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht sono fermati a casa di un amico e vengono uccisi da soldati e ausiliari durante il tragitto verso la centrale di polizia. Tentativi di rivoluzione a Potsdam e Dresda falliscono. Altri seimila membri del partito comunista e dello Spartakus vengono gettati nelle prigioni berlinesi, lo strascico della repressione comincia. Partono i processi, che si concludono con 5800 assoluzioni e duecento condanne per “insurrezione armata” e “terrorismo eversivo”. In seguito a questi verdetti e agli assassinii dei due leader comunisti ci sono in tutta la Germania sommosse civili che terminano solo nel maggio 1919 e provocano diverse migliaia di morti. Ma non sono neanche embrioni di rivoluzione. Il KPD riesce a salvarsi solo con l’aiuto diplomatico russo dall’essere dichiarato fuorilegge.

Dopo il fallimento della “rivoluzione di gennaio”, non vi sono più speranze di trasformare la repubblica di Weimar in paese socialista. L’insurrezione, per certi versi molto simile a quella che si avrà, sette anni dopo, in Spagna, si conclude con l’azzeramento delle prospettive rivoluzionarie del movimento comunista tedesco. Tutti i suoi membri più eminenti sono controllati a vista, molti in prigione. E il popolo, come ha dimostrato con la sua mancanza di partecipazione nelle sei giornate del gennaio 1919, non è dalla parte dei comunisti.

Nelle elezioni successive il KPD ottiene tra il 10% e il 19% dei voti. Viene proibito con l’avvento al potere dei nazisti. Le tombe di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht verranno distrutte dalle SS e i loro assassini diventeranno negli anni ’40 alti funzionari del partito nazista.

Nonostante il fallimento globale del comunismo, una Germania socialista e bolscevica nata da un successo dell’insurrezione di gennaio avrebbe, secondo molti storici, evitato la dittatura nazista. E con essa quaranta milioni di morti.

Immagine tratta da: www.wikipedia.org

Niccolò Koenig

Nato a Pisa nella seconda metà degli anni 90 da padre tedesco, comincio ad interessarmi giovanissimo alla politica, studentesca e nazionale. Faccio parte dell'Unione degli Studenti, sono un iscritto dell'ultima leva dei Giovani Comunisti e milito nella LINKE tedesca. Alla passione per la politica si accompagnano quella per la musica, il cinema e la letteratura.

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