Ad oggi la domanda che aleggia come un'eco insistente e rimbombante è: “che cosa è successo?”.
È proprio questa domanda che apre la prima parte dell'assemblea, la quale si propone dunque di fornire un'analisi di quanto è accaduto post elezioni, cercando di dare l'occasione di riflettere su ciò che può aver determinato questo sconquasso elettorale, o sulle dinamiche che hanno prodotto la crisi in cui imperversiamo e da cui sembra non poter uscire, come mosche intrappolate su carte pesticide.
Il primo intervento, di Sergio Labate ha posto l'accento sulla crisi che sta travolgendo non solo l'economia ma anche lo Stato e il suo sistema partitico. La classe politica risulta una classe che mira soltanto ai propri interessi, una classe lontana dai problemi della gente perché rifugiata nella sua prigione dorata, seduta sui suoi troni intaccabili. E di fronte a questo il sentimento dilagante è una sorta di impotenza rassegnata a cui solo, probabilmente, Grillo, ha saputo dare una voce. A parere di Labate consiste proprio in questo suo porsi non come un partito ma come l'esatto opposto: un movimento contro i partiti, contro la classe dirigente e contro la rappresentanza delegata, o quella che cade dall'alto, verticalmente.
L'altro tema, che poi ricorrere in molti altri interventi successivi, è quello del capitalismo, modello che ormai appare evidente, essersi rivelato fallimentare (come già il buon Marx aveva pronosticato da un secolo!) e che deve essere superato: non si può più chiudere gli occhi fingendo di credere che esso non sia la fonte da cui emergono a cascata tutti i nostri mali perché non si ha il coraggio di ammetterne i limiti per il terrore paralizzante di doverne decretare la fine assoluta (cosa che spaventa tutti coloro che da questo sistema traggono profitti personali, incuranti e insensibili di fronte allo scatafascio del proprio paese stesso di cui il sistema neoliberista è responsabile in larghissima parte), così come non basta più parlare di financial capitalism, di capitalismo regressivo o progressivo, senza coniugarlo ad altri temi, come quello della giustizia, dell'ambiente, della riconversione, l'allocazione sociale delle risorse e tanti altri ancora. Insomma è da qui che bisogna ripartire, perchè solo prendendo atto di ciò che veramente ha comportato il sistema neoliberista, si possono cercare nuove risposte, nuovi modelli, nuove strade su cui ricostruire una società, che non solo sia ricca ma anche giusta.
La parola capitalismo è stata ripetuta più volte durante l'assemblea, soprattutto nella seconda parte, che entrava in una riflessione più economica di possibile risposta alla crisi, ma non sono mancati anche altri temi, come l'analisi di Carlo Freccero, concentratasi soprattutto sul fenomeno “tsunamico” di Grillo e quindi sulle nuove forme di linguaggio che in qualche modo ne hanno decretato il successo e la vittoria. Personaggio ibrido, lo chiama Freccero, che al suo interno è un coacervo di contraddizioni, e che proprio di questa doppiezza, di questa natura antinomica ha fatto la sua forza, giocata sugli estremi del buono e del cattivo, riuscendo in qualche modo a coniugare in sé gli aspetti che di norma dovrebbero contrapporsi per eccellenza, come l'esigenza di ridare corpo, voce (grida più che altro) ai cittadini, trascinandoli in quello che appare un movimento dal basso ma mantenendosi come loro “furher”, come guida carismatica che li controlla, li plasma, li conduce in maniera quasi tirannica, del tutto dicotomica rispetto al concetto di “democrazia dal basso”. Grillo, rappresenta, come sottolinea Freccero, l'ultimo tassello di quel percorso che prima ha visto la Lega impegnata nel trascinamento della massa informe, e poi Berlusconi che col suo aplomb da leader carismatico (e ovviamente grazie ai poteri economici e mediatici di cui è a disposizione) e populista, demagogico ha saputo e continua a saper manipolare e uniformare in un tutto amorfo e indistinto i bisogni della gente, risolvendo in un'anonima “minorità” mentale e mediocre ogni sua autonomia e libertà di pensiero critico e di lucida analisi della realtà. Grillo in qualche modo sta facendo la stessa cosa. Riunisce il vecchio e il nuovo dentro di sé. Usa la rete (il nuovo), è vero, ma già ci arriva dopo una conoscibilità mediatica di notevole livello. Si fa portatore di un progetto in cui quello che conta non è quest'ultimo bensì la sua stessa persona (il vecchio); sembra dar sfogo sul blog alla possibilità di espressione delle persone ma nello stesso tempo è lui a decidere chi può o chi non può farlo, è lui a decidere quali opinioni possono aver diritto di espressione e quali no, in una gestione condottieristica della rete, che quindi finisce per non essere affatto strumento libero, ma strumento controllato, privato. Grillo si fa inoltre paladino di una frammentarietà sociale, il cui figlio è l'attenzione al dettaglio e questo può costituirne l'aspetto positivo, ma anch'esso è inquinato dall'iterata e persistente ricerca colpe da affibbiare a tutto e a tutti indistintamente, facendo di qualsiasi cosa, di qualsiasi entità esterna o contraria alle idee del movimento, un potenziale e pericoloso nemico da eliminare (in questo ricade anche la denuncia di ciò che è complesso, che “è brutto e appartiene alla classe”). E il calderone non è solo quello delle colpe che Grillo e i suoi “stellini”additano a chiunque non condivida la loro linea, è lo stesso blog che diventa un calderone che lascia spazio alla spazzatura, al “trash” della rete, assumendo lati di convergenza con la tv più trivialmente popolare. Freccero continua dicendo come Grillo possa assomigliare ai movimenti internazionali ma nello stesso tempo li contamini strizzando l'occhio ad un pubblico maggioritario. Si fa portavoce del popolo e delle sue esigenze e nello stesso tempo è intollerante ed autoritario, lavora sugli estremismi di destra e sinistra, e porta quelle “ali” (che Monti diceva che avrebbe voluto eliminare) al centro della scena.
