Fisico da Barbie: gambe lunghe, labbra turgide, vitino da vespa, seno abbondante, zigomi affilati, ventre piatto e sedere ben in vista, se nell’antica Grecia e nel Rinascimento le donne erano belle con tutte le loro forme e forse anche un po’ di fianchi, i canoni di bellezza oggi sono nettamente cambiati.
Fino a dove si può spingere l'ossessiva ricerca della bellezza eterna?
Fréderic Doazan analizza, in maniera cruda e spietata, la storia del corpo femminile, ed attraverso 2.38 minuti di “aspira, taglia e cuci” narra con un chiarezza disarmate un calvario.
Inizialmente la donna subisce piccoli ritocchi estetici che ne rendono l'aspetto più attraente, lentamente però, è soggetta modificazioni fisiche sempre più invasive. Due minuti e trentotto secondi attraverso i quali la società - rappresentata attraverso le mani del chirurgo plastico - modella e crea senza scrupoli la donna, adattandola alle tendenze della chirurgia plastica e ottenendo un’inquietante ed innaturale femminilità.
La chirurgia estetica, viene mostrata dal regista francese, sempre più invasiva, una critica forte e dura, condotta con ironia quella di Daazan. Un’animazione di pochi minuti che, riesce, senza perdere la leggerezza a far sorridere e riflettere sulla femminilità attuale, spesso inerme e, in molti casi, totalmente succube dell’apparire.
La terrificante distruzione finale della SuperVenus, della ricerca estenuante ed esagerata della perfezione estetica ad ogni costo, il seno che esplode, le sopracciglia che cadono, l’esasperata ricerca della giovinezza che trova la sua fine con la morte.
Chiariamoci, ”Una più è autentica quanto più somiglia all'idea che ha sognato di se stessa” affermava in Agrado in “Tutto su mia madre” di Almodovar e, non possiamo che concordare, indipendentemente dal sesso di appartenenza, con quest’affermazione ma, se la stoltezza delle richieste mediatiche che sfociano nel trucco e nella liposuzione ridefiniscono la Supervenus di Doazan ed annullano cosi l’originalità di ognuna a tutte, non possiamo che augurare di continuare a coltivare la propria unicità e, come affermava Virgina Woolf “ad azzardare, a cambiare, ad aprire la mente e gli occhi, rifiutando di lasciarmi incasellare e stereotipare. Ciò che conta è liberare il proprio io: lasciare che trovi le sue dimensioni, che non abbia vincoli”.