Tornando però alla bomba scoppiata dalla pronuncia del tribunale amministrativo regionale, è necessario fare chiarezza. La riforma MiBACT del 2015 prevedeva infatti 20 supermusei autonomi a cui furono affidate le rispettive direzioni, ad alcuni direttori stranieri; sette per la precisione. La retorica di questi giorni è stata piuttosto vuota e sciatta poichè il j’accuse di parte dell’opinione pubblica si è catapultato verso una sentenza definita da alcuni un principio di discriminazione razziale (evidentemente non è stato capito il senso della stessa pronuncia).
Proviamo a rimettere le cose a posto: di queste nomine, anzitutto, l’unica revoca che interesseàa nella pratica un cittadino d’oltreconfine è quella di Peter Assman, direttore del palazzo Ducale di Mantova. Le restanti cariche oggetto del ricorso riguardano direttori italianissimi: Martina Bagnoli, Eva Degli Innocenti, Paolo Giulierini e Carmelo Malacrino. Si può certamente contestare una norma, dedotta dalla legge Bassanini (praticamente scritta da Franceschini nel 2001, quando lo stesso era sottosegretario alla Funzione Pubblica ndr), secondo cui i cittadini non italiani non possono ricoprire incarichi dirigenziali nella pubblica amministrazione ma ridurre tutta la sentenza del tribunale amministrativo regionale, a un mero cavillo “discriminatorio” francamente sa tanto di prostituzione intellettuale.
Basterebbe leggere la sentenza dello stesso TAR Lazio che dice molte altre cose interessanti e prova per certi versi (come se ce ne fosse il bisogno) a far luce sulla “meritocrazia” presente nei concorsi pubblici in Italia. Quanto emerge dalle carte giudiziarie, se lette senza umori da ultras, fa oggettivamente riflettere e, perché no, indignare.
Ci sono infatti altri due motivi proposti dalla prima ricorrente e ritenuti fondati dal Tar. Il concorso è praticamente avvenuto a porte chiuse (sono tanti i concorrenti che hanno confermato ciò ndr), addirittura alcuni candidati pare abbiano sostenuto prove via skype direttamente dall’Australia o dagli Sttai Uniti. La prassi andrebbe chiaramente in un’altra direzione poiché un concorso pubblico dovrebbe prevedere prove orali svolte nella massima trasparenza (se intendiamo la PA nella giuridica accezione di palazzo di vetro), con la libertà di accesso per tutti e tutte. Se quindi, per l’annosa questione degli “stranieri” bastava una deroga alla legge (pessima figura), sarebbe interessante capire le posizioni in merito alla “seconda parte” della sentenza.
Ovviamente testa sotto la sabbia e caciara; che a nulla serve tranne che ai salotti dei talkshow. Del resto come scrive Valentina Porcheddu, archeologa e già penna de Il manifesto - “Un pastrocchio all'italiana tra code di paglia, arroganza e il puntiglio di chi cerca di far(si) un po' di giustizia. Al di là del merito o demerito delle sospensioni, questa vicenda è patetica. In uno stato dove concorsi e selezioni si svolgono in modo trasparente - senza interferenze politiche - non c'è ricorso che tenga. Nel torbido si pesca invece qualunque schifezza e il senso dell'arte scompare davanti alle beghe del MiBACT Il problema ha una sola origine: il patrimonio non è l'obiettivo ma lo strumento per rincorrere ambizioni personali. Poi certo ci sono i numeri, le mostre etc etc. Ma non è una questione matematica né di vetrine. Nessuno si chiede mai cosa stiamo lasciando, briciole di egotismo”.
Il tema dell’arroganza e del non ammettere le proprie colpe di fronte alle magre figure rimbomba, ma non per tutti. La legalità a targhe alterne, l’arroganza buona per tutte le stagioni.
Immagine tratta da www.ilcorriere.it