L'altra Europa con Tsipras ha preso il 4.03% dei voti alle europee ottenendo 3 parlamentari. Che bello, no anzi: che brutto... A vedere cosa è successo dal giorno dopo le elezioni e da cosa sta succedendo in questi giorni con il caso Spinelli viene da dire che brutto...
Dirò in modo semplice e chiaro come la penso per poi andare avanti. Penso che se la grande forza dei garanti e di chi ha messo in piedi il progetto della lista sia stato un accorto equilibrio tra lavorio dietro le quinte e dibattito pubblico (magistrale quel “SEL da sola sarebbe un forma di omicidio suicidio della sinistra” rivolto a Vendola), in questo caso l'errore sia stato quello di non far arrivare all'esterno le difficoltà e i problemi, nel non rendere pubblico un passaggio, ma di renderne note le conclusioni e di dover poi stare a spiegare l'accaduto. Se in base al risultato elettorale complessivo si riteneva che quell'impegno a non accettare il seggio dovesse essere da ripensare in base a considerazioni politiche (la Spinelli di certo non è una tronista) allora quel ripensamento doveva essere frutto, oltre che di una preventiva riflessione personale, di un dibattito pubblico, il ripensamento di un'intera comunità che avrebbe avuto in questo modo un ulteriore modo di crescere e formarsi come tale.
Per essere altrettanto chiaro: parlo di dibattito pubblico, di prese di posizioni e di confronto. Ho sentito in questi giorni alcuni deliri burocratizzanti sul come decidere: stupidaggini. Si fa per alzata di mano in un'assemblea nazionale? Chi ci va? Rappresentanza ponderata? Su quale “base di iscritti”? Domande analoghe su espressioni prive di senso tipo “decidano i territori!”... sì... ok... come? Non si tratta di prendere una decisione in sei mesi ma in 15 giorni (e già son troppi) quindi rimaniamo su cose reali.
La realtà è quindi che un progetto politico pensato da pochissimi e gestito da pochi con la partecipazione di moltissimi, organizzati e non, è riuscito a portare a casa il risultato: ci siamo presentati insieme alle elezioni europee ed abbiamo eletto dei nostri rappresentanti.
Al netto di qualche errore e delle molte difficoltà una volta tanto possiamo dirci: sono andato a votare, non ho buttato il mio voto nel cesso e ho fatto una campagna elettorale bella e che è servita veramente. Certo ho litigato con quello e a quell'altro gli puzza un po' il culo, però abbiamo vinto insieme.
Penso quindi che seppur siano giuste le discussioni e le critiche (il mio giudizio sulla vicenda non è certo positivo), ed è ovvio che il casino della vicenda non aiuta nessuno (nessuno), le tifoserie che si sono create in questi giorni sono una cosa indegna di noi tutti. L'esistenza delle tifoserie è anche conseguenza della mancanza di quel dibattito di cui dicevo prima: essendo una cosa importante e mancando altro da fare allora la gente si arrovella e si attorciglia sull'argomento. Abbiamo parlato per 3 mesi di Europa, di sinistra europea e di politica: quella vera, quella che discute e litiga sul come fare le cose ma che ragiona e si interroga su come cambiare assieme l'esistente. Per tre mesi abbiamo respirato un'aria più pulita, diciamocelo e ricordiamocelo. Adesso siamo ricaduti nel nostro piccolo provincialismo. È una responsabilità collettiva che gli errori fatti, da parte tutti i coinvolti, hanno contribuito a costruire.
E quindi tutti a casa? Nemmeno per sogno.
Nel bilancio provvisorio di questa esperienza dobbiamo metterci il bello ed il brutto per analizzarli ed andare oltre assieme, non per vedere qual'è il piatto più pesante e chi ci ha messo di più nell'uno o nell'altro: fra i tanti ipercritici della primissima e dell'ultimissima ora ci sono tanti che dicono “io avrei fatto così o cosà” … e però se questo progetto politico è il primo che dopo tanti anni di sconfitte e di parabole discendenti in termini di partecipazione e di gioia del partecipare, ha segnato un'inversione di tendenza vuol dire che chi sapeva cosa fare e come farlo non l'ha fatto, ergo non sapeva proprio fino in fondo come farlo, no?
