Giovedì, 31 Maggio 2018 00:00

Repeal the 8th. Sui risultati del referendum irlandese

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Repeal the 8th. Sui risultati del referendum irlandese

Savita Halappanavar era una giovane dentista di origini indiane che viveva da tempo in Irlanda.

Nel novembre del 2012, a seguito di un marcato malessere e capendo di star perdendo il bambino che portava in grembo, si era recata nell'ospedale universitario di Galway, chiedendo che la gravidanza – ormai compromessa – venisse interrotta. A causa dell'ottavo emendamento alla costituzione irlandese, aggiunto nel 1983 a seguito di un referendum, che metteva sullo stesso piano la vita del feto e la vita della madre, proibendo in sostanzialmente qualunque caso l'aborto, il personale medico dell'ospedale si rifiutò di interrompere la gravidanza. Savita è morta di setticemia dopo pochi giorni.

La legge sull'interruzione volontaria di gravidanza in Irlanda, che stando alle parole del primo ministro Leo Varadkar sarà licenziata entro l'anno, probabilmente porterà il suo nome.

Tra la tragica, evitabile morte di Halappanavar e l'Irlanda che si appresta a normare per la prima volta nella sua storia l'aborto sta la rivoluzione pacifica del referendum dello scorso weekend, che ha spazzato via le ultime vestigia legali di una Irlanda cattolica e conservatrice che nella realtà aveva smesso di esistere da anni.

Al quesito che chiedeva se il famigerato ottavo emendamento dovesse essere abolito, aprendo la strada alla legalizzazione dell'IVG, il 66,4% dei votanti ha risposto “Yes”, una vittoria schiacciante in un referendum che invece si pensava sarebbe stato deciso sul filo di lana.

Hanno votato a favore dell'abolizione del contestato emendamento e gli abitanti delle città (a Dublino in alcune constituencies si è superato il 70% di Sì) e gli abitanti delle circoscrizioni rurali, tanto i professionisti quanto gli agricoltori. Solo il Donegal (“Yes” 48.1%, “No” 51,9%, con uno scarto di meno di 2500 voti) e gli ultrasessantacinquenni hanno votato per mantenere l'ottavo emendamento; mentre in constituencies rurali tipicamente conservatrici come Roscomm – l'unica ad aver votato contro l'ipotesi di estensione del matrimonio alle persone dello stesso sesso nel referendum del 2015 – e Cavan-Monaghan ha comunque prevalso convintamente il Sì (rispettivamente col 57,2% e con il 55,5% dei voti).

Il referendum arriva dopo un processo politico che ha coinvolto da un lato un comitato di cittadini a cui è stato chiesto di esprimersi sull'opportunità di modificare o cancellare l'ottavo emendamento e d'altro canto una apposita commissione parlamentare; ed entrambi i consessi si erano già espressi per la cancellazione dell'ottavo e la legalizzazione dell'IVG. Sia il Fine Gael del premier Varadkar – membro del Partito Popolare Europeo ma, come l'intero sistema di partiti irlandese, poco ascrivibile allo schema continentale – che l'altro partito tradizionalmente più forte, il Fianna Fáil, pur con una notevole quantità di distinguo e defezioni, hanno supportato l'indizione del referendum e l'abolizione del controverso emendamento, così come lo Sinn Féin e altri partiti minori di sinistra.

La campagna per il Sì, inoltre, si è basata su un'ampio coinvolgimento di associazioni locali e singoli cittadini, nonché sull'attivismo di una miriade di giovani e sul successo pratico e d'immagine di #HomeToVote, la parola d'ordine di quelle decine di emigrati irlandesi che sono tornati nell'Isola dai quattro angoli del mondo apposta per votare.

Si può immaginare che, oltre alla tragedia di Halappanavar, la lunga serie di allucinanti episodi di incuria o di vera e propria violenza istituzionale contro le donne lungo l'intero corso della storia irlandese, dalle famigerate lavanderie Magdalene del secolo scorso allo scandalo di malasanità particolarmente grave che ha recentemente riguardato lo screening per il cancro alla cervice uterina (qui1), abbia inciso nel formare la coscienza condivisa dell'urgenza di abbattere gli ultimi bastioni legali di un ordine reazionario e patriarcale che declassava le donne a cittadine di serie B, le cui vite sembravano non contare.

La Chiesa Cattolica irlandese, pur schierata convintamente per il “No”, ha inoltre mantenuto nella campagna referendaria un insolito basso profilo, probabilmente anche perché la parte avuta nel corso del novecento nella gestione delle lavanderie Magdalene e di altre simili istituzioni di confinamento per madri non sposate, orfani e prostitute – nei pressi delle quali in almeno un caso sono affiorate fosse comuni (qui2) –, oltre che gli strascichi dello scandalo degli abusi sessuali su minori da parte di sacerdoti, hanno reso per nulla credibili le pretese della Chiesa romana in Irlanda di voler difendere la salute delle donne ed i diritti dei bambini. Un ruolo maggiormente proattivo nella campagna per il No da parte della gerarchia cattolica avrebbe con ogni probabilità danneggiato la causa degli stessi antiabortisti.

