Il tentativo di Erdoĝan è, tramite il ritorno alla guerra civile, la riconquista di un consenso popolare in parte perso, l’andata in autunno a elezioni anticipate, la larga vittoria del suo partito AKP, a trasformazione della Turchia in una repubblica presidenziale islamista-fondamentalista e autoritaria. Siccome, però, non pare che il consenso giunga, anzi pare che Erdoĝan incontri su questo terreno difficoltà crescenti, egli si trova obbligato ad alzare ulteriormente il tiro.
Quali difficoltà? Di vari tipi. Quella più importante è data dal fatto che la popolazione turca, dopo un primo momento di sbandamento, non pare abboccare, essendo diventato chiaro il disegno di Erdoĝan. A luglio i sondaggi pre-elettorali davano l’AKP in crescita e prossimo, se si fosse votato, alla conquista della metà circa dei seggi parlamentari (mentre gli altri tre partiti parlamentari, il laico CHP, il razzista MHP e l’HDP curdo e della sinistra turca flettevano, pur leggermente). Adesso invece è l’AKP in flessione e il CHP e l’HDP crescono. Ogni forza politica di opposizione e gran numero di associazioni democratiche e di intellettuali, di accademici, di giornalisti hanno preso posizione contro il tentativo autoritario e di islamizzazione della Turchia e contro la riapertura della guerra ai curdi. Il presidente del CHP ha dichiarato che le trattative con l’AKP per la formazione di una coalizione di governo si sono arenate e quindi si sta andando alle elezioni perché è questo che Erdoĝan vuole, e perché l’AKP ha rifiutato due richieste: che Erdoĝan cessasse di interferire con l’attività di governo e dell’AKP, in quanto presidente di una repubblica parlamentare, e l’HDP fosse messo in condizione di non contrapporsi frontalmente a un governo di coalizione AKP-CHP, ovvero Erdoĝan cessasse la guerra ai curdi e riaprisse la trattativa sulla soluzione della questione curda con il PKK. Il presidente dell’MHP ha reagito alla dichiarazione di Erdoĝan secondo la quale la Turchia sarebbe ormai una repubblica presidenziale di fatto che andrebbe formalizzata, chiedendo sarcasticamente se si era perso qualcosa cioè se c’era stato un colpo di stato. Un certo disagio comincia ad affiorare dentro all’AKP stesso. L’HDP, dopo un incontro di suoi deputati con Öcalan nell’isola-carcere di Imrali (dove egli è stato riportato alla condizione di isolamento totale), ne ha diffuso la disponibilità a formare una rappresentanza del PKK da lui indirettamente guidata, titolata alla trattativa con lo stato turco e orientata alla pacificazione, alla sola condizione della cessazione dell’isolamento. Il PKK infine ha dichiarato la sua disponibilità alla cessazione delle proprie iniziative armate, alla duplice condizione del cessate il fuoco anche da parte turca e della supervisione statunitense sulla trattativa. Nella sua dichiarazione il PKK ha anche fatto presente di avere stabilito da tempo relazioni con gli Stati Uniti. Cosa questa, d’altra parte, più che ovvia, dato che, primo, a respingere a suo tempo l’attacco dello Stato Islamico contro la capitale del Curdistan iracheno Erbil non furono i peshmerga, cioè gli armati curdo-iracheni, del tutto impreparati, ma furono i miliziani del PKK; secondo, che il PYD curdo-siriano, la formazione eroica le cui donne e i cui uomini armati di ferrivecchi hanno difeso Kobanê, è la costola siriana del PKK.
