Lunedì, 19 Giugno 2017 00:00

La luna nel pozzo: il teatro a Sollicciano

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Giovedì 15 giugno è andato in scena presso il teatro del carcere di Sollicciano "La luna nel pozzo", uno spettacolo di teatro-danza realizzato dall'Associazione Pantagruel tramite il progetto finanziato dal Comune di Firenze "Laboratori al fresco: animazione culturale in favore della popolazione carceraria". L'Associazione Pantagruel da anni si occupa dei diritti dei detenuti, realizzando laboratori, corsi di formazione e creatività - come il laboratorio, avviato nel 2001, "la poesia delle bambole", un percorso pedagogico attraverso la creazione di bambole di stoffa - e continue battaglie per la dignità di chi è chiuso tra le sbarre. Lo spettacolo ha avuto come protagoniste 4 detenute del carcere coadiuvate da due operatrici/attrici dell'Associazione: Elena Cojocaro, Cristea Garofita (detta Erika), Maria Andrea Mistoc (detta Shakira), Maria Colangelo, Manuela Giugni ed Enrica Ignesti.

La performance era composta da quattro quadri coreografici: la piazza (due scene), il viaggio, il groviglio, la luna e, infine, il gran finale. Poesie di Garcia Marquez (immancabile la sua meravigliosa "Se potessi sfogliare la luna", che ha introdotto lo spettacolo), di Neruda, di Saffo, di Saba, di Wilde e di Olivier hanno introdotto ogni quadretto accompagnato da musiche di Nino Rota, Haendel, Delibes, Bosso, Bregovic.

La luna nel pozzo è un misto tra il cabarettistico e il poetico, in cui si sono alternati momenti di ilarità e buffoneria insieme a momenti toccanti e suggestivi. Con pochi mezzi e una scenografia minimale, le donne sul palco sono riuscite, grazie alla loro presenza scenica, a coinvolgere lo spettatore, tra risate e commozione, senza fargli dimenticare il sottofondo amaro della prigionia. Nonostante fosse evidente che le 4 detenute fossero alle prime armi e i loro movimenti sul palco a volte potessero apparire un po'goffi e incerti, le due attrici professioniste sono state capaci di alzare il livello dello spettacolo, senza però rubare la scena alle detenute, che sono rimaste le indiscusse protagoniste della performance. Inoltre ciò che forse ha maggiormente colpito è stata l'intelligente e intrigante coreografia, che con movimenti semplici, qualche oggetto di scena e poche parole, è riuscita a creare dei quadri vivi ed efficaci, usando quasi esclusivamente corpi in movimento e musica. La coreografia più che essere descrittiva è stata capace di trasmettere attraverso scene struggenti, sognanti, a tratti quasi oniriche - nella scena della danza si intraveda il Fellini di otto e mezzo - lo stato d'animo di chi, in fondo al pozzo vorrebbe risalire in cielo per afferrare la luna e non soltanto il suo pallido ed evanescente riflesso. Così il viaggio, il groviglio, la luna hanno preso plasticamente vita sul palco quasi da sembrare reali, come se lo spettatore venisse effettivamente calato nell'atmosfera che le scene volevano ricreare sondando nel profondo desideri e aspettative di persone che hanno perso la libertà.

Alcuni dei momenti più toccanti e da ricordare sono stati rappresentati dai quadri della piazza, del groviglio e della luna. Nella piazza abbiamo visto ciascuna delle donne aprire la propria valigia e tirar fuori gli oggetti del cuore, da foto ricordo a strumenti di giocoleria, da scarpette rosse a una chiave per aprire una serratura segreta.
Di grande impatto la scena del groviglio, in cui le attrici sembravano veramente avvilupparsi tra di loro e su se stesse, come spinte da un filo invisibile che usciva dai loro corpi con un chiaro ma non banale richiamo alla sensazione di soffocamento e prigionia che si può provare dentro le mura di un carcere, sensazione resa ancora più forte dal pathos e dalla tensione crescente delle note di "The Sky seen from the moon" di Ezio Bosso.
A raggiungere un momento di grande struggimento è stata infine la scena della luna. Qui una delle detenute viene aggredita e trascinata nel pozzo dalle altre. Rimasta sola sul palco, piange perché ha paura in mezzo al buio del bosco e sente il desiderio di raggiungere il cielo. Sarà la direttrice dello spettacolo, lei che ha intramezzato i diversi quadri con la lettura di poesie, fornendo una chiara lettura di ciò che si vedeva in scena, a rappresentare la luna. Con in mano una piccola torcia illumina la sala buia per farsi strada e salire sul palco, si avvicina alla donna disperata e la conforta, le lega i capelli e le mette un velo bianco sulla testa. Sarà lei che, insieme a un toccante e suggestivo gioco di luci e ombre, riuscirà a portarla in cielo dal fondo del pozzo, come a rappresentare quella forza emotiva e introspettiva che appartiene alla parola poetica, la quale grazie alla sua delicatezza e profondità può farti sfiorare anche la luna, ma solo per un momento.

La musica tzigana di Bregovic e i colori sgargianti del Gran finale ci riportano alla frenesia e alla scanzonata materialità del reale, regalandoci il brio festoso e gioioso dei passi allegri e vivaci delle danze. comune. È con la rottura della "quarta parete" che il pubblico viene letteralmente trascianto sul palco per unirsi ai balli.

Il sorriso si fa però un po' amaro, quando, come delle novelle cenerentole, suona l'ora che le costringe a salutarci e tornare alle loro celle: la magia è finita, l'incantesimo si spezza, si torna alla realtà. E della luna non rimane che il riflesso.

Ultima modifica il Domenica, 18 Giugno 2017 17:23
Chiara Del Corona

Nata a Firenze nel 1988, sono una studentessa iscritta alla magistrale del corso di studi in scienze filosofiche. Mi sono sempre interessata ai temi della politica, ma inizialmente da semplice “spettatrice” (se escludiamo manifestazioni o partecipazioni a social forum), ma da quest’anno ho deciso, entrando a far parte dei GC, di dare un apporto più concreto a idee e battaglie che ritengo urgenti e importanti.

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