Giovedì, 31 Gennaio 2013 00:00

Il bilancio partecipativo del Brasile

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Che io sappia, le prime esperienze latino-americane di democrazia partecipata non sono venezuelane ma brasiliane, attivate, sotto il nome di “bilancio partecipativo”, da amministrazioni locali (di stato federato o comunali) in mano alla sinistra, in particolare al suo principale partito, il PT (Partito dei Lavoratori) di Lula e Dilma Rousseff (sono rispettivamente il precedente e l’attuale presidente del Brasile). Le località più note di quest’esperienza sono lo stato di Rio Grande do Sul e la sua capitale Porto Alegre, per avere questa città ospitato i primi tre Forum Sociali Mondiali. Ma io ebbi la fortuna di conoscere con molto anticipo l’esperienza brasiliana, a San Paolo, prima ancora che Lula vincesse la sua prima presidenza.

Nei suoi termini generali l’esperienza brasiliana è fatta così. La maggioranza di sinistra, in uno stato o in un comune che sia, si impegna a determinare parte della propria spesa (il 20-25% circa, esattamente quella che non va in costi fissi già esistenti, come servizi sociali, servizi pubblici, assistenza, salari, stipendi) sulla base delle richieste della popolazione. Queste richieste vengono definite attraverso un itinerario fatto di assemblee popolari di ogni tipo (di quartiere, paese, ecc.; sindacali, di partito, da parte di altre forme associative, ecc.; di donne, giovani, studenti delle varie scuole, lavoratori delle fabbriche e degli uffici, ecc. ecc.), che trattano sia l’uso della totalità della spesa a disposizione che quello della parte impiegabile su un determinato territorio o in risposta a un determinato tipo di problemi. Naturalmente il risultato esorbita la cifra globale a disposizione.

C’è quindi una seconda tornata di assemblee che discute una proposta, anche con varianti interne, dell’amministrazione comunale. Alla fine, anche con più tornate, emerge una proposta unitaria delle assemblee. Questa viene poi automaticamente adottata, come parte del bilancio complessivo, dall’amministrazione in questione.

A San Paolo i compagni del PT mi portarono a visitare una delle tante città satelliti, Diadema, amministrata dalle sinistre. Diadema era stata un labirinto di favelas (baracche) abitate da 200mila immigrati dal sottosviluppato e africano Nord-este del Brasile. Al momento della mia visita era invece una quantità di micro-cantieri ognuno dei quali vedeva una famiglia o due costruirsi la casetta, oppure definire un pezzo del percorso stradale o di quello fognario. Le famiglie si erano costituite in varie cooperative, aiutate in ciò dall’amministrazione comunale. I materiali necessari erano stati acquistati dall’amministrazione. Quest’ultima aveva provveduto all’acquisto dei terreni, dopo aver effettuato una modifica del piano regolatore che impediva al proprietario la costruzione di palazzi o uffici e avergli alzato le tasse, obbligandolo così a vendere a bassissimo prezzo. Alle famiglie l’amministrazione effettuava anche prestiti a lunga scadenza e senza interesse.

Il confronto con il territorio circostanze era sconvolgente: non c’era soluzione di continuità tra Diadema e le altre città satelliti, tutte però ancora baraccopoli impenetrabili, in quanto amministrate da partiti di centro o di destra e gestite con criteri clientelari. Partecipai a due assemblee: una degli studenti della scuola professionale e una di donne. La scuola, mi raccontarono insegnanti e studenti, aveva cambiato i suoi programmi, su richiesta degli studenti (in Brasile, dove il decentramento dei poteri è molto alto, si può): anziché insegnare questo o quel lavoro manuale essa ora insegnava come trovare un lavoro. I ragazzi inoltre erano molto fieri della funzione didattica che avevano costruito per sé: per esempio avevano illustrato all’intera città l’importanza di avere strade con alberi, quindi l’inopportunità di tagliare quelli appena piantati. In questa scuola, inoltre, l’uso di droghe, già altissimo, era quasi scomparso. L’assemblea delle donne doveva decidere tra la costruzione di un secondo consultorio medico femminile e una seconda stazione di polizia: e decise per quest’ultima, come strumento di tutela da una realtà diffusissima di brutalità in famiglia da parte di uomini ubriachi, che andava dalle percosse alla violenza sessuale a danno delle ragazzine.

A Porto Alegre, anni dopo, potei partecipare a un’assemblea di quartiere alla quale due funzionari dell’amministrazione rispondevano a domande di varia natura dei partecipanti e fornivano indicazioni tecniche o giuridiche su come affrontare i più svariati problemi. Mi colpì una discussione sull’assenza all’assemblea di un comitato rappresentativo degli abitanti di una zona sprovvista di acqua e di fognature. Era stata precedentemente fornita a questo comitato la spiegazione su come costituirsi rapidamente in cooperativa, in modo da poter operare direttamente alla soluzione dei problemi della sua zona beneficiando di un finanziamento comunale, avrebbero adesso dovuto relazionare l’assemblea sull’andamento delle cose, non si erano fatti vivi. Correva voce che fossero scontenti di qualcosa, ma non si capiva di cosa. La decisione fu presto presa, su suggerimento dei funzionari comunali: andiamo in quella zona a parlare direttamente con la gente, forse le nostre indicazioni erano poco chiare o inadatte.

Il “bilancio partecipativo” non solo cambia, come si vede, una popolazione: cambia pure (democratizza) il comportamento della burocrazia amministrativa.

Immagine tratta da sorosfiles.com

Ultima modifica il Mercoledì, 30 Gennaio 2013 00:04
Luigi Vinci

Protagonista della sinistra italiana, vivendo attivamente le esperienze della Federazione Giovanile Comunista, del PCI e poi di Avanguardia Operaia, Democrazia Proletaria, Rifondazione Comunista. Eletto deputato in parlamento e nel parlamento europeo, in passato presidente e membro di varie commissioni legate a questioni economiche e di politica internazionale.

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