Non è solo la popolazione della Turchia ad avere ormai mangiato la foglia: pare che finalmente lo abbiano fatto anche gli Stati Uniti e gli altri stati della NATO (a dir la verità di ciò che pensa, se pensa, il governo italiano non si sa nulla: ma c’è sempre l’eccezione a confermare la regola). L’ultima chicca riguardante il rapporto organico tra stato turco e Stato Islamico è nella notizia, di fonte iraniana ma considerata generalmente valida, che l’ospedale turco sulla frontiera siriana che trasporta con le sue ambulanze, ospita e cura i miliziani feriti dello Stato Islamico è amministrato dalla figlia di Erdoĝan. La penultima chicca è la dichiarazione dell’ex primo ministro iracheno al Maliki secondo la quale la caduta di Mosul nelle mani dello Stato Islamico si dovette a un’operazione, concordata a Erbil, tra Turchia e Stato Islamico, di corruzione degli ufficiali che comandavano ben cinque divisioni irachene (70 mila uomini). Rammento che queste divisioni fuggirono abbandonando tutto, armi, carri armati, sistemi missilistici, e che lo Stato Islamico trovò nella sede a Mosul della banca di stato oltre un miliardo di dollari. Il momento fu scelto bene. Un’ultima chicca è la dichiarazione del viceresponsabile statunitense dentro all’alleanza anti-Stato Islamico: che ha dichiarato che la Turchia non ha ancora cominciato i bombardamenti aerei in Siria contro lo Stato Islamico per via dell’estrema laboriosità tecnica del coordinamento tra aviazione statunitense e aviazione turca (ovvero, tradotto, ha reso noto al mondo che la Turchia non ha tuttora fatto nulla contro lo Stato Islamico e che gli Stati Uniti faticano sempre più a reggere la cosa). Prima la Germania poi gli stessi Stati Uniti hanno ritirato dalla Turchia i sistemi missilistici anti-aerei che avevano dislocato sulla frontiera siriana (per quanto riguarda la Germania ciò fa seguito all’aperta deplorazione del suo ministro degli esteri nei riguardi della guerra della Turchia ai curdi). Il Dipartimento di Stato USA infine, reagendo alla dichiarazione del PKK circa l’esistenza di rapporti con gli Stati Uniti, ha dichiarato che non esistono “rapporti diretti” USA-PKK (che è come dire che esistono rapporti indiretti): ritenendo tuttora da parte degli Stati Uniti che il PKK sia un’“organizzazione terroristica” e che essi invece non considerano tale il PYD curdo-siriano, anzi lo ritengono tra i migliori e più affidabili alleati nella guerra allo Stato Islamico (che è come dire alla Turchia che gli Stati Uniti non sono più disposti ad accettare quei bombardamenti dell’artiglieria turca cosiddetti sullo Stato islamico e che invece colpiscono il territorio controllato dal PYD. Da notare come questi bombardamenti turchi abbiano consentito allo Stato Islamico di riprendere gli attacchi contro il Rojava cioè contro il territorio curdo-siriano liberato).
Gli Stati Uniti quindi hanno capito tutto ormai. Continuano però a fare casino benché un po’ meno. D’altra parte la partita con l’Iran si sta chiudendo, la partita siriana potrebbe essere sbloccata in sodalizio con Iran e Russia, ma occorre capire cosa fare sul versante degli “alleati” storici: cioè sul versante di Arabia Saudita e Qatar, che appoggiano al Qaeda, della Turchia, che continuerà ad appoggiare lo Stato Islamico, su quello di Israele, ferocemente ostile a ogni transazione con l’Iran e che bombarda le milizie hezbollah sciite libanesi che combattono contro lo stato islamico guidate da ufficiali iraniani. Con larga probabilità di qui alla fine di settembre non accadrà niente da parte statunitense che non siano movimenti millimetrici: Obama deve realizzare la chiusura definitiva della questione iraniana avendo contro il Congresso. Poi molto dovrà cambiare.
È da ritenere quasi scontato, infine, che tutto quanto in Turchia e nell’area non solo indurrà l’assassino Erdoĝan ad andare avanti, come egli stesso dice, “costi quel che costi”, ma lo indurrà a incrementare la sua iniziativa, fors’anche con nuove sconvolgenti iniziative.
Allarme Rosso. Difendiamo i nostri compagni curdi con uno sforzo moltiplicato.