Lunedì, 12 Ottobre 2015 00:00

La tragedia del Medio Oriente a una svolta?

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La tragedia del Medio Oriente a una svolta?

L’editoriale di martedì 6 ottobre sul Corriere della Sera a firma di Paolo Mieli svolge un ragionamento condivisibile salvo però tacere su un punto fondamentale. È inoltre un ragionamento simile, a volte in modo determinato a volte on cautela, a quello di una buona parte delle forze di governo e dei mass-media occidentali (altrimenti Mieli se ne starebbe stato tranquillo a scrivere d’altro). Si tratta di una critica molto netta alle posizioni di Obama verso la crisi mediorientale e in particolare verso il versante siriano di questa crisi. Se l’ISIS (Daesh, l’ISIL, lo Stato Islamico) merita, per ciò che è, ciò che fa e ciò che vuole realizzare, di essere paragonato al nazismo, allora, argomenta Mieli, gli Stati Uniti dovrebbero orientarsi a praticare la medesima linea che praticarono facendo guerra al nazismo: l’alleanza con la totalità delle forze antinaziste.

Quest’alleanza comprese l’Unione Sovietica di Stalin: un paese dominato da un paranoico che aveva già sterminato dai 10 ai 15 milioni di persone, contadini medi e abbienti, intellettuali, membri della piccola borghesia, comunisti dissidenti (o presunti tali), socialdemocratici, liberali, ucraini, e che era stato tra i responsabili dell’inizio della seconda guerra mondiale, avendo concordato con Hitler nell’agosto del 1939 la spartizione della Polonia e degli stati baltici e avendo mosso guerra a Finlandia (a fine 1939) e Romania (1940). Gli Stati Uniti fornirono all’Unione Sovietica nel corso della guerra antinazista enormi aiuti in armamenti, veicoli, alimenti. Cooperarono con resistenze armate guidate o quanto meno partecipate in tutta Europa dai comunisti. Solo quando risultò chiusa la partita con il nazismo gli Stati Uniti “svoltarono” cioè cominciarono a fronteggiare l’Unione Sovietica, dapprima indirettamente, con le due bombe atomiche sul Giappone, poi direttamente, con gli aiuti del Piano Marshall all’Europa occidentale, sostenendovi le forze politiche di centro-destra, imponendo loro la persecuzione dei partiti comunisti, ecc. In conclusione, sostiene Mieli, si tratta di accettare Assad come alleato transitorio: suo è il principale nucleo di forze combattenti sul terreno contro l’ISIS e i qaedisti (l’altro nucleo essendo costituito dai curdi siriani e iracheni), e senza forze di terra la guerra all’ISIS non finirà mai. Era inevitabile, inoltre, che, una volta chiusa politicamente la partita iraniana, e con ciò riconosciuta dagli Stati Uniti l’utilità di un più vigoroso contributo militare dell’Iran alla guerra all’ISIS (ciò che per l’Iran, si badi, comporta anche la difesa di Assad ovvero del potere alauita cioè sciita in Siria), la Russia, che è alleata dell’Iran e ha da lungo tempo una propria base navale sulla costa siriana, decidesse di intervenire in forze in Siria non solo contro il fondamentalismo sunnita armato ma anche a difesa di Assad. Stupisce che gli Stati Uniti appaiano stupiti oltre che contrariati e addirittura minacciosi dinanzi a questi fatti.

Putin, prosegue Mieli, è certamente un autocrate che gioca spericolatamente d’azzardo: ma vale prima di tutto il fatto che i mezzi militari che la Russia sta spostando e mettendo all’opera in Siria, aerei, elicotteri, missili anche a lunga gittata appaiono di grandi dimensioni e decisivi. Sicché occorre inventarsi davvero una via soft e dotata dei tempi politici necessari di uscita di Assad dal potere, non basta accennarlo vagamente e poi continuare a sostenere la guerra ad Assad mossa da un segmento dell’opposizione islamista armata più o meno vicino agli Stati Uniti, nonostante Assad, come il padre, sia un criminale stragista che ha fatto uso di gas, ha massacrato oppositori, ha bombardato a tappeto città.