Ciò non significa che la campagna per il No sia stata ingiustamente sfavorita nella contesa referendaria, come qualche opinionista interessato – in Italia e all'estero – ha cercato di spacciare. Gli antiabortisti infatti, nelle settimane precedenti al referendum, hanno potuto finanziare e diffondere aggressivamente e capillarmente la loro propaganda – basata anche su fotomontaggi raccapriccianti e sulla diffusione di fake news – progettata da strateghi della reazione web formati alla scuola di Vote Leave e di Cambridge Analytica.

La magnitudine della vittoria del Sì nel referendum avrà con ogni probabilità due conseguenze politiche, una tutta interna all'Eire e l'altra che riguarda l'intera isola irlandese.

La prima conseguenza è che, di fronte ad uno “Yes” così “pesante” e diffuso anche i politici antiabortisti dovranno necessariamente convergere verso posizioni più concilianti o rischiare di non venire rieletti. Un dato che fa sperare bene per il percorso parlamentare delle leggi che andranno a regolamentare l'aborto, che, dalle prime ipotesi, parrebbero addirittura più liberali di quelle vigenti in Inghilterra, Galles e Scozia, dove le donne irlandesi erano finora costrette ad emigrare per ottenere l'IVG. La seconda conseguenza è l'aumento della pressione politica sul parlamento britannico affinché sani l'anomalia dell'Irlanda del Nord, unica parte del Regno Unito in cui l'aborto è proibito in qualunque caso e teoricamente punito con l'ergastolo in base ad una legge letteralmente vittoriana, l'Offences Against the Person Act 1861.

La Gran Bretagna ha infatti permesso che in Irlanda del Nord non si applicassero le leggi che riguardano il resto del Regno ad esempio in merito al matrimonio tra persone dello stesso sesso e l'aborto per accontentare partiti unionisti di destra come il Democratic Unionist Party ed il loro elettorato di fondamentalisti protestanti. Per contro, il principale partito repubblicano, lo Sinn Féin, è da tempo schierato a favore dell'estensione della permissiva normativa britannica in tema di diritti civili anche all'Irlanda del Nord.

In definitiva il voto irlandese dimostra quanto schemi concettuali attraverso cui molti tra giornalisti e commentatori hanno letto la realtà politica dell'Europa contemporanea, improntati alla reificazione retorica di presunte fratture “naturali” tra cittadini/popolazione rurale, alto/basso, populisti/élite e via discorrendo non siano che semplificazioni prepolitiche che non dovrebbero avere cittadinanza nell'analisi politica “seria”. Dovrebbe inoltre spingere a ripensare una falsa dicotomia, quella tra “diritti civili” individuali e “diritti sociali” collettivi, troppo spesso retoricamente contrapposti. Ogni diritto individuale è infatti vissuto in società, e ogni diritto collettivo riguarda in fin dei conti vite individuali. Negando per esempio il diritto all'autodeterminazione delle donne, o il diritto a sposarsi e vedere la propria unione riconosciuta di persone coinvolte in relazioni omosessuali, non si fa “solamente” un torto ad un individuo, ma si costruisce e si perpetua una società costitutivamente sessista o omofoba, che fa dell'oppressione una sua architrave.

Chissà che anche il nostro Paese non possa trarne qualche insegnamento.


1 www.theguardian.com/commentisfree/2018/may/03/ireland-cervical-cancer-scandal-vicky-phelan

2 https://www.theguardian.com/world/2017/mar/03/mass-grave-of-babies-and-children-found-at-tuam-orphanage-in-ireland


Immagine di copertina liberamente ripresa da en.wikipedia.org 

Ultima modifica il Mercoledì, 30 Maggio 2018 23:55
Niccolò Bassanello

Nato a Bozen/Bolzano, vivo fuori Provincia Autonoma da un decennio, ultimamente a Torino. Laureato in Storia all'Università di Pisa, attualmente studio Antropologia Culturale ed Etnologia all'Università degli Studi di Torino. Mi interesso di filosofia delle scienze sociali, antropologia culturale, diritti delle minoranze e studi sull'educazione. Intellettualmente sono particolarmente influenzato dai lavori di Polanyi, Geertz, Wittgenstein e Feyerabend, su cui mi sono formato, oltre che dal postoperaismo e dal radicalismo statunitense. Nel tempo libero coltivo la mia passione per l'animazione, i fumetti ed il vino.

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