Martedì, 20 Maggio 2014 00:00

Di Europa, elezioni e populismo.

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Ogni cinque anni in occasione delle elezioni europee si ripete l’avvilente ritornello “più Italia in Europa”. Anche a motivo della scarsa prossimità tra eletti all’europarlamento ed elettori italiani questi ultimi tendono a privilegiare i temi politici nazionali, spingendo i partiti in lizza a una competizione per misurare il proprio peso. Incidentalmente, anche per questo ritengo che lo sbarramento sia una norma positiva: riduce la proliferazione delle liste (26 nel 1999 e 25 nel 2004 prima dell’introduzione dello sbarramento; 16 nel 2009 e 12 quest’anno dopo lo sbarramento), la frammentazione politica e quindi il rischio Weimar.

Quest’anno però il ritornello acquisisce un suo senso apparentemente paradossale ma in realtà espressione della dialettica della storia. Il movimento storico dell’integrazione europea, che non è possibile fermare, egemonizza infatti i singoli Paesi e trasforma i loro temi specifici in temi europei, spesso condivisi.
Il grande tema cui l’Europa deve far fronte ora è la pericolosa avanzata di partiti fascisti, che dagli anelli più deboli dell’Unione si sta diffondendo via via verso i Paesi più forti. Da quando nel 2010 Alba Dorata ottenne il 5% alle comunali di Atene siamo giunti oggi ad avere il Movimento 5 stelle, il Front national e lo Ukip assestati su un quarto dei voti nei rispettivi Paesi. Non tutte queste formazioni hanno un’immagine chiaramente fascista, ma è modesta opinione di chi scrive che l’iper-populismo non abbia altro sbocco che il governo totalitario del grande capitale, la repressione spietata degli oppositori politici e il ritorno ad una violenta politica di odio e di persecuzione verso le minoranze.

Si tratta, com’è evidente, di un tema spaventoso per un’Europa che nel primo Novecento è stata devastata dalla guerra e dai genocidi. Non possiamo permetterci di essere convinti che i tempi dei Lager non torneranno: nel 1928 il patto Briand-Kellogg dava per sicuramente acquisita la pace europea, e nel 1930 il cancelliere tedesco Brüning era di fatto convinto che i nazisti non avessero serie possibilità. È necessario riconoscere che forni crematori e camere a gas sono stati in funzione una volta e niente assicura che non potranno tornare ancora in funzione.
Respingere la minaccia fascista nei singoli Paesi equivale quindi a respingerla a livello europeo.

Certo non è possibile fare appello a un semplice rispetto verso la democrazia, le istituzioni, l’idea di integrazione, eccetera, perché questi argomenti si basano sull’autorepressione delle pulsioni e la convinzione razionale, mentre chi vota i fascisti dà appunto sfogo alle proprie pulsioni di morte. In altri termini, se valori come democrazia, rispetto, libertà, fossero acquisiti dall’elettore il problema fascista semplicemente non esisterebbe.
Quale deve essere dunque la strategia delle forze antifasciste e degli elettori antifascisti, una volta riconosciuta questa situazione? Evidentemente quella di non aver paura a dire che le politiche europee devono essere cambiate, e di apparire i soggetti più credibili di operare questo cambiamento. L’elettore che vota fascista realizza la propria decisione con due apparati, quello digerente e quello riproduttivo. È perciò necessario fare appello a questi due lati – apparire cioè i più credibili agli occhi dell’intestino, agli occhi dell’organo sessuale.

