Mercoledì, 20 Novembre 2013 00:00

Cronache dalla Val di Susa

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Il viaggio inizia la mattina del 15, prestissimo. Due intercity e un treno locale, proprio quegli intercity che Trenitalia ha tagliato ovunque e cui ha tutta l'intenzione di dare il colpo di grazia.

Il primo intercity viaggia senza problemi fino a Genova, dove ad aspettarci sul tabellone ci sono centoventi scoraggianti minuti di ritardo. Quest'altro intercity non ce l'ha fatta – ci dicono al banco informazioni – il locomotore si è rotto a Novi Ligure, bisogna mandare un altro locomotore a prenderlo per trainarlo fino a Genova. State tranquilli, è robetta, e a Torino chiedete il bonus (si chiama così, apprendo, la forma di rimborso parziale che spetta ai viaggiatori per ritardo del treno).

Il malus sono due ore in una stazione troppo piccola per essere trasformata da Grandistazioni in una sorta di inquietante centro commerciale, come la stazione di Torino, Roma Termini, Milano, forse Firenze, e troppo grande e di passaggio per essere lasciata alla città.

Nonostante questo, una certa politica securitaria ed escludente traspare ovunque. Le stazioni non sono più luoghi per barboni e viaggiatori; i pochi pendolari sopravvissuti al rincaro dei biglietti sono più di fretta e stressati che mai. Poco sole mattutino illumina la contraddizione tra le Frecce e gli altri treni, vecchi decrepiti, sporchi, affollati. Poliziotti e “sicurezza aziendale” bazzicano guardinghi binari e spazi interni.

Finalmente il treno arriva. È quasi vuoto. Il ritardo ha scoraggiato quasi tutti.

A Torino – dopo tre quarti d'ora – l'impiegato della biglietteria ci informa che il famoso bonus si può richiedere solo ventuno giorni dopo. Poco male.

Per Susa è attivo un frequente servizio di regionali a due piani, apparentemente nuovi. Dal finestrino si scorgono decine di carrozze letto di vecchi treni notturni parcheggiate, alcune devono aver visto decisamente tempi migliori. Vittime dei tagli, penso.

Un po' come altri posti letto, quelli dell'Edisu (il locale ente per il diritto allo studio) destinati agli studenti fuorisede, nella regione che “vanta” il minor numero di aventi diritto beneficiari di borsa di studio a livello nazionale – peggio di una qualunque regione del Sud – un miserrimo 30%, costantemente sotto attacco, e dove gli studenti hanno dovuto occupare una mensa dismessa proprio a causa dei tagli di Cota per riuscire a far venire un minimo a galla questa situazione disastrosa. Chissà quanti fondi potrebbero andare dalle opere distruttive ed inutili al diritto allo studio.

Dormire, evidentemente, in Italia non è una priorità.

Dovrebbero esserci anche gli studenti in Valle, Link ha meritoriamente inserito la data nel suo “ultimatum al governo”. D'altra parte, con la crisi che morde e la ripresa che non arriva, o le mobilitazioni si ricompongono o cadono nell'onnivoro nulla di un Paese indifferente e frastornato; e dove cercare la ricomposizione se non in Valsusa, dove l'unico movimento italiano ancora vivente – oltre al quasi neonato movimento contro il biocidio in Campania – lotta per un altro mondo possibile?

Il sedici novembre dalle tredici in poi tutto il mondo No Tav – con la popolazione locale come spina dorsale imprescindibile – si ritrova in piazza d'Armi, che da luogo anonimo viene nuovamente trasformata dall'accoglienza del movimento in un luogo vivo, profondamente conviviale.

I banchetti di panini e vin brulé a offerta libera preponderano su quelli di magliette, bandiere e spille. Servono soldi per ricostruire il presidio di Vaie, distrutto da un incendio doloso il primo novembre. Quella di oggi non sarà una delle grandi marce cui il movimento No Tav ci ha abituati, il corteo proseguirà solo dentro e attorno Susa. Siamo comunque tantissimi.

Alle quattordici il corteo inizia ad ordinarsi e partire. Fuori dalle semplificazioni giornalistiche, che vorrebbero, a seconda degli orientamenti, un movimento di soli giovani contestatori o di soli teneri vecchietti, l'età media è intorno ai trent'anni; molti dei più maturi probabilmente quando il movimento ha mosso i primi passi erano ragazzini, i più giovani probabilmente frequentavano le elementari. Se anche altri movimenti avessero retto una tale continuità generazionale, ora l'Italia sarebbe un posto molto migliore.

La bellezza del paesaggio naturale, con le cime innevate e i colori dell'autunno, mozza il fiato.

Nessun incidente di percorso, nessuno scontro con i violenti in blu o in fiammante nero. Il caso giornalistico creato su un singolo episodio per nascondere con il dito la luna, vale a dire il “bacio” della manifestante al poliziotto, è lontanissimo.

Unico momento di tensione davanti all'hotel che ospita alcuni dei carabinieri che occupano la Valle, ma grazie anche all'organizzazione del corteo le parti non vengono a contatto e gli animi si placano in una ventina di minuti. Il corteo prosegue fino a tornare là dove era partito, dove dagli interventi traspare la voglia di continuare, fino alla fine. Si torna alle proprie case, autobus, treni e alberghi con il sorriso in volto.

Sarà dura.

Ultima modifica il Martedì, 19 Novembre 2013 18:24
Niccolò Bassanello

Nato a Bozen/Bolzano, vivo fuori Provincia Autonoma da un decennio, ultimamente a Torino. Laureato in Storia all'Università di Pisa, attualmente studio Antropologia Culturale ed Etnologia all'Università degli Studi di Torino. Mi interesso di filosofia delle scienze sociali, antropologia culturale, diritti delle minoranze e studi sull'educazione. Intellettualmente sono particolarmente influenzato dai lavori di Polanyi, Geertz, Wittgenstein e Feyerabend, su cui mi sono formato, oltre che dal postoperaismo e dal radicalismo statunitense. Nel tempo libero coltivo la mia passione per l'animazione, i fumetti ed il vino.

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