Mercoledì, 06 Marzo 2013 00:00

Rifondazione e la sconfitta

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Molti dei compagni che collaborano al Becco sono legati a Rifondazione Comunista, quindi riteniamo utile pubblicare anche una riflessione scritta in prima personale plurale, senza per questo voler legare a Rifondazione tutti gli altri articoli che fanno parte della discussione che abbiamo aperto sul nostro sito.

Gli errori strutturali compiuti dal PRC

Proviamo ad ampliare lo sguardo, a esaminare con un colpo d'occhio la scia lunga dei 20 anni di Rifondazione Comunista in relazione al contesto politico economico italiano. Che cosa emerge? Emerge che essa è stata l'unica forza politica che coerentemente e senza cedimenti non ha ceduto alle lusinghe ideologiche del capitalismo liberista, ideologia che invece ha permeato nella sostanza (chi più chi meno) tutte le altre formazioni politiche italiane. Questo è stato certo un elemento di pregio e lode per il PRC, che ha potuto contare su un apparato ideologico saldo che invece è stato ripudiato con dissennatezza dalle altre anime della sinistra da Occhetto in poi.

Ma se l'intero quadro politico italiano è stato egemonizzato dal liberismo quali conseguenze se ne potevano e dovevano trarre? Principalmente due:

1) che diventava impossibile per un partito comunista allearsi con qualunque di queste forze, quantomeno finchè non fossero cambiati totalmente i rapporti di forza in modo tale da favorire la formazione di una coalizione realmente progressista in cui i comunisti fossero egemoni

2) che in questo panorama le conseguenze culturali potevano diventare solo due: o avrebbe perso di senso la classica distinzione destra/sinistra, in un contesto dove la sinistra veniva percepita in linea maggioritaria in una forza solo apparentemente socialdemocratica (PDS-DS-PD) ma in realtà nei fatti liberista; oppure si sarebbe arrivati a concludere che il bipolarismo era diventato di fatto un gioco di alternanza tra due destre, secondo la definizione data da alcuni importanti autori (Revelli, Cavallaro).

La strada scelta dal PRC a riguardo di questi due punti è sempre stata ambigua e incapace di mantenere per lungo tempo una linea decisa e coerente.

Le cose sono due: o il PRC è stato incapace di capire la portata devastante dell'influsso egemonico esercitato dal liberismo sulle forze socialdemocratiche, oppure non ha avuto il coraggio di far proprie le tesi di Revelli e Cavallaro, ricordando quanti danni queste teorie (che molti, è bene ricordarlo, bollavano come “settarie”) storicamente avessero fatto in contesti storici diversi (mi riferisco agli anni '20-30 quando si denunciavano i traditori socialdemocratici mentre i fascismi infuriavano in tutta Europa).

Da questo errore di analisi primordiale è conseguito l'altro grande problema drammatico del PRC, lo scissionismo, causato in primo luogo (si riguardi il libro di Paolo Favilli, In direzione ostinata e contraria) proprio dalle divergenze tattico-strategiche elettorali. Uno scissionismo favorito dall'aver acconsentito fin dalle origini alla creazione di aree e correnti organizzate, abbandonando quel centralismo democratico che per 40 anni aveva garantito la stabilità del PCI.

Ma lo scissionismo è stato favorito anche da una mancanza grave che ha colpito la gran parte dei comunisti e delle aree, e che rappresenta un'altra sorta di peccato originario della nostra pratica politica: l'aver posto le elezioni come obiettivo strategico invece che meramente come obiettivo tattico. Il quinquiennio 2008-2013 rappresenta da questo punto di vista la casistica più imbarazzante: per due volte, in vista delle elezioni Politiche, si decide di cedere ideologicamente e programmaticamente, mettendo da parte la propria identità, per il mero obiettivo di entrare in Parlamento. Abbiamo dimenticato che il Parlamento è un mezzo, non un fine. Il fine è l'abbattimento dello Stato borghese e il ribaltamento dei rapporti di produzione, la qual cosa non si può ottenere che attraverso un lungo processo di lotte in cui il partito riesca ad inserirsi positivamente, guadagnando così consenso sociale e crescita dell'organizzazione. Quello che abbiamo dimenticato è che un militante ben istruito, volenteroso, onesto e capace di guidare una mobilitazione vale più di 1000 voti ad una tornata elettorale.

Tutto ciò non vuol dire che dobbiamo tutti riversarci in massa nelle sedi di Lotta Comunista, ma che dobbiamo capire che il modo migliore per continuare a stare fuori del Parlamento, per essere invisi alla gente, è pensare solo alle elezioni e ad eleggere dei parlamentari. Non bisogna quindi mai (tanto meno oggi, in Italia, contesto particolarissimo in cui i compromessi politici sono visti come la peste) svendere la propria identità, anima, programma, mettendo in contraddizione la proposta politica con le lotte condotte negli anni.