Com’è composto lo spettro politico italiano? Si possono distinguere, globalmente, tre grandi campi. Il primo è quello dei partiti democratici che si riconoscono pienamente nella Costituzione e che assumono la lealtà formale e sostanziale alla Costituzione come un aspetto fondante della propria identità politica. Sono queste le liste dei partiti che sostengono il Governo Renzi: Partito Democratico, Nuovo Centrodestra-UdC, Scelta Europea.
Il secondo gruppo è quello della violenza contro la costituzione democratica dell’Italia e contro le istituzioni nate dalla vittoria sul fascismo, ed è costituito dal solo Movimento 5 Stelle.
Vi è infine un terzo gruppo, che potremmo chiamare “disequilibrati”. Si compone di quelle formazioni che a livello fattuale sono inserite nel contesto democratico e sono di fatto rispettose della democrazia, anche quando non ne siano consapevoli (o siano addirittura convinte del contrario), anche quando eccedano in violenze verbali o di immagine. Al tempo stesso, assumono però comportamenti che con atti favoriscono le condizioni che portano al fascismo (fomentando appunto violenza o funzioni di rivolta anale o sessuale) o con omissioni indeboliscono il fronte democratico (non sostenendo il Governo antifascista). Queste liste sono Forza Italia, la Lega, Fratelli d’Italia, L’Altra Europa con Tsipras. Presentano una notevole disomogeneità (per fare solo un esempio, FI e Lega hanno un elettorato poco interessato alla politica, gli elettori di Fd’I e AET invece la seguono molto).
Uno degli ultimi sondaggi divulgati, realizzato da Ipsos e pubblicato sul Corriere della Sera l’8 maggio, presentava una serie di dati estremamente interessanti. Il maggior consenso all’area fascista proveniva dai settori molto colpiti dalla crisi economica (operai / disoccupati / commercianti, artigiani, autonomi / persone tra i 18 e i 44 anni) e da quelli dotati di cultura mediocre (chi si informa solo con la tv / chi ha la licenza media / chi si informa soprattutto con Internet). È ragionevole sospettare che in qualche caso le due aree si sovrappongano (pensiamo al 30enne disoccupato con licenza media che si informa con tv, facebook e blog di Grillo). In queste fasce non solo i fascisti superano il 33% dei consensi, ma anche i disequilibrati antipolitici sono forti (specie grazie alla Lega).

Dopo che Grillo ha gridato di essere oltre Hitler e di voler processare i politici in caso di vittoria non vi è dubbio che chi continua a votarlo sia nazista dentro. Tuttavia questo nazismo, esploso in occasione della crisi economica, è stato latente per molti anni perciò vi è ragione di ritenere che sia possibile almeno ridurlo nuovamente in condizione di quiescenza. A questo fine l’unica strategia messa in campo pare essere quella renziana, che cerca di togliere il terreno sotto i piedi al M5S tramite un duplice movimento economico (gli 80 euro) e culturale (l’uso di un lessico populista a fini antipopulisti).

Vi sono a parer mio molte ragioni per votare il Partito Democratico. È il più forte tra i partiti antifascisti in termini di consenso. È il più forte partito antifascista quanto ad aspettativa di sopravvivenza nel lungo periodo. È il partito di cui è segretario il capo dell’attuale governo antinazista. Ma, soprattutto, è l’unico partito dotato di una strategia per frenare la canaglia fascista. I suoi alleati di governo, infatti, sono rivolti principalmente ad un duello a distanza con i disequilibrati (Nuovo Centrodestra) oppure portano avanti una lotta antifascista “senza se e senza ma” nobile sì ma di pura testimonianza (Scelta Europea).
L’8 marzo 1944 un treno carico di deportati politici partiva dalla mia città, Firenze, alla volta del campo di stermino di Mauthausen. Nel mio quartiere una scuola ha ricordato il 70° dell’evento ponendo in un parco pubblico una lapide che ammonisce contro «l’atroce progetto di pochi accompagnato dalla complicità e dall’indifferenza di molti».
Invito chiunque voglia fermare Giuseppe Grillo e le sue mire di processare gli oppositori politici a non restare nell’area dell’indifferenza, a dare forza alla lotta antifascista e a votare, il 25 maggio, il Partito Democratico.

 

Immagine tratta da: www.linkiesta.it

Ultima modifica il Lunedì, 19 Maggio 2014 21:51
Jacopo Vannucchi

Nato a Firenze nel 1989. Ho conseguito la laurea triennale in Storia con una tesi sul thatcherismo e la magistrale in Scienze storiche con una ricerca su Palazzuolo di Romagna in età risorgimentale. Di formazione marxista, mi sono iscritto ai Democratici di Sinistra nel 2006 e al Partito Democratico nel 2007.

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