Quella che segue non è una recensione. Purtroppo le condizioni materiali impediscono di trovare il tempo necessario per poter scrivere del rapporto tra i romanzi di Wu Ming e la storia, o anche solo per analizzare la realtà richiamata dall’ultima opera proposta al pubblico dal collettivo, Proletkult. Sono solo alcune considerazioni sparse, opinioni di un sedicente comunista, aggrappato alla speranza di avere un’identità politica aperta e alla ricerca di un contesto in cui quest’ultima possa recuperare un senso riconosciuto.
Leggere l’ultimo libro di Vera Pegna (Autobiografia del Novecento. Storia di una donna che ha attraversato la Storia, Il Saggiatore, 2018) è stato davvero emozionante e appassionante. Quest’ultimi non sono degli aggettivi scelti a caso ma sono i tratti comuni a tutta la vita dell’autrice. L’emozione e la passione dunque.
Sul rossobrunismo (II)
[La prima parte qui]
Mentre mi accingo a scrivere questa seconda parte di una riflessione dedicata al rossobrunismo, mi viene spontanea una domanda: “Ma è davvero così importante scrivere su/di esso?” Mi faccio questa domanda perché risulta evidente che i problemi comuni a noi italiani sono altri: il lavoro, il razzismo, l’incapacità delle opposizioni di saper contrastare le derive xenofobe e populiste delle destre. Nondimeno credo che spingere i compagni a riflettere sul pericolo di sottostare alla confusione ideologica non possa esser sottovalutato.
La confusione è tanta e non è detto che sia un bene – sul rossobrunismo (I)
Questo che leggerete non è un vero e proprio articolo. La massa enorme di informazioni, impressioni, tesi e parole sull’argomento che vorrei trattare (il rossobrunismo) è tale da meritare un approfondimento diviso in diversi interventi. Al massimo potrei far chiarezza su quali siano i temi per me fondamentali da essere conosciuti, discussi, condivisi, in questo momento: il lavoro, il ruolo della sinistra in una società che non offre più agganci con i vecchi rituali, o li ha stravolti ed ha dato alla piccola borghesia e al proletariato risposte diverse, la struttura sociale all’interno della nostra nazione.
Il voto tra inconscio e riflessione
Ieri sera devo aver mangiato un po’ più pesante del solito, ho il ricordo di aver sognato molto sul significato del voto in previsione della prossima scadenza elettorale.
Il 14 ottobre 1980 è una data fatidica e tragica per la storia della sinistra in Italia. Una di quelle che sono destinate, quasi per caso, a cambiare profondamente e quesi del tutto gli avvenimenti in un dato periodo storico. Vivendo in un paese con pochissima memoria, penso che molti compagni non abbiano ancora capito a cosa mi stia riferendo. Troppo presi a polemizzare tra piccoli partiti, correre a presso al nuovo miracolo che ci salverà tutti.
Liste elettorali... Oppure?
All’indomani dell’assemblea nazionale che ha dato vita alla lista “Liberi e uguali”, ho letto da diverse parti reazioni di tanti compagni del tipo “rifanno il PDS”, tanta fatica per…. Lì per lì mi è sembrata un'analisi scontata, che esprimeva presa di distanza e anche un certo giudizio liquidatorio, tanto più che in contemporanea si apprezzava la decisione (?) di procedere a una lista antiliberista e di movimento di cui l’ossatura portante dovrebbero essere Rifondazione e PCI (Comunisti Italiani). Nel giro di qualche giorno però, a forza di rimuginare, questa espressione, “rifanno il PDS”, a cui corrisponde un'operazione congiunta di Rifondazione e PCI, ha cominciato a rappresentarmi qualcosa di significativo, a rimandarmi a riflessioni più profonde (per me, sia chiaro).
Uno dei marxisti italiani più rigorosi, Antonio Labriola, nel 1897 definiva la filosofia della praxis riprendendo le Tesi su Feuerbach, in seguito Gramsci chiarì come «l’essere non poteva essere disgiunto dal pensare, l’uomo dalla natura, l’attività dalla materia, il soggetto dall’oggetto; e se si fa questo distacco si cade in una delle tante forme di religione o nell’astrazione senza senso». Quindi, l’uomo stesso tramite questa filosofia viene concepito come una «serie di rapporti attivi (un processo)», tali che esso «non entra in rapporto colla natura semplicemente per il fatto di essere egli stesso natura, ma attivamente, per mezzo del lavoro e della tecnica» (Quaderni del Carcere). Ora quello che accadde durante la Rivoluzione d’Ottobre ce lo ha spiegato Gramsci attentamente ed è ben condensato nel suo articolo La Rivoluzione contro il Capitale (vedi qui), dal quale emerge come da questa filosofia sia necessario porre come «fattore di storia non i fatti economici, bruti, ma l'uomo, ma la società degli uomini, degli uomini che si accostano fra di loro, si intendono fra loro, sviluppano attraverso questi contatti (civiltà) una volontà sociale». Solo così si può intervenire concretamente sulla Storia rivoltando i rapporti di forza esistenti, non subendoli più passivamente lasciandosi porre come subalterni rassegnati. In base a questa filosofia gli uomini infatti «comprendono i fatti economici e li giudicano e li adeguano alla loro volontà», in poche parole fanno la Storia anziché lasciarsi gettare dal dominio di classe nel tritacarne della Storia.
La comunicazione è propaganda.
Certo, scritta in questo modo, risulta evidente che sia un pensiero forse un po’ troppo avventato. Nondimeno, in vari aspetti della vita pubblica, quando comunichiamo con chicchessia, stiamo cercando di convincere gli altri che il nostro pensiero, non il loro, sia quello giusto. Se dovessimo avere delle ottime idee, non si vedrebbe nessun motivo valido per non puntare su un discorso a tesi, partigiano, selettivo di cose da dire e da nascondere.
Lo spiegamento nascosto (Operai, contadini, impugnate i fucili)
Si aggira per il mondo un bisbiglio
Non lo sentì, lavoratore?
Sono le voci dei ministri di guerra-
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