Giovedì, 29 Agosto 2013 00:00

Quello che la Siria ha da dire alla sinistra italiana

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Partiamo dal presupposto che è un’autodenuncia, perché nella sinistra italiana vige un estremistico valore dell’io, secondo cui la priorità è denunciare i limiti altrui e offendersi mortalmente quando ci si sente criticati. Nulla di nuovo, è condizione banale in fasi di sconfitta ed arretramento.

La questione siriana non è un problema di quanto Assad sia compatibile con i valori democratici occidentali, né di quanto l’esecutivo siriano sia progressista rispetto al fondamentalismo religioso avversato da Bush jr. come il male assoluto (se solo fosse viva l’ultima Oriana Fallaci... ma per fortuna c’è ancora Giuliano Ferrara). 

Il punto è che alle porte bussa un’altra guerra umanitaria, una missione di pace tesa alla tutela dei diritti umani. C’è addirittura chi cita l’idea di “fare come in Kosovo”, senza suscitare più di tante reazioni scandalizzate neanche all’interno della sinistra europea. 

Il sospetto drammatico è che ogni questione, in uno stato di sostanziale impotenza rispetto ai processi reali, diventi motivo di posizionamento all’interno del microcosmo di appartenenza. Non conta quel che si può fare per il popolo siriano, conta cosa gli eventi di politica internazionale possono garantire all’interno del dibattito (che talvolta è semplice scontro su Facebook tra quelle persone più informate sugli eventi internazionali e sulle vicende geopolitiche). 

Non esiste più un’organizzazione internazionale di riferimento della sinistra (lo stesso Partito Socialista Europeo, per non essere settari, è in acque tutt’altro che tranquille): forti sbandamenti non si accompagnano a discussioni che entrino nel merito delle questioni. Finisce che si sale su un piedistallo, accusando “la Russia” (o meglio Putin), “la Cina” (o meglio i “comunisti-capitalisti”), “l’imperialismo sionista”, “i complotti massonici” e altre entità quasi metafisiche, come si fa in patria (“i settari”, “i venduti” ed altro). 

Talvolta ci si impegna anche a condannare da un piedistallo chi sta su un piedistallo...

Tergiversa la sinistra italiana, rimpalla frastornata da numerose sconfitte. E mentre il Partito Democratico governa con Berlusconi, con la Bonino come ministro agli Affari Esteri... in un anno nessuno è stato capace di costruire un movimento pacifista legato a istanze tanto diffuse solo pochi anni fa (quando Bush jr. veniva deriso anche nelle scuole con il documentario di Michael Moore). Ora c’è un premio nobel per la pace che garantisce una fase diversa... che sembra determinata non tanto dai movimenti sociali che producono i mutamenti sostanziali in numerosi Paesi (non solo del Medio Oriente), ma piuttosto dal colore colore della pelle di un politico (fattore non secondario, purtroppo, dopo secoli di razzismo e discriminazione globale, ancora non estinti).

Il punto è cosa si può fare per evitare una guerra, non quali occasioni politiche apre una guerra. La Libia (e le conseguenze che hanno portato alla situazione nel Mali) non è bastata. E ci sarebbe da chiedersi a chi simpatizza per l’intervento contro il “cattivo Assad”...Cosa ne pensa della situazione del Bahrein o di altre realtà di cui probabilmente non conosce nulla? Cosa ne pensa delle attuali situazioni nelle aree dell’ex Jugoslavia, in Afghanista, in Iraq, in Libia? Come valuta le false prove che hanno portato all’ultima guerra contro Saddam? In realtà non è il fronte a favore della guerra umanitaria che dovrebbe preoccupare, quanto il fronte dell’indifferenza, dell’astensione, della rassegnazione, che ha svuotato non solo il “movimento dei movimenti”, ma qualsiasi speranza di radicale cambiamento nel vecchio continente. 

Un solo compito è alla portata degli europei, quindi in realtà di una sola cosa ha realmente senso discutere: costruire una forza radicata in grado di influenzare le politiche del vecchio continente, a partire dal presente, senza attaccarsi a un passato che non esiste più (sia esso quello della Terza Internazionale o quello del Social Forum). La pace non è più un valore in grado di mobilitare milioni di persone. Farla tornare ad esserlo sarebbe già un importante primo obiettivo, difficilmente praticabile esclusivamente su Facebook o all’interno di sistemi chiusi e autoreferenziali.

Immagine tratta liberamente da valerioberdini.photoshelter.com

Ultima modifica il Giovedì, 29 Agosto 2013 00:48
Dmitrij Palagi

Nato nel 1988 in Unione Sovietica, subito prima della caduta del Muro. Iscritto a Rifondazione dal 2006, subito prima della sconfitta de "la Sinistra l'Arcobaleno". Laureato in filosofia, un dottorato in corso di Studi Storici, una collaborazione attiva con la storica rivista dei macchinisti "ancora IN MARCIA".

«Vivere in un mondo senza evasione possibile dove non restava che battersi per una evasione impossibile» (Victor Serge)

 

www.orsopalagi.it
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