Negli ultimi venti anni la cosa è tornata di moda grazie a Insider di Michael Mann, Good night and good luck di George Clooney, Frost/Nixon - Il duello di Ron Howard, Truth con la coppia Redford-Blanchett e, naturalmente, Il caso Spotlight di Tom McCarthy.
Il rischio di cadere nelle sabbie mobili della retorica e della ripetizione era altissimo. Per questa ennesima sfida, ci voleva un gigante come Steven Spielberg a raccontarci un film classico, ma necessario e molto contemporaneo: sto parlando dell'acclamato The Post che finalmente è arrivato anche in Italia (grazie a 01 Distribution).
Per fare un'opera del genere il regista aveva bisogno di qualche asso nella manica. Ha riunito il suo cast tecnico migliore e ha ingaggiato due giganti come Tom Hanks (al suo quinto film con Spielberg) e, per la prima volta, l'attrice n°1 al mondo: Meryl Streep. Se mancava un motivo d'interesse, eccolo trovato. Ma non è il solo.
Spielberg riesce anche stavolta a compiere l'ennesimo miracolo cinematografico della sua carriera.
Come il recente L'ora più buia, è un film di interni (la redazione del giornale è uguale a quella di Tutti gli uomini del presidente), di contatti, di relazioni. Il tutto è messo in scena con impegno e fervore, straboccando di energia ed entusiasmo.
The Post parla di un'epoca apparentemente lontana (siamo nel 1971 con il repubblicano Nixon al governo, prima del Watergate) e ci preannuncia i pericoli che stiamo correndo (ovviamente Donald Trump è nel mirino). Sulla scia di Lincoln e di Tutti gli uomini del presidente. Se quest'ultimo film ha rappresentato l'emblema del cinema americano e del suo rapporto con la stampa, The Post ci racconta quello che è successo prima del collasso di Nixon con lo scandalo Watergate (a cui il finale si collega).
1971, Washington.
L'alto borghese Kay Graham (l'immensa Meryl Streep) riceve in eredità dal defunto marito Phil il comando del Washington Post. Non un giornalino qualsiasi, ma uno dei più importanti d'America. "Phil diceva che una notizia è la prima bozza della Storia".
Il cambio al vertice non è visto di buon occhio. Una donna alla guida del giornale in un periodo dove il potere era patriarcale e saldamente in mano agli uomini? Siete diventati pazzi? Per l'epoca era una minaccia. Spielberg va in controtendenza, ritenendo che sia stata l'élite culturale americana di quell'epoca buia. Una cosa molto contemporanea. La Graham era una donna che sosteneva che la qualità pagava sempre, generando di conseguenza anche profitto. Questo concetto aprì un varco considerevole per definire i suoi standard di etica, libertà e giornalismo in relazione alla sua vita. Cosa su cui vale la pena meditare.
Il film è dedicato alla straordinaria sceneggiatrice Nora Ephron (Harry ti presento Sally). Il suo secondo marito era un certo Carl Bernstein, giornalista del Post che svelò, insieme a Bob Woodward, i retroscena dello scandalo Watergate. In Tutti gli uomini del presidente era interpretato da Dustin Hoffman. L'influenza della Ephron si avverte nel film di Spielberg. I personaggi di Hanks e Streep avevano un rapporto simile a quello di Harry e Sally. Osservate le loro litigate, le loro interazioni, anche se, non fraintendetemi, non stavano insieme.
Kay è indecisa se pubblicare i Pentagon Papers, 7.000 pagine secretate che provavano che la Casa Bianca aveva mentito sulla guerra del Vietnam ai cittadini americani.
Fu il New York Times ad avere in mano i documenti per primo. Nell'ottobre del 1969, Daniel Ellsberg (Matthew Rhys), un ex-militare ed economista specializzato in analisi politiche, inviò al giornalista del Times, Neil Sheehan, tali documenti "commissionati" dal Segretario della Difesa, Robert McNamara (Bruce Greenwood). Venne fuori un gigantesco polverone. Un'ingiunzione della Corte Suprema impedì di fatto la pubblicazione. Il coraggio della Graham e del direttore del Post, Ben Bradlee (Tom Hanks), fece scrivere una delle più importanti pagine di storia del giornalismo. Ovviamente investitori, dipendenti del giornale e loro stessi erano fortemente a rischio. La loro carriera era appesa a un filo, ma lo fecero per il Paese, per i suoi cittadini e per la libertà di stampa. Lo stesso quotidiano portò alla luce il Watergate (scandalo iniziato nel 1972, culminato nel 1974 con le dimissioni di Nixon), come raccontato in Tutti gli uomini del presidente di Alan J.Pakula.
