Il Sinn Fèin (nel GUE – Sinistra Europea in Europa) sosteneva l’abolizione, con delle parole d’ordine molto chiare: "cancellare un residuo del passato, che toglie sovranità popolare e segue un principio di elitismo". Il Senato della Repubblica d’Irlanda non è infatti eletto direttamente, ma viene nominato in parte dal primo ministro, mentre la maggior parte dei membri è eletta dai laureati delle due principali università irlandesi, da amministratori locali e dai deputati. I poteri di questo organismo sono limitati e in effetti dall’estero poco si comprende il senso di un’istituzione che tutti i sondaggi davano per finita. Tanto finita che il Corriere della Sera, il 3 ottobre, dando esempio di cattivo giornalismo, titolava «Costi della politica: Dublino elimina il Senato».
Sarebbe interessante tenere sempre a mente come si sia consolidato in Italia il mito della società civile, dopo il crollo dei partiti della Prima Repubblica, soprattutto nel recente passato, dopo che altre due firme del Corsersa, Stella e Rizzo, hanno scritto il noto libro La casta.
In particolare è divertente leggere il finale dell’articolo sopra citato.
«Il risparmio è marginale […] ma ciò che conta è la volontà di eliminare il superfluo dei parassiti […]. L’Irlanda ci regala un esempio di che cosa significhi, per davvero, ridimensionare i costi della politica. Fatti, non bugie o interminabili bla bla. Dal fallimento si esce così.».
Ovviamente in Italia la notizia è girata (poco) in una versione che metteva l’accento sull’astensionismo, che sempre tutto può spiegare, in tempi di crisi della rappresentanza (un po’ come il PMLI primo partito d’Italia, grazie all’astensionismo delle masse proletarie). Ecco il commento del Sinn Fèin (non tradotto alla lettera per praticità): “il popolo si è espresso e il referendum proposto è stato rigettato. La bassa affluenza deve essere motivo di riflessione. Tutti hanno concordato in questo referendum che il Senato nella sua forma attuale è non democratico e inaccettabile. Serve una riforma non solo del Senato, ma di tutto il parlamento e dei governi locali”.
La maturità di un ragionamento politico, contrapposta al Corsera, per il quale la spiegazione è elementare: tanto odiata è la kasta, che neanche si vota per mandarla a casa (vedi qui).
Forse si potrebbe ipotizzare che continuare a tagliare sulla rappresentanza non produce nessun aumento di fiducia rispetto alla politica.
Ma continueremo invece a pensare che la colpa è della kasta, non dei meccanismi di rappresentanza destrutturati e svuotati di senso (almeno da dopo la caduta del Muro di Berlino). Continueremo a gridare “abolire le province”, applaudendo a enti di nominati dove aumenta il clientelarismo, continueremo a scandalizzarci dei costi della politica (che pesano pochi euro a testa l’anno per ogni cittadino europeo), rimanendo indifferenti ai meccanismi reali che muovono l’economia globale e la crisi che ha investito il vecchio continente molti anni fa (e che permane, nonostante mesi di tecnici e fedeli responsabili dello spread).