 L'analisi di fase attuale

Capiti gli errori del passato cerchiamo di capire il presente. In primo luogo le elezioni Politiche segnano una serie di novità clamorose: il definitivo crollo del bipolarismo, con la ribellione di fasce maggioritarie dell'elettorato all'idea di dover accettare passivamente l'austerity imposta dall'Europa liberista.

Quel che ne deriva è però un quadro estremamente instabile sotto ogni punto di vista: politico, sociale ed economico, con la possibilità che si apra lo spazio anche per il ritorno di nuovi (vecchi) paradigmi culturali. Tale oggi è la permeabilità ideologica e la richiesta di radicalità di milioni di italiani.

In questo quadro c'è l'incognita del M5S: esempio di rivoluzione o di reazione/conservazione? Il dibattito in corso si è acceso sulle tesi contrapposte di Franco Berardi e Wu-Ming.

Chi scrive ha più volte denunciato il rischio derivante dal M5S e in particolare dalle personalità di Beppe Grillo/Casaleggio. Oggi è più difficile capire che cosa succederà dentro e fuori dal M5S. La mancanza di una cultura politica comune e la difficoltà di gestire un successo così improvviso e inaspettato, oltre all'impreparazione politica e ideologica della gran parte degli eletti rappresentano fattori di incognita notevoli. Quel che però sarà probabilmente decisivo è capire come si svilupperà la dinamica di potere all'interno del M5S: chi comanderà e deciderà la linea? Saranno i capi Grillo-Casaleggio, leader mai scelti democraticamente, oppure sarà il gruppo degli eletti, seguendo la propria ragione e al limite i suggerimenti del web?

In ogni caso si aprono voragini per i comunisti, se sapranno entrare nelle modalità adeguate in questi processi. Il M5S potrà deludere o stravincere, ma sia nell'uno che nell'altro caso ci sarà bisogno di qualcuno che proponga la radicalità sul tema economico-sociale, con la stessa verve usata da Grillo per il tema legalitario-istituzionale (la casta e i partiti...). 

Negli anni il popolo è caduto vittima di diversi populismi-leaderismi (Berlusconi, Bossi, Di Pietro, Monti, Grillo) ma nessuno di questi ha mai offerto sul piatto una proposta antiliberista, che rappresenta il vero nucleo per la risoluzione dei problemi.

Inoltre sappiamo che la crisi capitalistica in Occidente è lungi dall'essere risolta. Nulla è stato fatto per mettere sotto controllo il settore finanziario-bancario (ne è dimostrazione il caso MPS), l'UE non sembra poter autoriformarsi come dovrebbe, e mentre la disoccupazione e la povertà aumentano è probabile su termini medio-brevi l'esplosione di nuove bolle finanziarie che devasteranno ulteriormente il già fragilissimo tessuto economico. Il malcoltento e le finora moderate proteste di piazza rischiano di accendersi arrivando a livelli di esasperazioni allarmanti. 

I compiti dei marxisti

Parlo non a caso di “marxisti” e non meramente di “sinistra” o “comunisti”, per marcare una differenza importante: coloro che partono dalla conoscenza critica di Marx-Lenin-Gramsci e che oggi guardano sconsolati al panorama italiano si dovrebbero chiedere: che fare? Finora abbiamo sbagliato completamente analisi di fase, prospettive e soluzioni proposte. Siamo stati incapaci di capire le esigenze e le volontà di coloro che intendiamo rappresentare, difendere e guidare alla riscossa. Siamo inoltre coscienti che la situazione non potrà far altro che peggiorare ulteriormente, e vediamo come al momento praticamente non esista un organizzazione capace di affrontare le prossime devastanti crisi sociali e (forse) istituzionali del Paese.

Vale la pena, in un simile contesto, portare avanti il progetto Rivoluzione Civile, ossia il tentativo di concentrare l'azione di costruzione di una sinistra antiliberista all'interno della quale tentare di esercitare un'azione egemonica comunista? Siamo cioè certi che un progetto meno identitario e più allargato sia più attrattivo nel momento in cui perda gran parte della radicalità programmatica necessaria, necessitando inoltre di molto tempo per plasmare una cultura politica comune?

La domanda alternativa è: se siamo allo “stato zero” e tutto è da ricostruire, perchè dedicarsi a Rivoluzione Civile, progetto dai caratteri ambigui fin dalle origini e ormai già screditato, piuttosto che alla ricreazione di un valido partito comunista? Un partito che sappia affrontare, ricordando le pratiche della sua storia, anche eventuali derive autoritarie, di cui non si può del tutto escludere la possibilità per il prossimo futuro.

Quel che pare certo è che serva una nuova radicalità e un'accentuazione della preparazione politica e culturale dei militanti: se è realmente a rischio la democrazia e se la società italiana è ormai così instabile da assegnare diversi milioni di voti ad una serie di populisti padroni dei propri partiti, occorre ragionare sulla possibilità di dare stabilità al partito attraverso un'organizzazione di quadri piuttosto che di massa. Un partito di quadri che in caso di bisogno sia preparato ad affrontare nel modo adeguato le crisi più catastrofiche che potrebbero arrivare a mettere in discussione l'assetto costituzionale della nostra Repubblica.
Ma anche nel caso in cui il quadro non sia così drammatico e sia ancora possibile tentare un alternativo radicamento di massa bisognerà d'ora in poi porre l'accento su una piena conoscenza della teoria che contraddistingue il marxismo (materialismo storico e dialettico), degli assetti moderni e contemporanei dell'economia capitalistica e della società occidentale, oltre che un approfondimento delle pratiche di Resistenza storicamente adottate dal movimento operaio nelle epoche di crisi.

