Giustamente saltano all'occhio, specie nella nostra Europa continentale, le posizioni del Democratic Unionist Party, dall'opposizione all'aborto alla contrarietà ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, al creazionismo. D'altro canto – mentre nella Repubblica d'Irlanda si discute di legalizzare finalmente l'ivg – nell'Irlanda del Nord proprio il DUP, sfruttando un cavillo legale, ha fin'ora fatto in modo che non venisse mai introdotta la disciplina dell'ivg britannica, lasciando quindi in vigore l'Offences Against the Person Act del 1861 che minaccia l'ergastolo (“shall be liable to be kept in penal servitude for life”, sezione 58) per medici e donne in caso di aborto. Il fondatore del DUP, il fu reverendo e parlamentare Ian Paisley, negli anni '70 si era addirittura opposto alla decriminalizzazione dell'omosessualità, e il matrimonio tra persone dello stesso sesso, legge nel resto della Gran Bretagna, come l'aborto non è mai stato introdotto nel Nord.
Il clamore generato da queste “esotiche” posizioni reazionarie rischia però di confondere, e di far perdere di vista la posta in gioco. La base di militanza del DUP è composta da pentecostali, anglicani di destra e soprattutto dai membri della chiesa libera presbiteriana – una denominazione nata a seguito dello scisma della chiesa presbiteriana irlandese promosso da Ian Paisley e dal suo circolo di letteralisti e fondamentalisti – gruppi che certamente non sono noti per il loro liberalismo, ma soprattutto il DUP è stato per lungo tempo il punto di rifermento per l'unionismo oltranzista, nel duplice aspetto dei reduci dei gruppi paramilitari e dei membri delle confraternite civili fondate sullo stile dell'Orange Order. Solo pochi giorni fa il Guardian esponeva i legami imbarazzanti tra la leader del DUP e i leader delle milizie unioniste, e da indiscrezioni sembra che tra le condizioni del compromesso con la May ci sia la rinuncia di Londra a qualunque futura inchiesta in alcuni degli episodi più bui dell'epoca dei Troubles. Non sorprende che, dato questo quadro, Gerry Adams, il leader dei repubblicani dello Sinn Féin, abbia denunciato il patto tories-unionisti come una violazione dell'accordo di pace del Venerdì Santo, dato che il sofferto accordo impone che il governo britannico tenga un atteggimento imparziale nei confronti dell'Irlanda del Nord. L'imparzialità di un governo sotto il costante ricatto di un partito apertamente schierato, certamente oltranzista e per tanti versi macchiato da pesanti sospetti sarebbe quantomeno discutibile.
Dal giorno dopo le elezioni britanniche, specie a sinistra, si è fantasticato di una possibile revisione della politica astensionista del Sinn Féin, prontamente smentita dai vertici del partito e da Adams stesso. Oltre alle storiche ragioni di ordine ideale – come il rifiuto del giuramento di lealtà alla Corona e della legittimità del potere del parlamento britannico sull'Irlanda – e all'evidente violazione del mandato elettorale che l'insediamento a Westminster comporterebbe, probabilmente i vertici dello SF temono che un'eventuale svolta anti-astensionista causi l'erosione della legittimità delle loro credenziali repubblicane, a tutto vantaggio dei gruppetti radicali e del terrorismo del repubblicanesimo dissidente. In una situazione sociopolitica già alquanto compromessa come quella che abbiamo descritto, un risvolto inquietante da non sottovalutare.