Insomma, il Black Friday nasce da una degenerazione sociale: non si è più capaci di considerare la merce per quello che è, ovvero un qualcosa che compriamo per dargli un utilizzo (anche velleitario) al nostro servizio, ma uno status symbol che racconti agli altri chi siamo. Non ci si può permettere di far capire agli altri che non possiamo affrontare la spesa dell'ennesimo inutile vestito, o dello smart phone ultimo modello, perciò approfittiamo delle imperdibili offerte messe a disposizione durante il Black Friday e ci gettiamo sulle strade e nei negozi persi in una caccia al tesoro insieme ad altri cacciatori che aspirano come noi ad accaparrarsi di tutto e di più.
In questo scenario già di per sé desolante si è imposto quest'anno un evento nuovo: lo sciopero dei lavoratori Amazon. Amazon, la quintessenza del consumismo, ha subito un blocco di produzione proprio nel giorno di San Consumismo. Proprio nella giornata che avrebbe portato probabilmente i maggiori guadagni nelle casse dell'azienda i lavoratori hanno incrociato le braccia, denunciando forti e chiari i loro disagi di lavoratori sacrificati in no,e del profitto, del denaro. Uno sciopero paradigmatico, sia per i protagonisti dello stesso, sia per appunto la giornata scelta: ovviamente il Black Friday ha garantito agli scioperanti una bella vetrina mediatica. Molti hanno notato il paradosso del rivendicare i propri diritti di lavoratori proprio quando si sarebbe rischiato di essere considerati soltanto dei distributori automatici di beni.
Ed è proprio in questo giorno che i lavoratori di Amazon hanno squarciato il velo che nascondeva la loro situazione, che li rendeva robotici agli occhi del mondo ed hanno rivendicato a gran voce la propria umanità, fatta di normali e sacrosante necessità. Abbiamo mai pensato a cosa ci sia dietro ai prezzi stracciati dei prodotti acquistati online e consegnati in 24 ore? Ovviamente ogni lavoratore deve mettere il turbo, rinunciando ai più sacrosanti e banali diritti: niente pause, ritmi di lavoro massacranti, a sprezzo anche della sicurezza. Perché è logico che dopo un tot di ore di produzione serrata l'attenzione anche alla propria incolumità venga meno.
Proprio per il fatto di aver posto rimedio alla nostra (consapevole?) ignoranza dovremmo dire grazie ai lavoratori di Amazon: il loro sciopero servirà, si spera, non soltanto a migliorare le loro condizioni di lavoro, ma anche a regalarci una nuova utile, anche se scomoda, consapevolezza di cosa comporti avere tutto a portata di click. Noi abbiamo un disperato bisogno di sfoggiare la nuova gonna all'ultima moda per il compleanno di quella collega che si dà un sacco di arie per i suoi vestiti carini? Bene, qualcuno quel desiderio di rivalsa lo pagherà rinunciando ai suoi diritti. Forse sarebbe il caso di fermarsi e considerare cosa ci sia dietro la merce che acquistiamo. Niente "nasce sugli alberi", se un bene ci arriva in tempi strettissimi e a prezzi stracciati stiamo pur certi che qualcosa non torna in termini di rispetto dei diritti dei lavoratori. Quindi facciamo un passo indietro: se non ci possiamo permettere di acquistare tre vestiti nuovi compriamone due soltanto, e facciamolo a prezzo pieno. E se una merce non ci arriva in giornata, accontentiamoci di averla il giorno dopo, ma pensiamo che i lavoratori impegnati nella sua produzione possono lavorare in condizioni decisamente più umane.
È ovvio che non si voglia rinnegare il piacere dello shopping tout court, ma semplicemente non ridurlo a un rito importato da celebrarsi insieme a "millemila" persone allo scopo soltanto di accaparrarsi più merce possibile al minor costo possibile. Non è meglio uscire con un'amica, mangiarsi un gelato, passeggiare e tornare a casa con quella maglietta che ci piace tanto? E pazienza se la carta di credito piangerà un po'! In fondo, che cosa ce ne facciamo di un Black Friday pensato per degli Americani a pancia piena dopo il giorno del Ringraziamento?