Fausto Durante, responsabile del Segretariato Europa della CGIL, è membro del board europeo che gestisce la campagna. Come e a chi è venuta l'idea di New Deal 4 Europe?
L'idea di una iniziativa di partecipazione democratica dei cittadini europei, volta a chiedere interventi concreti e vincolanti sulla politica industriale in Europa, è maturata pressoché contemporaneamente nelle autonome ma convergenti riflessioni del Movimento federalista europeo e di molte confederazioni sindacali nazionali. Nel 2013, non casualmente visto il fallimento delle politiche economiche dell'Unione europea e l'aggravarsi della crisi e delle sue conseguenze, hanno preso forma il “Piano del lavoro” della Cgil, il “Nuovo piano Marshall per l'Europa” del sindacato tedesco Dgb, la proposta di “Un nuovo corso per l'Europa” della Confederazione europea dei sindacati. Alle elaborazioni del movimento sindacale, che vivono delle iniziative di mobilitazione e di lotta proprie del mondo del lavoro, si è aggiunta la suggestione del Movimento federalista di una raccolta di firme su scala europea, per accompagnare e irrobustire, con almeno un milione di sottoscrizioni in almeno sette Paesi europei, l'idea di un cambio di passo nelle politiche europee in campo economico e industriale. Il tutto con l'obiettivo di affrontare, anche per questa via, il gigantesco problema della disoccupazione, specie di quella giovanile. Il filo conduttore di tutte queste proposte è la ripresa dalla crisi, la creazione di nuova e stabile occupazione, la ricostruzione di un forte, competitivo e sostenibile apparato produttivo europeo.
La CGIL è tra le organizzazioni che promuovono l'iniziativa e quest'anno, con l'elezione di Salvatore Marra a Presidente del Comitato Giovani della Confederazione Europea dei Sindacati, ha avuto un'ulteriore riconoscimento per il lavoro fatto in ambito continentale. Nonostante questo, è innegabile che la dimensione europea resta quanto di più lontano ci sia oggi per i lavoratori. Di Europa si parla solo in termini di una “matrigna cattiva” che impone sacrifici e tagli e mai di un'opportunità che, se colta, potrebbe contribuire in modo non marginale al rilancio dell'occupazione e della produzione.
È proprio così. Il sogno europeo si è trasformato in un incubo, a causa della ostinazione delle autorità europee a perseguire una strada di ispirazione tecnoliberista per l'uscita dalla crisi. Una strada fatta di rigore e disciplina occhiuta di bilancio, di tagli nella spesa pubblica (specie nei settori chiave dell'istruzione e dei sistemi di protezione sociale), di attacchi al modello sociale europeo, ai diritti dei lavoratori, ai livelli occupazionali nel lavoro pubblico come in quello privato. Accanto a tutto ciò, abbiamo assistito al colpevole e consapevole ritrarsi degli Stati da ogni ruolo nelle politiche industriali, con la conseguenza che le grandi imprese globali e le multinazionali si sono mosse in Europa con sempre meno vincoli e obblighi sociali. È chiaro che un'Europa così perde qualsiasi fascino e forza attrattiva, specie per le fasce più deboli della società che vedono sempre più allargarsi divari e disuguaglianze. Una specie di tradimento rispetto all'Europa della speranza, delle opportunità, del progresso, gli elementi vincenti dell'idea di costruzione dell'Europa. Un processo frenato dalla paura di proseguire sulla strada dell'integrazione, dalla mancanza di visione delle leadership politiche, dal prevalere della dimensione tecnica ed economica rispetto a quella democratica e partecipativa. Oggi l'Unione europea è un concentrato di contraddizioni e di percorsi incompiuti: una moneta senza Stato, un Parlamento con poteri limitati pur essendo l'unico organo elettivo, un gigantismo economico insieme al nanismo politico, una architettura istituzionale senza la necessaria legittimità democratica. Per questo insieme di fattori l'idea stessa di Europa è in un cono d'ombra, da cui bisogna urgentemente farla uscire.
