I miseri fondi stanziati (137 milioni di euro + il 3% del Fondo Unico di Giustizia) non possono neanche lontanamente sopperire all’effettiva richiesta che concerne il Diritto allo studio. Secondo LINK-Coordinamento Universitario, servirebbero almeno 300 milioni per poter erogare la borsa di studio a tutti i beneficiari. Oggi, dopo anni di macelleria sociale, dando un veloce sguardo ai DSU di tutt’Italia, si nota come ci sia un drammatico calo di studenti e studentesse che ricevono la borsa di studio, pur essendo beneficiari molti degli esclusi. Se a questo, si aggiunge la mastodontica lacuna in materia di edilizia per tali servizi - cioè un numero di posti alloggio non adatto a sopperire alla reale esigenza della richiesta – allora notiamo come siano stati annichiliti due dei principi fondamentali: la mobilità sociale e il diritto allo studio.
Ed è proprio quest’ultimo che è stato svuotato di ogni sua ragion costituente. Si pensi all’aberrante vicenda del bonus di maturità, che fra i ripensamenti e le “toppe” varie, ha visto corroborare il concreto fallimento del numero chiuso, sia su un piano - per così dire - logistico che dal punto di vista concettuale. Questo governo non ha affatto rotto con quella barbara retorica della meritocrazia, battezzata dall’ex-Ministro Gelmini. Una meritocrazia che racchiude l’assioma “un’università per pochi … meglio se benestanti”. Difatti, tale retorica si ripercuote anche a livello di ateneo con il DM punti organico. Ciò che sembra parlare di nuove assunzioni, in realtà rende strutturale ciò che fu voluto dallo scorso Governo Monti con la “spending review” rispetto il famoso 20% del Ffo (Fondo di finanziamento ordinario): stabilendo che questo 20% dovesse essere mantenuto solo da studenti in corso e comunitari. Ciò portò ad una penalizzazione dei fuori corso e una classificazione degli atenei in base alla loro – per Monti – “virtuosità”. Tutto questo non è altro che il prodotto della logica neo-liberista che si radica in tutte le strutture fondamentali della società. La produttività all’interno dell’università: se sei fuoricorso vuol dire che non ti sei impegnato per raggiungere il risultato sperato, non hai massimizzato i profitti minimizzando tempi e costi. Un ragionamento che non considera le ragioni personali, economiche, antropologiche o, semplicemente, legate ad una necessità di approfondire la ricerca che hanno portato studenti e studentesse ad allungare la propria permanenza all’Università.
Il Dm punti organico dell’attuale Governo non è in controtendenza con ciò. Tutta la questione economica è legata proprio all’assunzione di nuovi docenti. Nonostante le reazioni ottimistiche del passato decreto del Fare, appena consegnato alle Camere il testo della Legge di Stabilità ci si rende conto di come non si sia realmente intervenuto rispetto al blocco del turnover. Dopo l’intervento sui punti organico (la quota di nuove assunzioni a disposizione dell’ateneo), la possibilità di incaricare nuovi docenti varia da ateneo ad ateneo: in pratica, più reggi economicamente più hai la possibilità di assumere. L’assegnazione ministeriale, quindi, va a premiare gli atenei “virtuosi”, dando loro un piccolo bonus oltre il 20 per cento standard previsto per legge. Mentre altri atenei (magari più grandi a livello di mole di corpo studentesco) saranno condannati ad un’assunzione anche inferiore al 20%. La questione è ben spiegata da ROARS qui.
Un’aziendalizzazione dell’Università Pubblica che non può essere accettata, che richiama una lotta fra poveri, che inscena nel suo seno dinamiche di concorrenza capitalistica.
La paraculata Carrozza afferma alla Repubblica la necessità di cacciare i professori over70 per favorire l’entrata di nuovi docenti. La domanda è: perché pensionarli così giovani? Si potrebbe attendere il loro necrologio! Al di là dell’ironia, questo caso mostra come si stia ridicolizzando questo Governo. I docenti universitari vanno già in pensione intorno ai 70 anni e restano ad insegnare solo con contratti gratuiti stanziati dagli atenei, a causa dell’impossibilità di assumere.
Ma è realmente questo il cambio di tendenza sperato e spacciato? Oggi v’è necessità di rifinanziare in maniera decisa il mondo dell’Istruzione, quello della Ricerca e di decostruire il modello di università affermatosi negli ultimi anni. La cosiddetta “Fuga dei cervelli”non è un fatto accidentale, ma sostanziale in questo contesto socio-economico. Il modello di Welfare, affermatosi dal secondo dopoguerra e smantellato dalle forme statali egemonizzate dalla forma più brutale del Liberalismo, va ripreso: Istruzione e Ricerca, Sanità, Lavoro ed autodeterminazione dell’individuo sono concetti fondamentali.
Intanto, vanno segnalate la giornata di mobilitazione nazionale del 15 novembre e quella del 16 in città quali Pisa, Napoli e Torino.