Fin qui ho abbastanza riassunto Mieli. Aggiungo di passata che si intuisce nell’articolo dell’intellettuale di centro liberal-liberista Mieli l’intenzione di un assist a un Romano Prodi attaccato dal buzzurro di centro populista-autoritario-liberista Matteo Renzi per ragioni tutte di bega nel PD e dintorni (avendo per di più Prodi svolto un ragionamento coincidente con quello del governo italiano, diversità fatta di sfumature a parte).
Fa parte della vulgata giornalistica corrente l’opinione di un Obama incerto, irresoluto, tutto preso da un rifiuto morale della figura di Assad. Mieli pare condividere egli pure quest’opinione, pur non accettandone l’estremizzazione svolta dai simpatizzanti italiani dei Tea Party statunitensi o della destra democratica e filo-israeliana di Hillary Clinton, cioè l’estremizzazione svolta dalla stampa di destra berlusconiana o ex berlusconiana: stando alla quale occorre che Obama abbracci Putin, mandi i marines ecc. Ma quest’interpretazione dei moventi di Obama è errata e superficiale.

I richiami morali che vorrebbero giustificare la continuazione della guerra statunitense per procura ad Assad sono fumo propagandistico. I bombardamenti statunitensi uccidono migliaia di civili in Siria come in Iraq come in Afghanistan come in Yemen, e hanno ucciso in questi decenni decine di migliaia di civili. Aerei statunitensi hanno appena fatto strage di feriti, medici e infermieri bombardando un ospedale di Medici senza Frontiere nella citta afgana di Kunduz. Tra le ragioni delle continue stragi statunitensi c’è proprio la pretesa di fare la guerra senza impiego (in Siria e nello Yemen) o con minimo impiego (in Iraq e in Afghanistan) di truppe di terra: questa pretesa infatti costringe all’uso disinvolto e in ogni frangente di bombardamenti aerei o con missili o con droni. Non si tratta perciò di “incidenti” o di “errori”, ma di qualcosa che per quanto non voluto è inevitabile che accada, e che accada in grandi dimensioni. Inoltre si tratta di qualcosa dovuto al fatto che gli Stati Uniti non dispongono quasi mai sul terreno di informatori che gli indichino i bersagli militari reali (è accaduto solo con i curdi siriani del Rojava). Oppure (in Afghanistan) dispongono di informatori che sono membri di fazioni tribali in guerra tra loro e quindi inaffidabili. Obama dichiara che i bombardamenti russi uccidono una grande quantità di civili: ma non sembra vero, sul terreno infatti a orientare i bombardamenti russi ci sono siriani legati ad Assad e fors’anche militari iraniani. Obama dichiara che i bombardamenti russi aiutano l’ISIS: a parte che non si capisce perché, ammesso che sia vero varrebbe anche per quelli statunitensi e degli alleati statunitensi. Al contrario, complessivamente perciò emerge una superiore efficacia e qualità militari dell’intervento russo.

Per effetto di quest’intervento le truppe di Assad sono passate all’offensiva nella parte nord-occidentale della Siria, quella dove hanno maggiormente subìto gli attacchi del complesso delle fazioni islamiste sunnite. Forze legate ad al-Nusra (come vedremo, uno dei principali aggregati del fondamentalismo sunnita armato) pare che stiano già dichiarando il cessate il fuoco nell’area contigua a Damasco. Il governo iracheno, a maggioranza sciita e vicino all’Iran, però appoggiato dall’aviazione statunitense, pare intenzionato a chiedere l’appoggio in vista del tentativo di riprendere Mosul anche dell’aviazione russa. L’Egitto sta stringendo accordi militari con la Russia, in modo da poter finalmente ripulire il Sinai dall’ISIL. Sono in questo momento mass-media statunitensi non certo simpatizzanti per la Russia o per l’Iran a dichiarare che la Russia è stata capace di fare militarmente in Siria in poche settimane ciò che gli Stati Uniti non sono stati capaci di fare in quattro anni di bombardamenti. E di macelleria di esseri umani: sono soprattutto questi quattro anni di velleitarismi politici statunitensi insensati e di bombardamenti micidiali e privi di qualsiasi intelligenza ad aver distrutto gran parte della Siria e costretto oltre metà della sua popolazione a fuggire verso la Turchia, il Libano, la Giordania, l’Europa.