La campagna New Deal 4 Europe si basa su un'ICE, un'iniziativa dei cittadini europei: come previsto dal Trattato di Lisbona, i cittadini dei paesi europei possono organizzarsi per la raccolta di firme a sostegno di una proposta di legge di iniziativa popolare. Un modo per avvicinare a tutti, ai lavoratori, le istituzioni di Bruxelles e per provare a sviluppare un senso di appartenenza comunitario che è rimasto alla stato embrionale?
L'Europa ha bisogno di democrazia, di partecipazione attiva, di cittadinanza consapevole, di protagonismo popolare. È il miglior antidoto alla sfiducia che prevale se si guarda alla freddezza dei palazzi di Bruxelles e di Strasburgo, alla lontananza e all'opacità di un processo decisionale che avviene senza un reale coinvolgimento delle donne e degli uomini dei diversi Stati europei. L'idea di ricorrere allo strumento dell'Iniziativa dei cittadini europei, che prevede la raccolta di almeno un milione di firme, guarda appunto alla necessità di un processo di connessione tra istituzioni e popolo, decisivo per il futuro dell'Europa. La democrazia reale e sostanziale deve diventare sempre più l'obiettivo da perseguire, se vogliamo una prospettiva radicalmente differente da quella disegnata dalla troika, dai poteri economici, dalla euroburocrazia. Una democrazia che vive di azione militante e impegno culturale, di banchetti e gazebo per raccogliere concretamente le firme necessarie e di iniziative politiche per rilanciare l'idea di un'Europa diversa. Naturalmente, con la giusta attenzione ai cambiamenti di tendenze e abitudini e al nuovo ruolo del web: non è un caso che la ICE possa essere sottoscritta anche online, un ulteriore conferma del possibile ruolo della rete come luogo di presenza democratica nel processo di formazione delle scelte e delle decisioni.
Come abbiamo detto, questa proposta di legge, oltre a provare a dare un impulso all'occupazione rispettando la sostenibilità ambientale, pone l'accento su tutta una serie di questioni riguardo la democrazia e la partecipazione in Europa. I risultati delle ultime elezioni europee hanno mostrato come l'Europa delle “grandi intese” crei malumori sempre maggiori, che possono declinarsi in ottimi risultati di forze di sinistra, come è successo in Grecia con Syriza o in Irlanda con il Sinn Féin, oppure con preoccupanti exploit di forze antieuropeiste e reazionarie, come il Front National di Marine Le Pen o l'UKIP di Farage nel regno Unito. Non credi che l'accordo tra popolari e socialisti sul nome di Junker non vada a fare altro che ribadire una linea che porterà al progressivo distacco dell'opinione pubblica da una qualsiasi idea di riscatto europeo?
L'accordo tra socialisti e popolari europei e la convergenza sul nome di Jean Claude Juncker sono apparsi l'unica strada percorribile, a fronte del mancato raggiungimento di una maggioranza chiara e autosufficiente al Parlamento europeo. Ritengo che ciò che conti davvero, in una situazione dagli equilibri così precari, sia la consapevolezza della necessità di cambiare l'asse e il segno delle politiche europee. Una Commissione che si muovesse nel solco tracciato da Barroso, l'interprete più fedele dell'ortodossia ultraliberista nello scenario globale degli ultimi anni, non farebbe altro che accentuare la distanza tra l'Europa e i suoi cittadini. Spero che la lezione delle ultime elezioni sia stata compresa. Se non cambia strada, l'Europa muore, stretta come sarà tra sfiducia e disagio sociale da una parte, ritorno di nazionalismi, tentazioni autoritarie, riflessi identitari delle piccole patrie dall'altra. Personalmente, sono convinto che molto dipenderà dal grado di influenza che le forze della sinistra riusciranno a esercitare rispetto ai popolari e ai conservatori; e che lo scontro, da cui dipenderanno anche le prospettive future della sinistra europea, sarà principalmente sul terreno economico. Politiche industriali, equa redistribuzione della ricchezza, lotta alla disoccupazione, salario minimo europeo, contrattazione collettiva, rilancio della dimensione pubblica, contrasto alla precarietà e alle disuguaglianze, welfare rinnovato e inclusivo. Passa da qui la strada per una nuova sinistra e una nuova Europa.