A ben vedere le premesse di questa guerra partono dalla latente situazione di conflitto interno innescatasi in seguito alle rivolte del 2011 quando la popolazione affetta da condizioni di povertà insopportabili (si stima che oltre il 40% della popolazione yemenita sia sulla soglia dei 2dollari al giorno) si mobilitò per la deposizione del presidente Ṣāleḥ in carica da oltre un trentennio e per ottenere profonde riforme politiche. La situazione da allora, nonostante la dura repressione governativa che ha fatto più di 1500 vittime, non si è mai realmente stabilizzata, poiché quando nel febbraio 2012 Ṣāleḥ ha deciso di cedere il potere lo ha fatto in favore del suo ex vice, ʿAbd Rabbih Manṣūr Hādī che si è contraddistinto per una gestione del potere all'insegna della conservazione. In seguito a quelle rivolte si è registrata una notevole crescita organizzativa degli Houthi: sciiti zaydisti, nati come movimento di protesta in seguito all'invasione americana dell'Iraq nel 2003 e schierati su posizioni anti-statunitensi e anti-israeliane hanno subito una dura repressione da parte del governo sunnita che ha provveduto ad eliminare i principali leader del movimento a partire dal loro primo comandante, colui da cui trae il nome il movimento, usayn Badr al-Dīn al-Ḥūthī, ucciso dalle forze governative nel 2004.
La guerra è divenuta permanente quando il presidente sunnita Hādī, anch'esso sostenuto da Stati Uniti e Unione Europea, ha iniziato a perdere il controllo di vaste zone del Paese, sostanzialmente spaccato in tre tronconi: oltre alle aree sotto il controllo governativo troviamo nel sud dello Yemen i ribelli di al-Qaeda e nel nord-ovest i ribelli sciiti Houthi appoggiati dalle milizie dell'ex presidente Ṣāleḥ (anch'egli Zayda) in una strana alleanza dalla quale quest'ultimo spera di ricavarne un ritorno sulla scena politica come uomo d'ordine. Tuttavia l'evento che ha allargato il conflitto con l'ingresso delle altre potenze regionali è stato il tentativo di Colpo di Stato fatto dagli Houthi il 22 gennaio con la conquista della capitale Sana'a. In realtà la prova di forza dei ribelli si è dimostrata sufficiente solo a sfarinare lo stato yemenita e a far infuriare i potenti vicini. Infatti, nella notte tra il 25 e il 26 marzo, una coalizione composta da 10 Paesi arabi (quelli del Golfo, oltre all'Egitto, il Sudan, il Marocco e la Giordania) ha lanciato l'operazione “Tempesta decisiva” iniziando a colpire le zone sotto controllo degli Houthi, dapprima con attacchi aerei e in seguito anche con attacchi di terra. La più imponente azione bellica mai effettuata dal Regno sunnita è stata evidentemente condotta con l'intento di riportare al potere ʿHādī (nel frattempo riparato a Riyad) e la parte sunnita della vecchia classe dirigente esautorata dal vituperato Colpo di Stato.
Le potenze regionali, fedeli alleate delle superpotenze occidentali, però hanno imparato molto bene la tremenda lezione sui metodi di guerra ed è stato proprio seguendo i loro insegnamenti che sono giunte a imporre un tremendo embargo alla popolazione yemenita: gli effetti catastrofici per la popolazione del blocco aereo e navale sono ben descritti da Nena News (leggi qui). Tutto questo è avvenuto, come da tradizione, con l'accondiscendenza dell'Onu (rif. embargo Iraq 1990-2003), la medesima organizzazione del resto ha provveduto dalla metà dello scorso aprile a imporre l'embargo ai soli armamenti degli Houthi. D'altra parte è emerso che la coalizione del Golfo è essa stessa armata dall'Occidente (vedi l'inchiesta di G. Beretta qui), insomma non ci si poteva mica tirare la zappa sui piedi da soli. Evidentemente le nostre bombe sono ancora "intelligenti" e dunque compatibili coi diritti umani.
Chomsky in una celebre intervista a RT ha definito la guerra nello Yemen come "la più grande campagna di terrorismo globale nella storia" (clicca qui), ora quello che si può senz'altro dire per concludere questa breve ricognizione su questo conflitto è che, come minimo si tratta di una guerra per procura, combattuta volutamente con carne da cannone locale per evitare ricadute negative nelle opinioni pubbliche occidentali, le quali infatti restano perfettamente inconsapevoli della gravità di questi conflitti e del doppio filo che ci lega a questi massacri. Gli attuali focolai di guerra in Yemen, ma anche in Siria, muovono quindi dall'importante testa di ponte occidentale in Medio Oriente costituita dagli emirati verso quello che è ormai l'ultimo Rough States rimasto in piedi nella regione (l'Iran) dopo l'emersione dell'Isis in due stati come l'Iraq e la Siria ormai parecchio destrutturati. A pagare le conseguenze di queste guerre mediorientali restano così soprattutto le popolazioni coinvolte, costrette agli esodi infernali che abbiamo imparato a conoscere oppure a combattere diventando loro stesse quella indispensabile carne da cannone che provoca ripugnanza all'opinione pubblica democratica occidentale, ma solo quando coinvolge i nostri ragazzi. Per il resto, come si dice nell'ambito degli affari, business is business.