Rispetto alle scorse elezioni Likud e Yisrael Beiteinu perdono complessivamente undici seggi, Kadima ne perde ventisei, HaBayit HaYehudi di Bennett ne guadagna nove, UTJ ne guadagna due, il Labor ne guadagna due e Meretz ne guadagna tre. Stabili gli arabi. Nessuno è riuscito a cogliere i segnali che lasciavano presagire un simile cambiamento, nemmeno coloro che seguono attentamente la politica israeliana da anni, forse obnubilati dalle continue rodomontate di Netanyahu.
Eppure fin dall'estate del 2011, l'anno delle proteste, il malcontento delle classi medie era palpabile. Il Governo precedente non ha saputo e non ha voluto affrontare né la questione della legge Tal sull'esenzione dal servizio militare degli ultraortodossi né i gravi problemi economici che l'economia israeliana sta affrontando – dall'alto livello dei prezzi alla carenza di immobili nelle grandi città – puntando tutto sul securitarismo e su una retorica nazionalista che ha dimostrato da tempo tutte le sue fatali debolezze.
Netanyahu si è gettato nelle braccia di haredim e coloni e ha creduto fino all'ultimo che gli israeliani fossero più disposti a guardare i “razzi” palestinesi o l'Iran piuttosto che i prezzi nei supermercati, sbagliando clamorosamente. Ma se Bibi piange, Bennett non ride. La sua lista ha guadagnato molto, è vero, ma non quanto i suoi sostenitori si aspettavano, non quanto la sua indubbia capacità mediatica aveva lasciato presagire. HaBayit HaYehudi ha essenzialmente aggiunto al suo tre percento del 2009 metà dei voti di Lieberman rimasti orfani. Bennett, come Moshe Zalman Feiglin prima di lui, è finito per essere l'ennesimo “uomo nuovo” dell'estrema destra mediaticamente sovraesposto grazie a qualche sparata razzista ma che alla prova dei fatti si trova a pescare nel solito angusto bacino di voti.
Al capo opposto dello schieramento politico cresce la sinistra, Meretz nello specifico, che vede raddoppiare la sua esigua rappresentanza parlamentare. Un piccolo buon segno.
Il Labor di Shelly Yachimovich invece resiste ma non convince, in parte a causa di una campagna elettorale decisamente sottotono, grigia, centrata su un piano per l'economia incomprensibile e troppo tecnico per piacere alle masse, i temi della politica militare e di difesa e delle colonie annegati in un imbarazzante silenzio. Troppo poco per piacere all'elettorato di sinistra e per intercettare il malcontento e troppo per conquistare il centro.
Ed è proprio il centro, dopo la dipartita di Kadima incarnato da Lapid e dal suo Yesh Atid, l'unico vincitore di questa tornata elettorale. Lapid ha sbancato con un programma (inquietantemente) rassicurante per le classi medie, colpendo il più crudelmente possibile la corazzata Likud nei suoi punti deboli, vale a dire legge Tal e inazione in politica economica, ed evitando accuratamente di confrontarcisi sul terreno della sicurezza e della difesa, temi che rimangono infatti (di nuovo, inquietantemente) inevasi. Le somiglianze con la grigia campagna elettorale laburista sono evidenti a tutti, ma le differenze sono altrettanto palesi: prima di tutto, Lapid è molto carismatico, la Yachimovich non lo è per niente; poi l'elettorato centrista ha preferito votare qualcuno che potesse entrare in coalizione con Netanyahu e spostarlo verso il centro, e l'ex conduttore sicuramente è l'uomo adatto. Il messaggio è chiaro, e Lapid pare averlo colto, stanti le sue ultime dichiarazioni che escludono un governo con i partiti arabi e la sinistra, ovviamente senza Bibi. Perché nonostante tutto Netanyahu rimane il primo attore della politica israeliana, e con ogni probabilità sarà anche nuovamente primo ministro. Sulle politiche del nuovo probabile governo di centrodestra, nonostante il “regno di Re Bibi” sia evidentemente finito, è legittimo essere moderatamente pessimisti.
Immagine tratta da humanevents.com