Martedì, 07 Ottobre 2014 00:00

La sinistra di fronte al rischio globale

Quando nel 1986 il sociologo tedesco Ulrich Beck conia l’espressione di “società del rischio” già il mondo viveva da diversi decenni in un contesto di crescente incertezza e angoscia rispetto al destino dell’umanità: genocidi, armi di distruzione di massa, crisi economiche avevano fortemente messo in discussione l’ingenua e superficiale fiducia nel progresso e nella crescita del livello di sicurezza individuale e collettivo.

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Vittima del protagonismo del Premier Renzi e dell'antico rito della frammentazione, la sinistra vive oggi un momento di profonda crisi. Se da un lato Matteo Renzi è riuscito nell'impresa di “rottamare” la classe dirigente del PD, salvo poi perpetuare la logica delle larghe intese, a sinistra del Partito Democratico si moltiplicano le divisioni che rendendo fallimentare ogni tentativo di costruzione di un progetto unitario. Quale futuro per la sinistra nel nostro paese?

Abbiamo posto questo interrogativo a tre protagonisti del variegato universo della sinistra politica: Pippo Civati - anima eretica del Partito Democratico –, Nicola Fratoianni - da pochi mesi Coordinatore nazionale di Sinistra Ecologia Libertà – e Simone Oggionni - Coordinatore nazionale dei Giovani Comunisti.

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Un pezzo importante della variegata e frammentata sinistra si è ritrovato dal 23 al 28 settembre nel cuore del centro storico di Reggio Emilia per discutere di come superare marginalità e divisioni.
Partire dalle radici per far crescere le ali: questo il filo conduttore (e l'auspicio degli organizzatori) della festa “Lavori di corsa a sinistra” promossa da Essere Comunisti e primo appuntamento della nascente associazione Sinistra Lavoro, contenitore che si propone come lievito per far crescere un raggruppamento unitario della sinistra nel nostro Paese.
A conclusione del dibattito finale della festa, che ha visto la partecipazione di Claudio Grassi, Nicola Fratoianni e Pippo Civati, abbiamo raccolto le opinioni di uno dei promotori di Sinistra Lavoro: il senatore Cesari Salvi.

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Giovedì, 14 Agosto 2014 00:00

Lavoro e libertà: Fassina il greco

Laureato alla Bocconi, un'esperienza da economista per il Fondo Monetario Internazionale, emerso alle cronache politiche sotto il PD di Bersani, eletto per questa XVII legislatura, Viceministro dell’Economia e delle Finanze durante il governo Letta, si dimette, poco dopo l’infelice battuta di Renzi “Fassina chi?”, per divergenze sulla linea politica portata avanti dall'allora solo segretario del PD rottamatore.

Lavoro e libertà” è un libro-intervista realizzato da Roberto Bertoni, giovanissimo giornalista, classe 1990, e Andrea Costi, esperto di sviluppo sostenibile (a livello ambientale quanto di dignità dei lavoratori). Edito da Imprimatur nell’estate 2014 in seguito al successo del PD alle europee e distribuito nelle librerie a ridosso dei risultati sull’andamento del PIL italiano (deludente rispetto alle previsioni del governo e ritenuto la prima battuta di arresto di Renzi da alcuni commentatori).

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Stando all’ossessiva campagna pubblicitaria a sostegno di Renzi, questi a Bruxelles, presiedendo il Consiglio dei capi di stato e di governo, lo ha giustamente strapazzato, protetto da una Merkel sorridente e da un Hollande entusiasta. Così l’Italia d’ora in avanti verrà rispettata e beneficerà senz’altro di un allentamento dei vincoli di spesa pubblica, in più le daranno un bel po’ di soldi da spendere per la ripresa dell’economia e dell’occupazione. È vero che un paio di riottosi hanno tentato di mettersi di mezzo, Weidmann della Bundesbank, il finlandese Likainen, commissario pro-tempore all’economia (in sostituzione dell’arcigno ultraliberista Olli Rehn): ma Renzi gli ha imposto di non impicciarsi di cose che non li riguardano. La strada dunque è spianata. In cambio l’Unione Europea vuole dall’Italia semplicemente quelle “riforme” che Renzi stesso vuole, quella che toglie di mezzo il Senato e quella che porta alla legge elettorale antirappresentativa concordata con Berlusconi.

