La paura e la sua avidità di potere del leader totalitario, già furono tragicamente attestata quando, prima delle elezioni di giugno scoppiarono due bombe a Diyarbakir, capoluogo non ufficiale del Kurdistan turco durante la più grande manifestazione elettorale del Partito Democratico Curdo. Il terrore di non continuare ad essere l’unico padrone incontrastato della Turchia lo si vede in tutti i tentativi di schiacciare chiunque la pensi diversamente, chiunque protesti contro il suo regime di sangue e la sua politica ferocemente autoritaria e dittatoriale: censure, arresti di giornalisti e leader politici, persecuzioni, blocchi della rete informatica. Anche la lotta contro l’ISIS nasconde una lotta ben più dura contro i curdi, vera mira del governo di Erdogan. E ora che si avvicinano le elezioni – il primo novembre – il timore è che la sua sete di potere assoluto e di violenza repressiva nei confronti del popolo curdo e di coloro che parteggiano per l’avversario politico trascini con sé altra morte e altra distruzione. Erodogan dovrà mantenersi buoni i gruppi nazionalistici e usare tutte le armi di repressione e intimidazione per schiacciare ogni opposizione e ogni voce alternativa. Tutte queste stragi mirano a incutere paura nelle persone che si dissociano dal regime sanguinario del leader turco e a portarle dalla propria parte con una continua minaccia. La paura è sempre stata il controllo delle masse e un leader che ha il terrore di perdere il proprio potere non diventerà sempre più spregiudicato nella propria ferocia e aggressività e userà qualsiasi mezzo per affermarsi, trascinandosi dietro ancora più morte e distruzione. Morte e distruzione che sembrano durare il tempo di una notizia e che poi finiscono di nuovo nel silenzio più vigliacco, più pericoloso.
Per questo non possiamo rimanere passivi di fronte a una repressione che si sta perpetrando dinnanzi a noi. La comunità internazionale, Europa e Stati Uniti in primis (ricordiamo che la Turchia fa parte della Nato!) dovrebbero prendere misure forti contro un governo che sta facendo una “pulizia etnica” contro una minoranza che vuole rivendicare la propria identità o anche la sola semplice esistenza, il proprio riconoscimento. Non sappiamo chi sia la mano diretta di questo ultimo attentato ma la violenza di questo governo contro la minoranza curda e contro ogni voce dissonante è evidente e non possiamo voltarci da un’altra parte e tollerarla, così come abbiamo sempre tollerato la violenza del governo Nethanyahu nei confronti dei palestinesi. È un discorso retorico, ma di fronte a queste barbarie, a queste stragi, a queste morti assurde e drammaticamente ingiuste non possiamo continuare a far prevalere interessi economici, politici e strategici. Non possiamo restare, ancora una volta, indifferenti di fronte a un tale orrore, che non si fermerà da solo. Non possiamo lavare questo sangue che non sporca solo la Turchia, ma tutta la comunità internazionale che si tappa gli occhi e non punta il dito contro chi su queste morti erige il proprio trono, e che poco o niente fa per impedire altri simili episodi di efferata violenza.