Quindi, per favore, giuste, ed in parte condivisibili, le critiche ma fatte con l'umiltà e l'onestà intellettuale di chi negli ultimi dieci anni non ne ha azzeccata una, di chi, stando sempre a guardare le organizzazioni politiche da fuori, non è stato in grado di portare un mutamento come invece è accaduto con questa avventura. Critiche accompagnate da proposte, critiche non fatte con l'atteggiamento di chi è lì che aspetta un passo falso (e questa vicenda è stata un enorme passo falso) per pareggiare non si sa quale punteggio immaginario.
Con calma e gesso quindi ragioniamo di cosa abbiamo e di cosa vogliamo.
Abbiamo avuto sabato 7 un'assemblea in cui, nonostante tutti i problemi di cui sopra, c'è stato un clima positivo, civile.C'è stata tanta “autocoscienza” collettiva e tanti desiderata e “vorremmo”, “c'è bisogno”. Va bene: nelle prime fasi di un processo è naturale avere poche proposte concrete prendiamo quindi la spinta in positivo per andare oltre l'autocoscienza ed i desideri.
Abbiamo un gruppo parlamentare in Europa che nei prossimi giorni incomincerà a lavorare: il lavoro dei nostri parlamentari deve essere per noi essere oggetto di dibattito pubblico, di formazione per noi. Quanti sanno veramente come funziona, politicamente, il parlamento europeo? Quali le difficoltà, quali le battaglie al di là dei grandissimi temi? Ecco su queste cose dovremmo incominciare a costruire la nostra comunità politica: formandoci e utilizzando questo dibattito per tirare un po' fuori la testa da questioni politiciste e provinciali che inevitabilmente ci seguiranno a lungo. Non si tratta infatti di liquidare come inesistenti o poco importanti questi problemi, ma piuttosto di riuscire ad affrontarli avendo costruito nel frattempo un convivere comune che ci permetta di dire “ora entriamo in quella stanza da compagni, si litiga si urla e si strepita perché la politica è anche passione, ma quando ne usciremo saremo più compagni di prima”.
Allo stesso tempo dobbiamo un po' organizzarci. Questo organizzarci però non può e deve essere una mania gerarchizzante che sposti il dibattito locale da “facciamo una cena di autofinanziamento e dibattito” a “chi è il coordinatore e chi va Roma”, che sarebbe la nostra morte. Ci conosciamo, conosciamo i polli che siamo, quindi non cadiamo in questo errore. Sarebbe un errore anche perché nella retorica del “uniamoci” c'è sempre la sottintesa illusione che questo uccida le strutture organizzate preesistenti (e per chi ne fa parte diventa l'illusione di uccidere l'organizzazione di quell'altro prima della tua per poter dire io tot anni fa avevo ragione e te no, gnè gnè gnè) e che questo partiticidio sia una cosa possibile e senza conseguenze.
Ma i partiti cambiano, chiudono e nascono in base alla forza del loro progetto politico, non perché qualcuno li ammazza. Chi crede quindi che questo progetto debba avere forza, gli dia forza. Punto. In politica, come nella vita, l'astio non serve.
Dobbiamo quindi costruire una nuova cultura politica, rinnovarla generazionalmente e innovarla in modo rivoluzionario dal punto di vista di quale modello delle relazioni umane vogliamo che si basi la nostra comunità. Questo è un lavoro che è intellettuale prima ma che è poi personale (e quindi politicissimo) per ciascuno di noi. Abbiamo bisogno di una summer of love della sinistra italiana.
Se avessimo Jimmy Hendrix saremmo già a posto.
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