Addirittura la Russia, aggirando l’inconsistenza statunitense, pare essere riuscita a garantire a Israele, in cambio della sua neutralità, che le truppe sciite non siriane impegnate in Siria in appoggio ad Assad, cioè quelle degli hezbollah libanesi, comandate da ufficiali iraniani, e quelle prossime venture dei pasdaran iraniani, non si avvicineranno ai confini di Israele e dei territori palestinesi da essa occupati (quindi anche Israele sta prendendo atto di come l’attore politico principale in Siria stia diventando la Russia). E addirittura la Russia sta discutendo con i curdi siriani del Rojava appoggi militari, mai concessi invece adeguatamente da parte statunitense, data la contrarietà turca, in modo da metterli in grado di attaccare via terra sul versante della città di al-Raqqa, la “capitale” dell’ISIS in Siria.

Ma, tornando a riferirci all’articolo di Mieli, e più in generale a molta parte del giornalismo italiano, francese, britannico, tedesco, statunitense, constatiamo come il bisturi dell’analisi non sappia indicare (o, talvolta, rilutti a indicare) le reali difficoltà di Obama, cioè i reali motivi del suo imbarazzo, delle sue dichiarazioni raffazzonate lì per lì, soprattutto del suo rifiuto di una cooperazione militare con la Russia (cooperazione che ovviamente la Russia richiede a gran voce, vincente oggi com’è sul terreno della capacità di iniziativa militare e politica e dinanzi alle opinioni pubbliche di tutto il mondo). Il fatto in realtà è che Obama si trova intrappolato. Egli da una parte non riesce a portare gli storici alleati mediorientali degli Stati Uniti a combattere davvero l’ISIS, registra il fallimento del tentativo di creare in Siria un’opposizione laica armata in grado di battere Assad, addirittura constata il fatto che gli storici alleati, sostenendo l’opposizione fondamentalista armata ad Assad, di fatto (se non direttamente, come il Qatar e la Turchia) sostengono l’ISIS stesso. I bombardamenti turchi e sauditi acclamati qualche tempo fa non solo sono stati quantitativamente e qualitativamente inconsistenti ma sembra siano cessati, avendo la Turchia da bombardare i villaggi del Curdistan turco e di quello iraniano e l’Arabia Saudita le città yemenite. E dall’altra parte Obama non risulta obiettivamente in grado di rompere i rapporti con la Turchia (che dispone del secondo esercito della NATO, 800 mila militari, inoltre che raccatta investimenti da tutto l’Occidente) e con l’Arabia Saudita (militarmente forte essa pure, luogo essa pure di grandi investimenti occidentali, agente fondamentale del business petrolifero mondiale). A ciò si aggiunga l’avventurismo assoluto del Qatar, che continua a finanziare l’ISIS ed è grande acquirente di mezzi militari dalla Francia, e si aggiunga Israele, il principale fattore dell’odio arabo nei confronti dell’Occidente e dell’espansione di al-Qaeda e dell’ISIS, impegnata com’è dal suo attuale governo di estrema destra colonialista nell’appropriazione illegale di territori palestinesi e nella repressione brutale delle proteste della loro popolazione.

Ad argomentazione ulteriore e consistente del comportamento confusionario e, in ultima analisi, dell’irresponsabilità statunitensi e della loro estrema pericolosità per le popolazioni di tutta l’area, vediamo anche quale sia realmente oggi la configurazione delle forze che combattono contro Assad (operanti quasi esclusivamente nella parte occidentale della Siria, dove si concentrano le popolazioni siriane minoritarie favorevoli ad Assad: arabi alauiti e drusi, cristiani di varia confessione e in parte di lingua aramaica).

