Ma è stato un momento. Perché quella libertà deve rinascere ancora più forte di prima, proprio da quel sangue, il sangue di chi, per quella stessa libertà non si è mai lasciato intimorire dalle minacce, dai fondamentalismi fanatici, folli, omicidi, dalla volontà di chi ti vuole mettere a tacere, di chi ti vuole mettere un bavaglio solo perché non la pensi come lui, o perché non credi nel suo stesso credo, o ridi, satiricamente, di lui. Charbonnier, Tignous, Cabu, Wolinski, Honoré, Ahmed e tutti gli altri morti nella strage di Charlie Hebdo sono morti perché in quella libertà ci credevano e l’hanno difesa e onorata fino all’ultimo, consapevoli del rischio che correvano ogni giorno. Ed è questa la fede più importante, la fede che nessun fondamentalismo religioso potrà mai sterminare, la fede nella libertà. ed è una fede ben più potente e grande della fede di chi uccide in nome di Dio, in nome di una fede che è bieca e cieca violenza, bestiale fanatismo, sistematico odio, vigliacca e meschina ferocia. Ieri piazza Ognissanti si è riempita. Un abbraccio universale ai morti della strage del giorno precedente. Un unico cuore pieno di sofferenza, indignazione, solidarietà e persino forza, che batteva all’unisono per loro. Un presidio silenzioso, sobrio, commosso, emozionato, sommesso, suggestivo, dolente. Ma un dolore che vuole reagire, un dolore pieno di rabbia, di voglia di gridare, quel dolore potente, di chi non vuole rassegnarsi, di chi non vuole piegarsi. La piazza buia era illuminata solo dalla lucina delle candele appoggiate su un’aiuola con attaccata la foto dei giornalisti uccisi e la scritta Nous sommes Charlie.
I cartelli bianchi o neri con la scritta Je suis Charlie o che riportavano alcune vignette, sventolavano nell’aria e si innalzavano sempre più in alto, quasi a cercare di farsi vedere, non solo dalle persone dentro l’Institut francais, ma anche da tutti i compagni di Charlie Hebdo, ovunque siano, quasi a voler dire che ci siamo, che noi tutti siamo tutti loro. E non possono ucciderci tutti quanti. Muoiono le persone, non le idee. Terribile che muoiano le persone, ovvio, ma la loro morte non deve essere vana, per loro e per noi che sopravviviamo ad esse. La loro morte in qualche modo deve servirci, non per serrarci in superficiali e intolleranti fortezze xenofobe, non per puntare il dito accusatorio contro la comunità islamica, non per ovattarci dentro razzismo e paura dell’altro, scivolando nel nazionalismo estremo, illudendoci che la soluzione sia odiare “il nemico” arabo. In questo modo non facciamo che darla vinta a chi fomenta questo stesso odio, questa volontà di punizione e vendetta che si scaglia ciecamente e potenzialmente verso chiunque. Chi ha commesso questo atto tremendo, per cui non esistono neanche parole, va punito. Ma condannare e imprecare contro migranti, arabi, musulmani non serve a nulla e si pecca anche di ignoranza e qualunquismo. Bisogna saper andare oltre e a fondo certe situazioni che provengono da storie che riguardano da molto ma molto vicino l’occidente, che sono la punta di un iceberg che noi occidentali (e Stati Uniti in particolare) hanno contribuito a creare.
Questa e altre simili morti devono piuttosto servirci per riflettere, su noi stessi e i nostri rapporti con quel mondo che ora siamo pronti a disprezzare, a maledire in toto, e soprattutto quei rapporti economici e bellici (vendita di armi, addestramenti, supporti e legami con dittatori sanguinari, guerre che hanno portato soprattutto a stragi di civili, ecc..) che abbiamo intrattenuto con una parte di quel mondo stesso, fomentando la sua vendetta assetata di sangue, il suo odio, il suo estremismo disumano, la sua potenza, le sue capacità di ritorsione, le sue risorse, la sua possibilità di allargarsi, ramificarsi sempre di più, diventando sempre più forte e sanguinario. Deve servirci a riflettere su quanto la libertà, in ogni sua forma, sia un valore per cui qualcuno è disposto a pagar il prezzo della propria vita. E la libertà non equivale mai a razzismo, xenofobia, intolleranza. I giornalisti e vignettisti di Charlie Hebdo se la prendevano con qualsiasi fanatismo, dogmatismo, fondamentalismo, musulmano, cattolico, razziale in nome della laicità e della libertà di espressione, di pensiero, di opinione, di critica, di ironia, di satira ecc, e hanno vissuto e sono morti per difendere il diritto di contestare tutte quelle forme di estremismo che ledono la libertà di ciascuno. Barricarci in quelle simili dinamiche di estremismo e intolleranza non fa altro che ucciderli per la seconda volta vanificando i loro ideali, il loro coraggio, la loro vita, il loro lavoro e anche la loro morte. Uccide più la penna della spada, si dice. E allora in alto le matite, non sporchiamole con l’odio generalizzante e l’intolleranza razzista che paradossalmente vivifica e incrementa la crudeltà di questi spietati assassini.”una risata li seppellirà”, si dice anche questo. E allora, forse, un giorno, sarà proprio quella risata beffarda e satirica – che i giornalisti e vignettisti di Charlie Hebdo rivendicavano sempre con forza e coraggio – a seppellirli.
Ho cercato la libertà, più che la potenza, e questa solo perché, in parte, assecondava la prima.
Marguerite Yourcenar
Immagine tratta da: www.florencedailynews.com