Lo chiamano capitalismo miserevole un termine che è quasi un pugno in faccia e che via via sta sempre più sostituendo il, ben diverso, concetto di welfare state.
La sovranità alimentare, il diritto al cibo rientra perfettamente in questo malefico gioco d’equilibri che vede assoluti protagoniste le oligarchie del capitalismo mondiale.
Il termine sovranità alimentare nasce con il movimento di Via Campesina a fine anni’90, la definizione coniata declinando tutto quello che è necessario per rendere dignitosa la vita di un individuo:
“La sovranità alimentare è il diritto dei popoli ad alimenti nutritivi e culturalmente adeguati, accessibili, prodotti in forma sostenibile ed ecologica, ed anche il diritto di poter decidere il proprio sistema alimentare e produttivo. Questo pone coloro che producono, distribuiscono e consumano alimenti nel cuore dei sistemi e delle politiche alimentari e al di sopra delle esigenze dei mercati e delle imprese. Essa difende gli interessi e l’integrazione delle generazioni future. Ci offre una strategia per resistere e smantellare il commercio neoliberale e il regime alimentare attuale. Essa offre degli orientamenti affinché i sistemi alimentari, agricoli, pastorali e della pesca siano gestiti dai produttori locali. La sovranità alimentare dà priorità all’economia e ai mercati locali e nazionali, privilegia l’agricoltura familiare, la pesca e l’allevamento tradizionali, così come la produzione, la distribuzione e il consumo di alimenti basati sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica. La sovranità alimentare promuove un commercio trasparente che possa garantire un reddito dignitoso per tutti i popoli e il diritto per i consumatori di controllare la propria alimentazione e nutrizione. Essa garantisce che i diritti di accesso e gestione delle nostre terre, dei nostri territori, della nostra acqua, delle nostre sementi, del nostro bestiame e della biodiversità, siano in mano a chi produce gli alimenti. La sovranità alimentare implica nuove relazioni sociali libere da oppressioni e disuguaglianze fra uomini e donne, popoli, razze, classi sociali e generazioni.”
Questo concetto oggi ha visto degli aspri difensori in alcuni paesi del Sud-America: L’Ecuador, nel 2008 ha addirittura inserito nella costituzione repubblicana un articolo specifico su di essa (art. 13), Il Guatemala, la pratica in risposta dei trattati di libero scambio con gli Stati Uniti, e la stessa rivolta zapatista è stata scatenata proprio dal tragico trattato di libero scambio Usa-Mexico; Il NAFTA.
Prima di questo trattato il Messico era uno dei più grandi produttori del mondo di mais, cereale di vitale importanza per l’economia e la sussistenza nazionale. L’introduzione del NAFTA permise l’ingresso di mais ogm che in parte sostituì la produzione naturale locale. In pochi anni i risultati furono disastrosi: crollo di quel settore economico (a mero vantaggio di multinazionali americane) e aumento di gravi disturbi determinati da una cattiva alimentazione (malnutrizione, obesità e via dicendo). Marcos e gli altri chiedevano il diritto al cibo, proprio quello che scaturisce in maniera chiare e forte dal manifesto di Via Campesina.
Fermare il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) quindi diventa una prima vera fonte d’opposizione verso l’ingresso totale di questa logica.
È chiaro che questa definizione cozza profondamente con gli intenti che porteranno al completamento della cosiddetta carta di Milano, scritta all’interno della rassegna espositiva universale milanese con lo slogan, in pompa magna: “nutrire il pianeta”
Essa si fonda su 3 concetti cardine:
1) cibo consumato prima che deperisca
2)donati a chi non ne possiede qualora vi sia un surplus
3) conservato per evitare deterioramento.
Lo stesso Presidente Mattarella in visita ad Expo pochi giorni fa ha firmato e ribadito il concetto; dare “il cibo in prossimità della scadenza a chi non lo ha”.
La teoria della compassione, la teoria del cibo-rifiuto che deve essere “donato” a chi il cibo non se lo può proprio permettere. Una barriera forte, che si scontra col perbenismo dilagante. Una barriera che deve essere necessariamente abbattuta e superata perché tutti e tutte possano avere lo stesso tipo d’accesso al cibo, alle risorse e ai mezzi di produzione per decidere liberamente la loro alimentazione.
Il concetto di sovranità alimentare è difficile da applicare ai paesi occidentali. L’Italia infatti possiede in percentuale un’esigua popolazione contadina (5/6% del totale), e praticare la sovranità alimentare in questo contesto è sicuramente una difficoltà oggettiva.
Tuttavia è necessari praticare un reale ritorno alla terra, che non sia solo slogan di partito o di start up vaneggiate da Renzi e Co. Il vero spirito che ha sempre contraddistinto l’Italia, il legame con la terra. Beni sequestrati alle mafie, terreni incolti e lasciati semmai alla speculazione del cemento. In questo senso l’esperienza di Mondeggi Bene Comune è lungimirante: la fattoria senza padrone, nei pressi di Firenze dove da un anno un gruppo di cittadini e cittadine sta provando a rilanciare sul tema della terra come vero punto di partenza per la riflessione sui beni comuni.
In Italia la strada da fare da questo punto di vista è tanto e spesso anche nei “salotti” della buona politica si confonde il termine sovranità alimentare con sicurezza alimentare, due concetti ben diversi che possono collimare ma allo stesso tempo possono essere antagonisti; del resto ad Expo si parla anche e soprattutto di sicurezza alimentare.
Il cibo è vita, la vita stessa è cibo di sapere e conoscenza. Maurizio Gioli ci ricorda che in lingua Quechua cibo significa vita:
tuteliamolo, tuteliamo noi stessi!