Questo schema serve a Molinari, semplificando, per dire “...che il primo ha vinto. Ha vinto conquistando la politica e la cultura progressista mondiale: i diritti civili, i matrimoni gay, le quote rosa, l’adozione del figlio del partner nelle coppie gay, l’affitto degli uteri, e la vendita del seme e degli ovuli femminili, la libertà di decidere le fine della propria vita, il diritto alle droghe leggere.” Molinari continua sostenendo che “Il secondo ha perso. In 50 anni ha perso i diritti sociali e del lavoro, straordinarie conquiste strappate appunto dal lungo 68/69.” Qui Molinari fa un ampio elenco, cui rimando per brevità e conclude che “Di questo si è perso coscienza e conoscenza.”
Molinari sviluppa un ragionamento per cui, “In 50 anni le culture dei due ‘68 si sono scisse, anzi una si è sovrapposta all’altra cancellandola nella politica, nei cuori e nei cervelli del popolo di sinistra.” E ancora, “La sinistra non ha voluto(sottolineatura mia) affrontare la globalizzazione, guardare al resto del mondo rapinato dall’occidente, ai limiti del pianeta, a una visione integrale che coniuga condizione sociale, ambiente, pace, emigrazione.” Ripeto, veramente un bell’articolo che, nel clima autocelebrativo e retorico del cinquantesimo, era necessario per ridare un po’ di ruvidezza alle valutazioni sul ‘68. Tuttavia, leggendolo, c’era qualcosa che non mi tornava, che non mi soddisfaceva, mi impediva una adesione piena, il che mi ha costretto a rileggerlo più volte, ampliare la riflessione.
Sintetizzerei così alcune mie considerazioni. Ma Marx in tutto questo come entra? Insistendo con la provocazione di Molinari, io direi che i lavoratori hanno vinto… alla grande! Sono gli “studenti e i molti intellettuali” che hanno fallito pienamente! I lavoratori, i salariati, sono antagonisti (e comunque sempre subordinati) al Capitale per definizione: gli uni esistono in quanto c’è l’altro e viceversa. Un’altra condizione è concepibile solo superando l'antagonismo proprio del rapporto di produzione capitalistico, producendone uno di tipo cooperativo e con esso rivoluzionando gli attuali rapporti sociali, fino ai rapporti di proprietà che ne sono “l'equivalente giuridico”.
In questo quadro i salariati, nella fase culminante dei “trenta gloriosi” (non a caso) hanno accresciuto enormemente il proprio potere, ma interno ai rapporti antagonistici. In questo senso è azzeccata l'espressione attribuita a Sergio Garavini: “Conoscevo Franco, Mario, Giuseppe, che insieme a me alla testa dei cortei operai lottavano per il socialismo ma, dietro di noi, le masse dei lavoratori lottavano per gli aumenti salariali, per le ferie, per la riduzione degli orari di lavoro, per la pensione, la sanità, la casa…” Da questo punto di vista e dentro questi rapporti, i lavoratori hanno ottenuto tutto! Anzi, di più, le lotte dei lavoratori e le loro conquiste ci hanno portato, oggettivamente, sulla soglia del superamento dei rapporti capitalistici e con essi “chiudere la preistoria della società umana”, per merito loro e grazie al rapporto produttivo tra salariati e gruppo dirigente del Movimento Operaio e i “molti intellettuali”.
Per citare una splendida canzone di lotta di quel periodo (Contessa di Petrangeli), “anche l'operaio vuole il figlio dottore”, dobbiamo dire che i salariati l'hanno ottenuto e cosa hanno fatto i dottori figli di operai, insieme ai figli della borghesia, sia pure radicalizzati? Ecco, possiamo dare una risposta morale? Come, mi pare, induca Molinari e magari, aggiungo, invocando la categoria del tradimento? Non sono d'accordo, per me si deve parlare di un fallimento, totale fallimento! Certo, il sapersi adattare al rapporto di prostituzione generale che caratterizza la società capitalistica induce anche giudizi morali.
D'altra parte anche molti quadri operai (quelli venuti direttamente dai salariati, che sono comunque una minoranza nella composizione dei gruppi dirigenti) hanno saputo adattarsi alla nuova condizione di dirigenti staccandosi dai salariati: ho in mente il passaggio storico alla fine dei '70 (non a caso) quando nel PCI e nelle organizzazioni di massa si passò a stipendi che si sono sganciati progressivamente e tanto, dal contratto dei metalmeccanici fino allora assunto come un comandamento.
Fallimento quindi, perché la valutazione va fatta sui compiti assegnati a questo nuovo gruppo dirigente, nuovo perché più ampio, giovane, con nuovi compiti: uscire dai rapporti di produzione capitalistici perché “Questi rapporti da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono (si sono convertite) in loro catene. E allora subentra (doveva subentrare) un’epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura.”
Non sembri una banalità, una giaculatoria, un ripetersi di frasi fatte. O Marx aveva torto, oppure il salto era ed è maturo a questo livello dello sviluppo, e siccome la società è un organismo vivente e cambiando le condizioni necessariamente non può stare ferma, se non c'è produzione di una nuova forma più avanzata di riproduzione della vita, la “comune rovina” è una prospettiva certa, al di là dell'incertezza sulle forme che assumerà. È un idea priva di fondamento? È da tempo che mi frulla nel cervello un ragionamento: ma com'è possibile che a sinistra tutte le risposte, anche le più lontane e contrapposte, hanno una radice comune? I salariati devono fare i salariati!
Da coloro che hanno invocato la lotta armata (e oggi qua e là riprende questa suggestione), a coloro che risolvevano la questione con lo slogan “un nuovo modo di produzione, sotto la pressa mettiamoci il padrone”, da coloro che invocavano l'andata al Governo per le “riforme” (ampiamente realizzato), a chi invoca la sovranità nazionale monetaria con l'obiettivo di far ripartire il ciclo “virtuoso” keynesiano. Tutte vie politiche, tutte perdenti, presupponevano e presuppongono i salariati che vogliano restare tali, non che “neghino se stessi negando così il Capitale”. Sempre che Marx non ci abbia fuorviato: ma a me sembra che il suo ragionamento funzioni perfettamente, perfino l'adombrata “comune rovina”, altro che vittoria della borghesia.
Quella sinistra di cui parla Molinari, come vincente, in realtà non ha saputo essere all'altezza dei propri compiti cogliendo lo “… sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione…” prodotto dall'antagonismo vincente dei salariati che hanno consentito il massimo dello sviluppo delle forze produttive nel loro rapporto col Capitale, azzerando la scarsità del Capitale stesso. Quella sinistra non ha saputo agire, come era suo compito, “… le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo.” In questo senso non mi pare di aiuto la formula che Molinari usa: “La sinistra non ha voluto…” No, la sinistra non ha saputo! E mentre i salariati hanno svolto il loro ruolo di antagonisti perfettamente, il gruppo dirigente (ampio, molto ampio, l'erede di Marx e Engels), non ha saputo che pesci prendere, anche perché probabilmente ha smesso di studiare.
Lo studio, la formazione… A me pare preziosa la III tesi di Marx su Feuerbach: "La dottrina materialistica, secondo la quale gli uomini sono prodotti delle circostanze e dell'educazione, dimentica che sono proprio gli uomini che modificano le circostanze e che l'educatore stesso deve essere educato. Essa è perciò costretta a separare la società in due parti, una delle quali sta al di sopra dell'altra. La coincidenza nel variare delle circostanze dell'attività umana, o autotrasformazione, può essere concepita o compresa razionalmente solo come prassi rivoluzionaria."
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