La rivolta contro il regime di Assad cominciò, come parte della “primavera araba”, nel marzo del 2011, da parte di forze eterogenee. Vi furono manifestazioni popolari nelle città che rivendicavano democrazia e diritti civili così come diserzioni di soldati, in genere sunniti, cui seguirono da parte del regime una feroce repressione e combattimenti tra l’esercito, sempre più composto da truppe alauite, e i disertori, organizzati in “Libero Esercito Siriano”. L’estensione della “primavera araba” alla Siria fu vista ovviamente come il fumo negli occhi da parte dei regimi sunniti fondamentalisti e ultrareazionari di Arabia Saudita e Qatar nonché da parte del governo di pari orientamento della Turchia (il leader Erdoğan del partito AKP viene dai Fratelli Mussulmani). Essi inoltre vedevano da sempre come il fumo negli occhi il regime baathista siriano, in quanto laico e in quanto in mano ad alauiti (fu un’eccezione, tutta in chiave anticurda, il breve flirt di diversi anni fa tra Assad ed Erdoğan). Quindi mentre gli Stati Uniti cincischiavano, inventandosi alleati europei in grado di occuparsi della tutela delle primavere arabe (e trovandosi a dover sostenere l’avventurismo franco-britannico in Libia, con i risultati che sappiamo, e poi a dover decidere per la stessa ragione di intervenire in Siria ecc.), Arabia Saudita, Qatar e Turchia provvedevano a rifornire di aiuti militari, quattrini, informazioni, retrovie le fazioni fondamentaliste sunnite siriane, ciascuno di questi paesi ritagliandosene o inventandosene un pezzo. Ciò, come già accennato, avviò la rapida trasformazione della guerra civile siriana in una guerra prima di tutto di religione, da una parte essendoci il peggiore fondamentalismo sunnita e dall’altra un governo dispotico sciita, legato all’Iran, ecc.; e collocò concretamente gli Stati Uniti, a quel tempo essendo l’Iran l’arcinemico, dalla parte del più ignobile, feroce, inaccettabile, criminale fondamentalismo oggi sulla Terra.

Giova ricordare che all’inizio (cioè nel 2011) il fondamentalismo sunnita consisteva in Siria in una miriade di gruppi, 65 o 70, ciascuno con il suo nome e i suoi capi, a volte in conflitto tra loro, non solo sulla scia dell’antagonismo tra le dinastie sunnite al comando di Arabia saudita e Qatar ma anche per il controllo di una località, una strada, un ponte, ecc. Esso poi rapidamente evolverà in un paio di aggregati, molto aperti e instabili ma con elementi crescenti di cooperazione e di coordinamento, onde riuscire a combattere efficacemente contro l’esercito siriano. Dentro a questo processo si formarono cioè due nuclei aggreganti un buon numero di gruppi: uno, poco centralizzato, una specie di confederazione, a nome Ahrar ash-Sham, l’altro (Jaish al-Fatah) centrato su al-Nusra (cioè sul settore siriano di al-Qaeda), nella forma o dell’assorbimento o in quella della cooperazione più o meno stretta. Poco dopo (2012) l’ISIS (costituita come semistato in Iraq nel 2006) penetrava in forze in Siria dall’Iraq, fruendo del passaggio a essa di una parte consistente di al-Nusra e di gruppi a essa collegati, di gruppi di Ahrar ash-Sham, di gruppi indipendenti. Nel corso di questi due anni il Libero Esercito Siriano venne così a trovarsi tra due fuochi, cioè a essere attaccato sia dagli islamisti che dall’esercito siriano, e non ce la fece quasi mai a resistere; in parte venne annullato militarmente, in parte si disperse, il grosso invece si aggregò ad Ahrar ash-Sham e soprattutto a un suo sotto-aggregato, Liwa Suqur al-Jabal, in parte, ancora, si aggregò all’ISIS. Come tutto questo concretamente avvenne dipese dalla situazione dei vari territori. Solo una piccola scheggia continuò a operare come Esercito Libero Siriano, essendo pochi i luoghi dove era in grado di difendersi. Non solo: questa scheggia, sempre allo scopo di sopravvivere, si coordinò militarmente più o meno strettamente alle forze islamiste, e non solo ad Ahrar ash-Sham o ad al-Nusra ma anche all’ISIS. A tutto quanto va aggiunto che parte dei gruppi coordinati ad Ahrar ash-Sham, stando alle intelligence siriana, iraniana e russa, sarebbero legati in realtà all’ISIS: che in questo modo viene a beneficiare di parte congrua dei rifornimenti militari e finanziari degli Stati Uniti ai loro “alleati” interni al fondamentalismo sunnita armato. Ma valgano, a documentare più credibilmente questa realtà, le recenti dichiarazioni di generali statunitensi circa il fatto che le figure siriane addestrate e armate dagli Stati Uniti sarebbero oggi ormai 4 o 5 poveri cristi a cui tutti sparano da tutte le parti.