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Dopo mesi di astio e di decisioni andate di traverso a molti la scissione in SEL è arrivata a compimento. Il casus belli l'oramai celeberrimo “decreto ottanta euro” (seguito ad un altro casus belli che ha sicuramente contribuito a rafforzare le posizioni di Migliore: la scelta della signora Spinelli di rinunciare alla rinuncia, scelta che ha frustrato molti elettori e militanti di SEL). 
Pezzi importanti di quel partito (almeno tra i parlamentari, difficile dire l'effetto sugli iscritti) si sono diretti verso il PD provando a tracciare un'incredibile - istantanea - scorciatoia per una sinistra di governo: entrare in un partito che già governa
Si realizza, almeno parzialmente, una delle due opzioni (l'altra è il settarismo) opposte e speculari che coinvolgono la sinistra italiana da almeno un decennio: il governare tanto per farlo, il governare sempre e comunque, a prescindere dai contenuti, a prescindere dal Nuovo Centro Destra, a prescindere dalla realtà dei fatti.

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Le elezioni europee dello scorso 25 maggio hanno sicuramente avuto il pregio di consegnarci una chiara (nonostante la forte astensione) fotografia dello stato del Paese

Senza dilungarci, lasciando l'analisi del dato elettorale ad altri: il Partito Democratico  stravince con più del 40% dei consensi, aumenta i propri voti in assoluto e diviene primo partito tra quelli coalizzati attorno al PSE, riuscendo tra l'altro ad arginarne in gran parte l'arretramento; mentre la lista Tsipras di Spinelli e compagnia riesce a superare il quorum con uno scarso 4,03% (con cento-centocinquanta voti in più rispetto al risultato della Federazione della Sinistra nel 2009) quasi solamente grazie al calo dell'affluenza ed elegge tre europarlamentari, vale a dire Barbara Spinelli, Curzio Maltese ed Eleonora Forenza di Rifondazione Comunista. 

E proprio dal dato delle europee è comodo partire per farsi un idea dello stato di salute della sinistra italiana e porsi la fatidica domanda, “che fare?”.

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Venerdì, 30 Maggio 2014 00:19

Europa, Italia e populismo

Ho sollevato in un precedente articolo il tema di che cosa si debba intendere per “populismo”; o, meglio, poiché “populismo” è una parola che ha subito in questi anni tutte le torsioni di significato possibili e immaginabili, quali siano i significati che rendono oggi utile questa parola, e la portino a nozione con un contenuto non troppo elastico. Poniamo che con il termine “populista” sia stato utile in passato definire una formazione politica orientata ad accorciare la distanza tra sé e il popolo o un suo segmento, ovvero orientata a “saltare” la mediazione tra sé e questo popolo o segmento di popolo fornita da “corpi intermedi”, di natura sociale (come per esempio i sindacati) o istituzionale (come per esempio assemblee parlamentari o governi locali); inoltre orientata a togliere potere, o addirittura ad annullare, tali corpi intermedi o una loro parte; infine a sostituire nell'immaginario sociale, ai ruoli delle istituzioni centrali

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Il risultato ottenuto dalla Lista Tsipras il 25 maggio sembrava ai più poco probabile: eppure è successo. Un risultato importante quel 4,03%, un puntello ad una casa che aveva ancora poche pietre sollevate.
Un risultato ottenuto nonostante tutto: in primis i pochi soldi a disposizione per la campagna elettorale, i pochi nomi noti in lista, ma anche la scarsa attenzione dei media (anche se più che di volontà censoria bisognerebbe realizzare che se conti poco, ti fanno vedere poco). Rimane oggi sul tappeto il cosa fare adesso.

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Ho aspettato un mese intero prima di scrivere queste parole. Una riflessione che mi sono portata dietro durante una campagna elettorale intensa e che probabilmente farà salire su tutte le furie coloro che hanno fatto degli studi elettorali il loro mestiere.

A Firenze abbiamo visto candidarsi dieci diversi aspiranti sindaci. Dieci, sostenuti da ventisette liste. Ventisette per un totale di oltre 800 candidati (meglio non mettersi a fare i conti per i quartieri). E questi numeri sono sintomo chiaro del personalismo della politica da cui oramai non riusciamo più a scappare.

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