Giovedì, 21 Novembre 2013 00:00

Arte della felicità - Cinema italiano e nuove tecniche

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Piccolo gioiello della 70° mostra del cinema di Venezia, “L’arte della felicità”, primo lungometraggio di Alessandro Rak, riunisce in sé la visionarietà del cinema di animazione e la drammaticità di un film per adulti. L’opera nasce da un’idea di Luciano Stella che ne è anche il produttore, il quale si impegna da nove anni nell’organizzazione di un festival che porta lo stesso nome del titolo del film, in cui si incontrano personaggi che discutono sul complesso tema della felicità. Proprio da questi scambi nasce l’idea del film.

Il produttore per trasformare in immagini le riflessioni emerse durante questi anni, si è avvalso della creatività del fumettista napoletano Rak, il quale è riuscito a sperimentare una tecnica cinematografica in Italia mai vista che ricorda molto la pellicola americana “A scanner darkly”. 

Il film si svolge in una Napoli dall’atmosfera apocalittica infestata dai rifiuti e bagnata da una pioggia incessante; per queste strade si muove Sergio, il protagonista. Questi a bordo del suo taxi sembra essere immune dalla realtà collettiva che lo circonda, essendosi rinchiuso in se stesso per l’incapacità di superare un lutto che lo ha segnato irrimediabilmente: si tratta della perdita del fratello Alfredo, con il quale condivideva non solo il legame familiare ma anche una viscerale passione per la musica. Da quando il fratello decide di partire il Tibet e vivere da monaco buddista, Sergio si barrica in un cinico isolamento misto di dolore e rancore. 

A scardinare la solitudine del protagonista sarà la realtà che si riversa all’interno del taxi attraverso il succedersi di vari personaggi che lo rendono partecipe del proprio modo di affrontare la vita e la felicità. Fra le tante figure tre sono quelle che incidono maggiormente su Sergio scalfendone un po’ la fredda corazza: lo zio, unico membro della famiglia – Alfredo a parte – che, col suo modo di fare scanzonato e ironico, trova la stima del protagonista da sempre profondamente legato a lui; lo speaker della trasmissione radiofonica “L’arte della felicità” che sempre fa da sottofondo al girare a vuoto di Sergio; infine una bella sconosciuta che da quando si fa dare un passaggio non smette di essere un pensiero costante, seppur inconscio,nella mente del protagonista.

Tanti temi in questo film, forse troppi: la difficoltà di accettare la perdita di un caro, il risentimento e la delusione nei confronti della vita, la rinuncia ai propri sogni, l’incapacità di dare un senso alla propria esistenza, lo squallore e la mediocrità del mondo circostante accentuata dalla scelta di ambientare il cartone in una Napoli martoriata e devastata. Tuttavia non solo dolore, rabbia e “insostenibile insensatezza dell’essere”, ma anche riscatto, amore e riscoperta di una bellezza del mondo, che per quanto nascosta o umiliata continua comunque a palpitare. E sarà grazie alla saggezza del fratello che filtra attraverso struggenti flashback nei ricordi di Sergio e al sogno di una catastrofica apocalisse che il protagonista riuscirà ad uscire dall’atrofizzata empasse e dal taxi in cui si era relegato e a ritrovare quell’arte della felicità che gli permetterà di re-immettersi nel flusso imprevedibile della vita.

Le immagini che scorrono sullo schermo pur essendo animazioni, sono piene di realismo grazie alla loro forza evocativa data da una meticolosa attenzione al dettaglio: dai mozziconi e le fotografie presenti nel taxi, alle rughe dei volti dei personaggi, alle schegge sottili della pioggia. Anche i colori sono funzionali all’anestesia emotiva del protagonista passando dallo spento grigiore e la luce tetra che anima le scene per tutto il film, fino ad un finale rischiarato finalmente dai barlumi di un nuovo giorno. 

Il film risulta forse eccessivamente ridondante a causa dell’abbondanza di tematiche che hanno una portata significativa che lascerebbe spazio a maggiori interpretazioni o approfondimenti, e che invece qui può risultare a volte troppo semplificata, ma nel suo insieme, grazie alla bellezza dei disegni, alle suggestive e trascinanti musiche – per piano e sax – degli ottimi Antonio Fresa e Luigi Scialdone, una buona analisi psicologica del personaggio e all’efficace ambientazione risulta un  esperimento probabilmente destinato a rimanere nella storia del cinema di animazione italiano.

[Voto 7,5 su 10]

L'arte della felicità, Italia, 2013, animazione, durata 83', regia di Alessandro Rak

Lorenzo Palandri

Sono nato a Firenze il 07-02-1990. Diplomato nel 2009 al Liceo Scientifico Guido Castelnuovo, frequento a tutt’oggi la Facoltà di Ingegneria, e sono iscritto al corso di Laurea in Ingegneria Civile. Sono rappresentante degli studenti del corso di laurea e della facoltà. I miei interessi sono la politica, il cinema, la letteratura e il buon vino.

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