Ma la vittoria di Renzi va considerata solo come tale? Ovvio che no! Al di là delle conseguenze nel contesto politico-istituzionale (stabilità del governo e legge elettorale, su tutte), quella del Sindaco di Firenze è la vittoria di un paradigma politico su un altro. Per anni si è avuto come protagonista della scena quasi solo Silvio Berlusconi, che con la sua retorica “accattivante”, la massiccia presenza sui mass media e le note “virili acrobazie” è riuscito a raccogliere ampio consenso intorno a sé; ma, soprattutto, è riuscito a creare un immaginario di sé e del suo modus operandi politico che ha influenzato sostenitori e antagonisti. Faccia annacquata del liberismo di Reagan e della Thatcher commisto ad una buona dose di populismo, quello che è stato definito come “Berlusconismo” ha mutato radicalmente la concezione del modo di far politica: avanza il culto della persona e il fanatismo senza alcun tipo di razionalità.
Tuttavia, questa non è più esauriente come mappatura della questione odierna. Il Berlusconismo confluisce in qualcosa di più ampio: il “Leaderismo”. Non pochi gli esempi: berlusconiani, grillini, renziani e – ahimé! – anche qualche vendoliano. Tutti con un elemento in comune: la piena dogmatizzazione delle parole del leader e la difesa, al di là del merito, di questi, costi quel che costi. Se a ciò si aggiunge una spettacolarizzazione della politica, in classica salsa statunitense, la frittata è fatta.
Il leaderismo si configura come un’annessione incondizionata non ad un’idea o ad una visione delle cose, ma come semplice “tifo”. Che cos’è questo se non la negazione dell’essenza stessa della politica? Manca proprio “quell’adesione organica in cui il sentimento-passione diventa comprensione e, quindi, sapere “ – volendo citare Gramsci – col risultato che non c’è reale rappresentanza. Ed è proprio in questo contesto che dilaga l’impoverimento intellettuale della politica. Oggi i portavoce dell’avanguardia culturale e politica sono i movimenti, su tutti quello studentesco e del mondo del lavoro. Ma questi, per loro necessaria conformazione ontologica, non possono che canalizzare sì il disagio sociale, ma sempre come battaglia di categoria. Per intenderci: può uno studente esprimere vertenze sul mondo del lavoro e viceversa?
Questo è il punto nevralgico: la mancanza di una rappresentanza politica reale dei movimenti che trasformi le istanze sociali in vertenze politiche. Un partito di Sinistra che faccia ciò oggi è necessario, considerando il diffondersi di movimenti nazional-populisti che assumono connotati sempre più filofasciti: si pensi ai Forconi ed alla loro retorica in classico stile primi anni venti, i quali con il Coordinamento 9 dicembre mostrano i loro veri interlocutori (su tutti Casapound).
Ma il ben sperato partito c’è? No di certo, anche se è innegabile che l’asse del discorso potrebbe spostaresi con la rinascita della Sinistra a sinistra di Sel. In tale collocazione politica si trovano, ormai, partiti affossati da settarismo e autoreferenzialismo; partiti che non raggiungono neanche l’1% , ma che si erigono ad unici portatori di vertenze di sinistra. Ma non basta “essere in ogni lotta”! Ok rivendicare l’appartenenza comunista e -- più in dettaglio – marxista, ma ciò non significa fare una sterile battaglia identitaria. Non si vuol – e non si può -- dire “abbandoniamo il marxismo”, ma l’analisi va fatta considerando più variabili. Né gli strumenti né l’obiettivo cambiano, ma solo la lettura.
È necessario che questa sinistra sappia riorganizzarsi e sappia parlare con le forze al suo fianco e con l’area più moderata. Questo non costituisce certo una svolta socialdemocratica o una deriva governista; vuol dire, invece, assumere ciò che può essere definita come una “doppia strada” (di eco gramsciano), cioè mantenere sì la dimensione comunista e la permanenza nei luoghi conflittuali, ma anche sapersi gestire nella dinamica democratica-istituzionale.
Il mondo piange la mancata sinistra italiana, specialmente in Europa; qui la necessità di riaprire molte vertenze da parte di una Sinistra che non sia il PSE. La dimensione continentale non va eclissata, né declassata. Quale destino per la sinistra italiana? Intanto speriamo in una nuova Sinistra.