Venerdì, 06 Settembre 2013 00:00

Il mondo sul baratro di una nuova guerra

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Un imperialismo indebolito, in termini relativi, dalla crisi e dalla crescita economica e politica di paesi già periferici e subalterni appare forzato dalla sua pretesa di continuità egemonica sul pianeta a un'avventura pericolosissima. Mi pare questa la prima questione da esplicitare, soprattutto dopo l'irresponsabile decisione del Senato statunitense di appoggiare l'irresponsabile decisione di Obama di un atto cosiddetto punitivo, in realtà di guerra aperta, alla Siria, anche perché è accuratamente rimossa dai massmedia. Mi pare che l'indebolimento sia sottolineato, nel caso francese, dal carattere ridicolo delle pose militaresche del galletto Hollande e, nel caso britannico, dal fatto altrettanto ridicolo del galletto Cameron che perde l'elmetto per strada.

E mi pare che sia evidentissimo nelle contorsioni di Obama, obbligato a fare guerra alla Siria altrimenti per gli Stati Uniti sarebbe la bancarotta dichiarata del loro secolare ruolo di massima potenza mondiale: pur nella consapevolezza che nella migliore delle ipotesi sarà un'altra guerra persa o pareggiata, come è accaduto non solo alle guerre all'Iraq e all'Afghanistan ma anche a tutte le altre guerre USA del dopoguerra, salvo quella contro Grenada. Oltre a ciò, nell'ovvia consapevolezza, al di là delle chiacchiere a uso e consumo delle preoccupazioni popolari, che sarà una guerra che molto difficilmente durerà solo tre giorni, o tre settimane, e che potrebbe facilmente estendersi all'intero Medio Oriente, e anche oltre, addirittura configurandosi come nuova guerra mondiale o semimondiale: in quanto basterebbe poco a perderne il controllo, con la quantità di entità avventuriste operanti in questa parte del mondo.

Basti pensare, infatti, a Israele e ad al-Qaeda ma anche al capo della neopotenza turca Erdoğan, galletto autoritario, brutale e pasticcione obbligato alla trattativa con i curdi di Turchia e al tempo stesso impegnato a evitare che all'entità curda di fatto indipendente del nord dell'Iraq si affianchi un'entità curda di fatto indipendente nel nord della Siria, e dunque impegnato a fornire armi a un movimento guerrigliero siriano legato ad al-Qaeda, che con i curdi siriani si sta pesantemente scontrando da settimane. Né può essere trascurato il peso di un fatto virtualmente certo, anzi già avviato: il prezzo del petrolio che va alle stelle, quindi la stroncatura dei debolissimi elementi di ripresa di una parte delle economie occidentali e un nuovo aggravamento della recessione di un'altra loro parte, dentro alla quale è l'Italia. La Siria infatti si trova in quell'area del pianeta che è la maggiore produttrice attuale di energia, cioè del ben 35% del petrolio che il pianeta consuma. E anche questo dato potrebbe trasformarsi rapidamente in motivo di allargamento territoriale della guerra. Paesi come l'Arabia Saudita e il Qatar stanno appoggiando guerriglie fondamentaliste siriane: un'estensione del conflitto a questi paesi, per iniziativa siriana o di entità sciite, potrebbe lasciare i paesi dell'Occidente più o meno rapidamente a secco, consegnando ai loro governi l'obiettivo di un urgente e massiccio intervento militare, probabilmente tramite la NATO. E i segnali di una guerra nella guerra tra gruppi sunniti e gruppi sciiti ci sono già tutti.

Giova ricordare, ancora, come le grandi guerre non scoppino certo per caso, ma a seguito dell'accumulazione prolungata di grandi tensioni: tuttavia come il loro detonatore concreto sia stato quasi sempre un errore di calcolo da parte di uno dei contendenti, che aveva pensato, effettuando una determinata mossa, di realizzare un risultato senza che una grande guerra esplodesse. E' come per le grandi crisi economiche: esse esplodono, in un contesto dell'economia che certo tende sempre più pesantemente alla crisi, ma a seguito di un errore, in genere da parte di un'istituzione capitalistica finanziaria che ha tentato un'azzardata operazione speculativa. Così è avvenuto con le grandi crisi del 1873, del 1929 e del 2007. Nel 1914 l'Austria-Ungheria ritenne di piegare la Serbia con un ultimatum, e così di disfarsi finalmente dell'irredentismo slavo-meridionale nei Balcani: la Serbia non ci stette, l'Austria-Ungheria le dichiarò guerra, la Russia intervenne al fianco della Serbia, ecc. Nel 1939 Hitler ritenne che le potenze occidentali non avrebbero difeso la Polonia, così come non avevano difeso in precedenza la Cecoslovacchia: invece Francia e Gran Bretagna agirono a difesa della Polonia, ecc.

