Le grandi potenze del mondo sono in fibrillazione per la possibilità di un attacco alla Siria, stato che, neanche a dirlo, si trova sulle coste orientali del Mediterraneo. Dopo il voto del Parlamento britannico che con tredici voti ha rifiutato ogni ipotesi di intervento dell'esercito di Sua Maestà, anche in caso di autorizzazione della Nazioni Unite, il presidente Obama ha continuato a mantenere la sua posizione, fondata sull'impellente necessità di un intervento in Siria. Nonostante le fonti ufficiali della Casa Bianca continuino a parlare di prove dell'utilizzo di armi chimiche da parte dell'esercito di Assad, prove che non sono rese pubbliche ma a cui bisogna credere (d'altra parte, una figura peggiore di quella di Colin Powell con le provette che dovevano convincere il mondo della colpevolezza di Saddam Hussein era difficile da raggiungere), il presidente ha preferito evitare l'impulsività (i maligni dicono che stia cercando di evitare responsabilità personali) decidendo di convocare il Congresso per decretare il da farsi. Sempre il 3 settembre è arrivata una dichiarazione di John Boehner, speaker repubblicano della Camera dei Rappresentanti, il quale ha affermato che personalmente darà il suo appoggio all'operazione di Obama ed inviterà gli altri colleghi di partito a fare lo stesso. In Europa, l'intervento americano troverà sponda negli alleati francesi: il presidente socialista Hollande, dopo l'escursione “toccata e fuga” in Mali, ha assicurato che la Francia non farà mancare il suo appoggio agli Stati Uniti.
A questo, dobbiamo aggiungere le dichiarazioni fatte da Benjamin Netanyahu in seguito alla diffusione della notizia dell'esercitazione missilistica: “La realtà intorno a noi sta cambiando. Voglio dire a chiunque intenda farci del male: non è consigliabile”. "La sicurezza - ha aggiunto - è tra le cose usate per prevenire invasioni del Negev di terroristi e infiltrati. Abbiamo bisogno di rendere sicuri i nostri confini."
Ora, in attesa dello sviluppo degli eventi, un paio di considerazioni possono essere fatte. L'esecuzione di queste esercitazioni con missili balistici nel Mediterraneo non fanno che ricordare anche ai più distratti il ruolo centrale del nostro paese in qualsiasi operazione che riguardi il Medio Oriente. L'Italia, in particolare con le sue regione meridionali, è sempre stata considerata dagli Usa una sorta di loro base nella culla mediterranea. Nel 1999, allo scoppio della guerra in Kosovo, dalla base militare di Aviano, in Fiuli Venezia Giulia, e dalle altre basi NATO partirono molti dei caccia bombardieri che contribuirono a distruggere la Serbia, sottoponendo il paese ad una media di 600 bombardamenti al giorno. All'epoca il governo italiano appoggiò la scelta statunitense di intervenire con l'Alleanza Atlantica dal momento che l'ONU aveva vietato l'autorizzazione a procedere; per quanto riguarda la Siria, il governo italiano ha precisato che qualunque mossa non potrà essere messa in campo fino a quando non ci saranno i risultati certi dati dall'indagine predisposta dalle Nazioni Unite sull'uso di armi chimiche nel conflitto siriano. Il punto è che il non intervento italiano non sarà sufficiente a non rendere complice il nostro Paese. Abbiamo discusso a lungo e vi abbiamo raccontato delle manifestazioni dei siciliani che si sono riuniti nel comitato No Muos: oltre allo scempio territoriale ed alle gravi implicazioni sanitarie, è fondamentale opporsi a progetti come quello del sistema di radar a Niscemi proprio per impedire che le decisioni prese dai governi in politica estera siano effettivamente sovrane e non parziali. Gli Stati Uniti dimostrano, anche guidati dal presidente insignito del Premio Nobel per la Pace, di considerare il diritto internazionale alla stregua di carta straccia: se l'Italia, cosa che almeno a parole afferma, vuole evitare di prendere parte ad un massacro che violerà ogni regola internazionale e avrà come risultato la conferma della vocazione imperialista statunitense, deve cominciare a dire no ad ingerenze come quella di Camp Darby e Niscemi: allora forse ci potremo dire fautori di una politica internazionale specchio del governo e, di conseguenza, della volontà dei cittadini.
Immagine tratta da: www.theiranproject.com