Perciò quando da parte degli Stati Uniti si dichiara che la Russia inaccettabilmente bombarda oltre che postazioni dell’ISIS anche postazioni che si limiterebbero alla guerra ad Assad si dice in realtà che gli Stati Uniti hanno armato e proteggono alcuni gruppi fondamentalisti sunniti neanche, in una loro parte congrua, affidabile. Nota tragicomica: questi gruppi, in particolare l’aggregato interno ad Ahrar ash-Sham chiamato Liwa Suqur al-Jabal, sono definiti ufficialmente dagli Stati Uniti come less-extremist islamist (islamici meno estremisti). Non basta, anzi è decisivo notare che la linea di confine tra less-extremist islamist e al-Nusra è evanescente se non nulla, dato che ad armare i less-extremist islamist troviamo soprattutto Arabia Saudita e Turchia, e notare che addirittura è evanescente la linea di confine tra less-extremist islamist e al-Nusra da una parte e ISIS dall’altra in quella parte occidentale della Siria dove si ritrovano tutti quanti, anche perché il Qatar finanzia sia l’ISIS che una parte di al-Nusra. In più aree occidentali le tre forze mettono assieme le proprie truppe; in alcune zone il comando, concordato o di fatto, è nelle mani di Ahrar ash-Sham, in altre di al-Nusra, in altre dell’ISIS. C’è da ritenere che non solo per gli Stati Uniti ma anche per la Russia e l’Iran, sorvolando e bombardando la Siria (Stati Uniti, Russia) o combattendo sul suo terreno (l’Iran), sia impossibile capire con chi abbiano in molte località a che fare, a parte che si tratta di truppe sunnite più o meno extremist islamist.

E’ decisivo notare come non si tratti di una connotazione parziale e poco significativa del quadro generale della crisi mediorientale, insomma non si tratti di un dato casuale e secondario, il fatto che vi è in corso prima di tutto una guerra tra sunniti a sciiti scatenata da potenze fondamentaliste sunnite: quindi che o l’Occidente, e gli Stati Uniti sua guida, trovano il modo di fare i conti con Arabia Saudita (e suoi satelliti), Qatar, Turchia ovvero di fermare questi paesi, o la crisi mediorientale rischia di proseguire a lungo macellando o trasformando in esuli ulteriori milioni di esseri umani. Questi paesi non hanno nessuna intenzione non solo di abbandonare ma di cessare di appoggiare massicciamente i loro protetti e semiprotetti, ISIS compreso da parte quanto meno di Turchia e Qatar. I bombardamenti di Turchia e Arabia saudita contro l’ISIS non esistono, sono stati solo una finzione, qualche bomba sganciata per qualche giorno su qualche prato. La Turchia è in mano a un megalomane che allo scopo di vincere le elezioni politiche del 1° novembre sta incentivando una guerra contro la popolazione curda turca e contro i villaggi curdi iracheni prossimi al confine turco. Da questi ci si può aspettare di tutto, anche scontri aerei con la Russia o interventi militari di terra in Siria contro Assad o contro i curdi siriani. È una buona ipotesi che il vero messaggio degli Stati Uniti e della NATO alla Russia, quello effettuato non pubblicamente, sia di evitare assolutamente sconfinamenti aerei russi sul territorio turco onde evitare azioni dagli effetti che potrebbero risultare incontrollabili da parte di Erdoğan.
Obama perciò oscilla e afferma contraddittorie sciocchezze per ragioni tutt’altro che costituite da ipocriti moralismi, bensì di assoluta solidità materiale. La prima ragione è che