Rifondazione Comunista può bastare per tutto questo? Impossibile dare una risposta, ma una cosa è certa: mi sembra impossibile pensare che un partito comunista, anticapitalista o di sinistra (qualunque strada si scelga) possa sorgere ed avere successo senza l'appoggio e il consenso dell'attuale base di Rifondazione Comunista, la cui esperienza e le cui energie umane, culturali e sociali sono indispensabili e cruciali per qualsiasi progetto di ricostruzione.
La differenza tra una setta e un partito è molto sottile, e sta tutta nel numero e nella capacità attrattiva che è in grado di avere l'organizzazione: puoi avere anche la linea giustissima ed essere coerente per dieci anni, ma se ti seguono 1000 militanti in tutta Italia verrai guardato con compassione e disprezzo e non attirerai quasi nessuno. Se però ti seguono in 100000 verrai guardato con timore e rispetto, stimolando l'interesse e la curiosità per la tua proposta politica.

Quale organizzazione per il futuro?

L'appello che mi sento di fare è questo: tutte le organizzazioni comuniste presenti (PRC, PdCI, PCL, SC, ma volesse partecipare anche la base di SEL ben venga...), convochino i propri congressi e decidano di sciogliersi per riunirsi in una nuova costituente comunista da svolgere assieme a tutti i compagni rimasti per anni fuori dai ranghi. Una costituente da cui esca un'organizzazione puramente di classe, priva di compromessi e dal profilo nettamente alternativo a questo PD (che peraltro si sposterà verosimilmente ancora più a destra con il probabile avvento di Renzi), con una dirigenza completamente rinnovata per marcare la necessaria discontinuità dalle macerie del passato. Un'organizzazione comunista o quanto meno nettamente anticapitalista, che recuperi il simbolo, una teoria, un programma e una prassi che siano tali, che cerchi di riaggregare tutti i compagni comunisti sparsi sul territorio e faccia da sponda per le lotte che continueranno implacabili per i prossimi anni.

Un'organizzazione in cui il correntismo non esista, garantendo piena democraticità interna ma assoluta omogeneizzazione all'esterno: si ritorni quindi al centralismo democratico, si aboliscano le liste bloccate e si torni ai primi anni del Prc quando i delegati ai congressi e i gruppi dirigenti a tutti i livelli si eleggevano con le liste aperte maggiorate (di numero) e le preferenze che la base o la platea congressuale poteva dare liberamente.

Ci si apra però anche alle nuove possibilità offerte dal web e alle nuove esigenze di riforma del partito: si pensi alla possibilità di svolgere sondaggi consultivi tra i propri iscritti sul web per avere un quadro più aggiornato delle istanze e degli umori della base; si introduca la pratica dei referendum tra gli iscritti per le decisioni tattico-strategiche più importanti e per le quali sia possibile decidere per tempo.

E soprattutto: abituiamoci a fare politica senza soldi. Prendiamo in considerazione misure drastiche che ci ridiano piena credibilità (stipendi di dirigenti ed eletti ad ogni livello legati allo stipendio medio di un operaio specializzato, come si faceva una volta...). Accettiamo il fatto che bisogna tornare all'autofinanziamento e che, se questo non dovesse bastare, sarà necessario chiudere alcune sedi e cominciare a riunirci al ristorante, al bar o a casa dei vari militanti. Non respingiamo aprioristicamente le istanze del “partito sociale”, le cui pratiche, se dirette a rafforzare il partito, potrebbero essere importantissime sia in un'ottica sociale che economica.

Forse sto sognando e delirando, ma di una cosa sono abbastanza certo: ormai nella fase in cui siamo non ci rimane niente da difendere. Tanto vale provare a ricostruire quel partito comunista di cui la prossima epoca storica avrà indispensabile bisogno. Bisogna pensare al domani, non all'oggi. L'oggi è morto.

Immagine tratta da www.militant-blog.org

Ultima modifica il Domenica, 27 Ottobre 2013 22:17
Alessandro Pascale

Nato nel 1985, laureato in Scienze Storiche, lavoratore precario e aspirante professore di Storia e Filosofia con certificazione TFA già ottenuta. Tesi e tesine svolte su "Berlinguer e il compromesso storico", "Popular Music politica. Un'analisi storico-sociale sul contesto italiano", "Stalin e l'URSS (1922-1953)", valutate sempre con il massimo dei voti. Dal 2008 faccio militanza nel PRC tra Valle d'Aosta e Lombardia. Convinto che il 90% delle risposte del presente si trovino nello studio attento e ponderato del "nostro" passato.

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