Nel corso degli ultimi due anni, in una relazione costante con soggetti sociali organizzati afferenti al campo della scuola e dell'università, il dipartimento nazionale saperi di SEL ha sviluppato non solo la bella interlocuzione fine a se stessa tipica delle direzioni di partito: ti ascolto, se va bene ti faccio un comunicato stampa di sostegno, un calcio nel didietro e via. O peggio: ti ascolto e, neanche fosse un colloquio di lavoro, una pacca sulle spalle. “Mancano i finanziamenti”. Una delle frasi tipiche con cui si licenziano i lavori di analisi delle organizzazioni e dei sindacati che lavorano in quel mondo. Studenti, ricercatori precari, docenti. A partire dalla Legge Tremonti, la 133/2008, che decurtò su scala pluriennale il finanziamento ordinario all'università statale e lanciò la pericolosa suggestione dell'ingresso dei privati nei consigli d'amministrazione degli Atenei, un complicato e vasto mondo di “addetti ai lavori” si è mosso, dentro e fuori la cornice della mobilitazione. Il movimento studentesco, insieme a quello dei ricercatori precari, è quello che ha dimostrato maggiore slancio e una spinta propulsiva intensa e di lungo percorso. Sino alla discussione nelle aule parlamentari della Legge Gelmini, la 240/2010, il percorso di uno dei movimenti più maturi, complicati (disorganizzati) e politicamente coscienti del pianeta è stato segnato dal tentativo di dare una proiezione nella società della lotta studentesca: dalla lotta contro l'università proposta da Gelmini-Tremonti-Berlusconi alla lotta contro una certa idea di società. Percorsi come “Uniti contro la Crisi” hanno avuto la suggestione di raccordare le mobilitazioni dei lavoratori e degli studenti, provando a dare una cornice unitaria, sotto il vessillo della conoscenza “bene comune”. Termini che si sono imposti gradualmente nel dibattito politico. Ma basta un nome, basta dire con spocchia “Italia Bene Comune” per dire di aver costruito una relazione politica con un mondo così complicato? Certamente, no.
A partire dalla lotta contro la legge Gelmini, il dipartimento Saperi di Sinistra Ecologia e Libertà ha provato a costruire una cornice di analisi da cui far scaturire una razionale proposta politica. Non un lavoro da mero forum di Partito, dunque, ma l'interesse di “avanzare domandando”. Questo lavoro è culminato nella presentazione, il 1° febbraio 2013, del “Libro bianco sull'università e la ricerca”: insieme ai “Quaderni della Scuola”, costituiscono l'apice del lavoro di SEL e il fondamento delle nostre proposte. “Far parlare” il mondo della conoscenza e saperci discutere, lanciando una proposta politica onesta e aperta a nuovi e più vasti confronti.
Non è un caso che, come riconosciuto da molti addetti del settore, Sinistra Ecologia e Libertà sia l'unica forza politica dotata di una proposta organica di riforma complessiva del mondo dei saperi. Una proposta che parte dal metodo: no a riforme a costo zero. Fin qui, ce lo diciamo dai tempi del ministro Gui. In più: si a una riforma sistematica, con la ripresa di tutta la legislazione in opera su università, ricerca, diritto agli studi, allo scopo di comporre un “testo unico” che abbia l'intelligenza di rivedere tutte le riforme mancate degli ultimi vent'anni (si veda la Berlinguer-Zecchino, i decreti Mussi..), di rompere impianti legislativi ancora in vigore (i Regi Decreti degli anni '30 che ancora esprimono le linee guida in materia di provvedimenti disciplinari per docenti e studenti), di apportare innovazioni reali. Una proposta metodologica del genere richiede alcuni elementi fondamentali e ineludibili: una prospettiva di governo, una interlocuzione con tutti i soggetti interessati prima e durante il percorso nelle aule parlamentari. E un elemento essenziale per dare gambe ad una riforma che non intende essere velleitaria: tanto tempo. Già sul piano del metodo, ecco svelati alcuni passaggi chiave per la costruzione del cambiamento: la volontà di porsi in gioco in una logica di gestione dei processi e di squadernare in Parlamento una partita politica difficile, ma necessaria, da porre come prioritaria. Una