Attraverso un cinema analogico (ha girato in pellicola 35 mm, dalla grana pastosa, come ai vecchi tempi), Spielberg lavora di fioretto raccontandoci l'epoca dei pacchi di carta, l'inchiostro, le rotative, i tasti, i bottoni, gli unti ingranaggi, le macchine da scrivere (come quelle portate nell'immaginario collettivo dalla coppia Redford - Hoffman) per raccontarci tutto il processo prima della pubblicazione della notizia. Tutto ciò oggi ci fa sorridere, visto che tutto ciò è stato (quasi) soppiantato dall'elettronica. Insomma un piacere fisico, che puoi sentire, che puoi toccare. Per Steven Spielberg i giornali cartacei hanno ancora un perché. Sono il tramite tra i cittadini e le istituzioni, "lo strumento al servizio dei governati, non dei governanti". La libertà di stampa è il baluardo della democrazia. In un certo senso è un concetto molto simile a quello di Antonio Gramsci quando fondò l'Unità.
Al resto ci pensa la coppia Streep - Hanks, democratici liberal come lo stesso Spielberg, che funzionano a meraviglia regalando una recitazione perfetta. Lei è incredibile anche nel rivelare la timidezza e qualche goffaggine della Graham con cui vanta un'incredibile somiglianza fisica. Le ricostruzioni, i costumi dell'epoca fanno il resto. Il realismo è altissimo, la cura per il dettaglio è maniacale, la sceneggiatura è curatissima. È innegabile che ci sia la retorica, ma in questo caso non dà noia perchè questo è grande cinema di cui l'essere umano ha sempre bisogno.
Specie in tempi dove concetti come la libertà (di stampa, ma anche individuale) sono un optional. "La libertà di stampa consente ai giornalisti di essere i veri guardiani della democrazia, ma oggi quel diritto è minacciato di nuovo. E forse lo scenario è ancora peggiore del 1971".
Che il monito di Spielberg ci serva da esempio.
THE POST **** (USA 2018)
Regia: Steven SPIELBERG
Sceneggiatura: Josh SINGER, Liz HANNAH
Fotografia: Janusz KAMINSKI Cast: Tom HANKS, Meryl STREEP, Sarah POULSON, Bruce GREENWOOD
Durata: 2h circa
Distribuzione: 01 Distribution
Uscita: 1 Febbraio 2018
Trailer: youtu.be/E6zTC0qJhrY
La frase: «Alcuni amano la competizione e il cambiamento, io no e mi dispiace non potermi annoverare tra questi. Ma una volta che hai iniziato un percorso penso che bisogna andare fino in fondo. Non si deve cedere» (Kay Graham)
TOP
- Il trio Spielberg - Hanks - Streep funziona a meraviglia. La Streep dimostra di essere ancora la migliore attrice al mondo.
- Il parallelo tra gli anni 70 e oggi.
- L'omaggio a Nora Ephron. L'influenza di Harry ti presento Sally è evidente.
- Un film necessario per i tempi che corrono.
- L'atto di accusa contro Nixon e il parallelo con l'amministrazione Trump.
- Un inno a favore dei giornali, della libertà di stampa e delle donne.
- Il cinema analogico (Spielberg ha girato in pellicola 35 mm) messo in parallelo con il giornalismo e l'evoluzione tecnologica.
- La continuità con pellicole come Tutti gli uomini del presidente e Lincoln.
- La cura maniacale per i dettagli (costumi, ricostruzioni degli interni, la somiglianza tra la vera Graham e la Streep, le rotative).
FLOP
- La retorica c'è, ma è necessaria per raccontare questa storia.
- Il rischio di raccontare delle tematiche già abbastanza note (anche nel cinema) in maniera "idealizzata".
- È un film molto classico della scuola "democratica-liberal" statunitense.
Immagine di copertina liberamente ripresa da leganerd.com, le altre immagini sono state liberamente riprese da www.comingsoon.it (per la locandina), www.awardsdaily.com e people.com