Obama non sembra in grado di pronunciarsi in modo determinato nei confronti dei fondamentali alleati degli Stati Uniti in Medio Oriente, sia perché non è chiaro come reagirebbero, cioè se obbedirebbero o continuerebbero a fare le cose che fanno, o alzerebbero addirittura il tiro, sia perché sono parte sostanziale dello schieramento militare occidentale, sia perché sono parte sostanziale del business capitalistico mondiale. In questi decenni quelli che nella periferia capitalistica erano sudditi significativi degli Stati Uniti si sono molto rafforzati economicamente e politicamente, sono diventati ambiziose potenze regionali, dunque hanno cominciato a mettersi in proprio. La seconda ragione è che Obama ha bisogno di un’intesa su Assad con la Russia (e con l’Iran) ma ha pure bisogno che la Russia non protegga militarmente Assad, cosa che la Russia non farà mai. La Russia è intervenuta in Siria prima di tutto per impedire la sconfitta militare definitiva di Assad.

C’è da auspicare, prima di tutto, che le discussioni semisegrete in corso tra Russia e Stati Uniti riescano a giungere alla svelta a un’intesa sul futuro di Assad capace di funzionare. Se l’intesa invece non ci sarà, o sarà ridotta a misure che evitino incidenti nei cieli della Siria ecc., c’è il rischio che il tritacarne mediorientale non solo prosegua, non solo continui a contagiare una parte dell’Africa e dell’Asia meridionale, ma anche debordi e molto da tali confini. A me pare quasi impossibile che un’eventuale intesa non ridotta preveda immediatamente un percorso di uscita di Assad dalla scena: quest’uscita può essere solo il risultato di qualcosa di già precedentemente costruito assieme da Russia e Stati Uniti. Ciò che può essere praticabile rapidamente è il cessate il fuoco tra Siria e la parte delle forze militari siriane ostili ad Assad più o meno legate agli Stati Uniti. Quel poco che resta dell’Esercito Libero Siriano ha appena dichiarato l’intenzione di operare anche contro l’ISIS, cioè non più solo contro Assad (tra parentesi, anche questa dichiarazione dell’Esercito Libero Siriano, concretamente l’unica realtà in Siria completamente agli ordini degli Stati Uniti, significa pure che l’obiettivo delle operazioni militari statunitensi risulta essere stato a oggi assai più l’abbattimento del regime di Assad che la distruzione dell’ISIS). In ogni caso, però, questa dichiarazione dell’Esercito Libero Siriano forse esprime una novità: la mezza disponibilità statunitense a una precondizione necessaria (non sufficiente ma importante) al cessate il fuoco tra Esercito Libero Siriano e Assad. Se ciò avvenisse potrebbe aprirsi la possibilità di una trattativa orientata a un governo siriano di coalizione.

Ma, al tempo stesso, per gli Stati Uniti si tratterebbe di una sconfitta politica plateale. L’establishment politico e militare statunitense non a caso è su posizioni diversificate. E anche questo fa parte degli ostacoli alla cessazione della guerra in Siria in tempi rapidi, poiché potrebbe significare grandi difficoltà di realizzazione di ogni passaggio.

Ultima modifica il Domenica, 11 Ottobre 2015 10:16
Luigi Vinci

Protagonista della sinistra italiana, vivendo attivamente le esperienze della Federazione Giovanile Comunista, del PCI e poi di Avanguardia Operaia, Democrazia Proletaria, Rifondazione Comunista. Eletto deputato in parlamento e nel parlamento europeo, in passato presidente e membro di varie commissioni legate a questioni economiche e di politica internazionale.

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