partita che potresti giocare fuori dalle aule parlamentari? No, se i termini sono quelli del cambiamento reale, ossia di quella “rivoluzione” di cui deve farsi portatrice sana la pluralità dei soggetti sociali coinvolti ma deve avere un'unica attestazione formale per farsi principio di legge: l'istituzione. Fuori dall'istituzione, pur nella debolezza che la democrazia rappresentativa porta con sé, non c'è cambiamento perdurante. Ci può essere suggestione, spunto riflessivo, esperienza più o meno collettiva, pratica di rivolta diffusa e altro-potere. Ma non ci può essere il cambiamento, perché per la maggior parte dei cittadini la scuola e l'università rimarrebbero un cumulo di letame da cui, ogni tanto, nascono fiori. Cambiare le cose implica l'accettazione della sfida della rappresentanza della generalità dei cittadini, della sfida della conquista della maggioranza, della sfida del governo. Accettare una sfida significa negoziare, avendo il coraggio di costruire diversi rapporti di forza rispetto a forze temporaneamente egemoniche: è un passaggio importante, perché altrimenti non avrebbe senso la partnership fra partiti diversi, ma sarebbe più logico il “partito unico dei progressisti”. Un simpatico marasma in cui far annegare culture politiche e ammortizzare le proposte di governo più pragmaticamente radicali.
Abbiamo avuto il coraggio di esprimere in campagna elettorale una serie di istanze assenti dalla carta d'intenti dei progressisti e non risolte nelle proposte programmatiche dello stesso centrosinistra. Siamo stati silenziati dal bisogno di “immaginario di cambiamento” proposto dai Cinque Stelle e dai rapporti di forza interni ad una coalizione, elemento che bisognava risolvere non solo nelle primarie per il candidato premier, ma in una perdurante contaminazione da sinistra. E adesso?
Ora, abbiamo il dovere storico di porre la nostra agenda del cambiamento davanti agli occhi degli eletti del Movimento Cinque Stelle, ma ancora di più davanti a tutti i soggetti sociali, a tutte le rappresentazioni delle categorie più deboli che vivono quotidianamente la crisi. Sono costoro le forze che hanno catalizzato la disperazione dei cittadini di fronte alla crisi, l'interesse a superarla con un'agenda rivoluzionaria e di cambiamento, puntando sui beni comuni, sull'uguaglianza sociale, sulla giustizia, sulla parificazione delle opportunità per tutti i soggetti resi deboli dalla crisi. Che l'esito dei processi parlamentari sia il governo Bersani più o meno appoggiato dai Cinque Stelle, un esecutivo a guida Rodotà senza esponenti direttamente riconducibili ai partiti ma sostenuto da Italia Bene Comune e da tutti i volenterosi che si riconoscerebbero in un'agenda di cambiamento puntuale, una nuova data elettorale, il nostro partito ha il dovere di presentare una strategia di lungo percorso. All'Italia e alla Sinistra.
Per non essere preda della mera ansia di sopravvivenza, per non essere soggetto ai tatticismi che, col voto del 24 e 25 febbraio, hanno dimostrato il loro fallimento. Dall'esperienza di SEL sui Saperi può nascere una nuova scintilla che possa portare a proposte rivoluzionarie fondate sull'unità d'azione fra progetti politici e soggettività sociali.
Aprire il cantiere dell'alternativa interrotto ormai due anni fa non significa solo contrattazione con le forze politiche, dunque: è necessario svolgere gesti di reale apertura alle energie produttive del Paese, chiedendo loro di assumersi responsabilità e di scendere in campo.
Quella proposta del primo congresso nazionale di Sinistra Ecologia e Libertà, ossia gli “stati generali della Sinistra”, può e deve essere ripresa per far convergere, nel lavoro parlamentare e nella prospettiva di governo, attese e speranze di lungo percorso. È più che necessario, anziché discorrere di proposte da manuale Cencelli, riprendersi gli strumenti della partecipazione per far vivere una esperienza di confronto di lungo periodo, che abbia come stella polare una reale e collettiva responsabilità di governo. È un'occasione da non perdere, pena la morte della sinistra politica e sociale del nostro Paese.