È proprio questo accordo il nodo cruciale, ancora non votato (a causa di un veto posto dal governo ungherese) ma annunciato pubblicamente. La Turchia infatti si è impegnata a riaccogliere i rifugiati, sia richiedenti asilo che “migranti economici”, stipati in Grecia che sono transitati attraverso il territorio turco, a patto che i paesi dell'Unione si impegnino a regolarizzare uno stesso numero di rifugiati stanziati in Turchia. La logica sarebbe quella di disincentivare la migrazione clandestina (che, da quando la situazione libica è precipitata, si è concentrata sulla rotta dei Balcani) che spinge a cercare mezzi di fortuna per raggiungere il suolo dell'Unione, dal momento che anche chi riuscisse ad arrivarvi sarebbe in ogni caso costretto a tornare in Turchia.
È evidente, come abbiamo accennato, che con il vertice tenuto, e molto probabilmente sarà lo stesso con il prossimo, i capi di stato europei abbiano continuato con la politica miope con la quale si sono contraddistinti fino a questo momento. L'accordo previsto si limita ad affrontare l'emergenza, in modo anche alquanto discutibile, senza allargare lo sguardo.
In primo luogo, non è stata posta all'ordine del giorno una modifica della normativa che regola la migrazione in Europa, il regolamento di Dublino, che prevede che ogni rifugiato in Europa sia costretto a restare nel paese di approdo (il tutto aggravato dal sistema Eurodac, che prevede l'obbligo di identificazione attraverso le impronte digitali per ogni futuro possibile richiedente asilo). Preoccupati solo delle sorti di questa Europa che hanno costruito, i capi di stato si sono impegnati (non si sa come) solamente a togliere i vari limiti posti alla circolazione nell'area Schengen dai singoli paesi entro la fine dell'anno. Niente che impegni i singoli stati in un percorso di definizione di politiche comuni lungimiranti per quanti riguarda il tema della migrazione.
In secondo luogo, è chiaro a tutti come il riporre tutto il peso della “risoluzione” della crisi sulle spalle della Turchia ponga non pochi problemi, non solo di natura etica, agli stati membri. Conscio dell'importanza del proprio ruolo, Davutoğlu ha rinforzato le proprie richieste sul tavolo: praticamente con ogni certezza, lo sforzo della Turchia non comporterà un ingresso del paese nell'Unione Europea ma di sicuro aiuterà molto il rafforzamento delle relazioni diplomatiche. Il tutto mentre nel paese di Erdogan si susseguono omicidi barbari e violazioni dei diritti fondamentali di ogni essere umano. Tutto questo ovviamente pare non interessare minimamente i capi di stato europei: Merkel ha evitato ogni riferimento alla libertà di stampa, mentre Renzi e Michel, Primo Ministro belga, hanno richiesto che nel documento conclusivo del vertice ci sia un accenno al fatto che la chiusura di giornali indipendenti non è in alcun modo accettabile. Nessun riferimento all'appoggio, oramai ampiamente provato, che il governo turco sta fornendo allo Stato islamico, né tanto meno alla guerra dichiarati alla popolazione curda e ai combattenti delle varie brigate legate all'indipendentismo curdo. E l'applicazione di un codice etico che rispetta solo la contingente convenienza è provata (come se ce ne fosse bisogno dopo aver visto come viene gestita la crisi ucraina) anche dalla totale indifferenza nei confronti di quello che potrebbe comportare il fermo su suolo turco di milioni di migranti. Le forze dell'ordine e le autorità turche non sono certo conosciute per il rispetto dei diritti umani e uno scenario simile a quello libico (la creazione campi di prigionia in cui venivano reclusi i migranti che attraversavano l'Africa per arrivare in Europa al fine di rispettare gli accordi stipulati da Gheddafi con Berlusconi) è tutt'altro che improbabile.
Infine, la miopia europea si è palesata nuovamente nella totale assenza di un'analisi di quelle che sono le cause della nuova ondata di migrazione. Si continua a discutere delle “toppe” da porre per fermare l'emergenza ma non ci si pone minimamente il problema di cosa l'ha causata, questa emergenza. Nessuna presa di posizione sui conflitti che infiammano i territori che circondano i nostri continenti, in cui cui abbiamo avuto, spesso, il ruolo di protagonisti.
Quindi, date queste premesse, diventa anche difficile sperare in un miglioramento della situazione. Come capita spesso di ricordare, l'assoluta incapacità politica (o assenza di volontà) di affrontare una crisi strutturale, che non travolge solo il lato economico, del processo di integrazione avrà conseguenze catastrofiche per i prossimi decenni almeno.