Occorre creare alla velocità della luce un argine, usando, a sinistra e da parte sindacale, tutte le possibilità e tutti i varchi, ivi comprese le incertezze, le paure, le riserve, le critiche di molti governi o parlamenti occidentali e di molte istituzioni mondiali di varia natura. Bene ha fatto il governo italiano a tirarsi fuori. Bene ha fatto il parlamento britannico a fermare Cameron, bene la Russia e la Cina a opporsi con fermezza alle intenzioni di attacco statunitensi, bene il Vaticano a condannare le intenzioni di guerra, bene il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon a dichiarare che della questione dell'uso nella guerra civile siriana di armi chimiche va preliminarmente investito il Consiglio di Sicurezza e che ogni azione militare che ciò eviti sarebbe illegale, bene ha fatto il governo egiziano a dissociarsi da ogni intenzione di guerra, anche se appoggiata da paesi arabi o dalla stessa Lega Araba. Anzi tutto questo è servito a fermare un attacco immediato. Grazie a ciò la parola potrebbe ora passare alla diplomazia, già nell'occasione importante fornita dall'imminente G20 in Russia. Ma non bastano le resistenze istituzionali: occorrono mobilitazioni di popolo. Solo così la guerra può essere fermata, o, quanto meno, interrotta prima di tendere a divampare su vasta scala. Le popolazioni di tutto il mondo, comprese quelle occidentali, sono in tutta evidenza ostili a grandissima maggioranza alla guerra. Occorre che diventino protagoniste.

L'attività di disorientamento per via politica e massmediatica delle popolazioni occidentali è già cominciato e si sta snodando alla grande, anche da parte di forze che la guerra dichiarano di non volere e le si oppongono. Ciò va contrastato chiarendo come stanno effettivamente le cose. La disinformazione si basa sul dare ragione alle argomentazioni di USA, Francia, Turchia, ecc.: l'errore loro dunque consisterebbe solo nel mezzo della guerra, inappropriato e pericoloso. Ma, intanto, non è affatto chiaro chi abbia effettivamente usato armi chimiche contro la popolazione siriana. Se certamente nessuna apertura di credito può essere effettuata nei confronti della versione del regime siriano, nessuna può essere aperta anche nei confronti dei dichiarati di bande fondamentaliste. Sappiamo ormai, poi, quanto siano spesso autonomizzati dai loro stessi governi e capaci di ogni crimine, nelle situazioni di crisi, i servizi occidentali, non solo i loro gruppi deviati. Al tempo stesso abbiamo a che fare con un paese, gli Stati Uniti, il cui governo a suo tempo mentì a proposito delle “armi di distruzione di massa” di cui avrebbe disposto Saddam Hussein. E' inoltre da respingere al mittente la pretesa degli Stati Uniti di ergersi a giudici e giustizieri: cleptocrazie come quelle degli Assad, di Mubarak, di Gheddafi e via elencando hanno a lungo beneficiato dell'appoggio dell'Occidente, avendogli garantito in cambio il controllo del petrolio arabo e la repressione aperta di ogni tentativo da parte popolare di recupero di questa risorsa. Ma soprattutto è inaccettabile che per “punire” i governanti siriani si operi con i loro medesimi mezzi, l'uccisione su vasta scala di gente innocente, addirittura si rischi l'uccisione di milioni di esseri umani. In Iraq, in Afghanistan, migliaia di civili, donne, bambini sono stati uccisi da bombe “intelligenti”, droni, marines impazziti e quant'altro. Davvero il fatto che non siano nell'elenco, a differenza dai gas, delle armi proibite da convenzioni internazionali rende gli strumenti “tecnologici” migliori?

Immagine tratta da: www.wikimedia.org

Ultima modifica il Giovedì, 05 Settembre 2013 23:22
Luigi Vinci

Protagonista della sinistra italiana, vivendo attivamente le esperienze della Federazione Giovanile Comunista, del PCI e poi di Avanguardia Operaia, Democrazia Proletaria, Rifondazione Comunista. Eletto deputato in parlamento e nel parlamento europeo, in passato presidente e membro di varie commissioni legate a questioni economiche e di politica internazionale.

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