Altri temi che in questa prima fase sono stati toccati sono stati il movimento No Tav in val di Susa, grazie all'intervento (letto) che Chiara Sasso ha scritto, pur mancando di presenza all'assemblea. E il tema delle donne e della questione di genere, affrontato da Anna Picciolini, approfittando dell'attuale questione sul fatto che tra i saggi non compaia nemmeno una donna (e qui Anna sembra compiacersene,osservando come nessuna donna autorevole e “saggia” avrebbe speso il proprio tempo per qualcosa di così inutile) e puntando il dito contro tutti quei soggetti politici che continuano a ignorare il movimento delle donne – “ciò o chi non viene nominato non esiste” - e sottolineando come anche l'aumento delle donne in parlamento (aumentato più della metà) debba però significare, non solo un salto di quantità ma anche di qualità.
Revelli ha invece diretto il fulcro del suo discorso sugli impressionanti numeri della crisi, non solo economica ma anche di partecipazione attiva (in senso qui di partecipazione al voto): con le ultime elezioni vediamo come dei 47 milioni degli aventi diritto, circa 13 milioni siano rimasti fuori. Pd e Pdl (se provassimo a riunirne i voti) raccolgono soltanto un terzo del corpo elettorale. Dal 2008 si era sviluppato un progetto politico di bipolarismo egemonico (del quale Berlusconi è stato il massimo architetto), ma oggi vediamo che lo stesso Pdl si è dimezzato e anche il Pd (l'altra faccia del bipartisan) ha perso un terzo del suo elettorato (circa tre milioni di voti) e stessa cosa dicasi per la Lega. L'unico che vince ovunque è Grillo (che ha “rubato” e realizzato quel sogno che il Pd vagheggiava!), il quale si fa perfetto testimone e simbolo evidente di una crisi di sistema e di apparato politico da analizzare approfonditamente. Revelli si prende poi un certo merito per aver previsto tutto questo un anno fa (ma previsione non significa allora in qualche modo, maggiore responsabilità?), quando, il manifesto di Alba si apriva per l'appunto con la parola “urgenza”. Ora quest'urgenza si è fatta ancora più urgente, e probabilmente non è solo prevedendone le ulteriori catastrofi che si può pensare di risolverla, ma cercando di agire più nel concreto, creando processi di formazione e autoformazione, cercando rapporti più diretti con i vari movimenti, ai quali bisognerebbe fornire, a opinione di Revelli, non una rappresentanza – dato che già si rappresentano da soli - ma gli strumenti per poter lavorare e portare avanti le loro cause.
Il problema del recupero di un processo di formazione, di un lavoro intellettuale è stato poi ripreso anche da Paul Ginsborg, il quale ha puntato il dito anche sulla non funzionalità dello stato, che affonda sempre di più nelle sabbie mobili della sua immensa e infinita burocrazia e che perciò esige una semplificazione e una velocizzazione, e ciò è possibile soltanto con una forma di partecipazione democratica. L'altra questione toccata dall'esponente di Alba è quella della leadership, la quale a suo parere non deve essere leaderistica bensì collettiva. Ma,viene chiedersi, è possibile in Italia una leadership del genere, che non sia nelle mani di un capo carismatico, un leader maximo ma che sia collaborativa e collettiva ? Ginsoborg è scettico su questo, ma dichiara di non perdere la fiducia sulla necessità del lavoro intellettuale che occorre fare, il quale se anche non riuscisse a dare risposte adeguate è l'unica possibilità per aprire gli occhi e riconoscere i problemi, l'unica possibilità per cominciare a porseli e ad affrontarli seriamente. L'ultimo tema su cui Ginsborg spende il suo intervento è quello della famiglia, che la sinistra storica, da 50 anni a questa parte ha sempre regalato alla destra, e che invece bisognerebbe, a suo avviso, recuperare, sebbene non nella veste e nel ruolo chiuso, autoritario, conservatore o bigotto di cui è finita per diventare espressione.
La problematica che, come abbiamo già accennato è stato nominata di più è quella del capitalismo e dei suoi tragici effetti sulla nostra situazione attuale in quanto persone umane e in quanto lavoratori, o studenti o precari. Cremaschi ad esempio ha evidenziato come in realtà nel panaroma politico il contrario di questa “macchina assassina”, ovvero l'anticapitalismo (che, ad eccezione che nelle parole di uno degli ultimi interventi, sembra non si osi chiamarlo, neanche da parte della sinistra, col suo vero nome di socialismo o comunismo), non ricorra mai nel gergo del nostro panorama politico): è questo, l' “unico posto a tavola”(citando Brecht) rimasto vuoto e da cui invece è fondamentale ripartire per affrontare tutta la rosa di problemi con cui dobbiamo scontrarci capillarmente.
Anche Bonomi dal suo intervento video parla di “capitalismo in-finito” (titolo del suo ultimo libro), dove in quel trattino è racchiusa tutta la feroce ambiguità di un sistema che sembra realmente destinato a rimanere eterno e infinito appunto, ma che contemporaneamente rivela che le sue forme sono finite, fallimentari, deleterie. 100.000 piccole e medie imprese muoiono ogni giorno, la disoccupazione giovanile ha raggiunto una quota del quasi 40%, il lavoro è sempre più precario... c'è bisogno di trovare modelli economici alternativi, modelli di sviluppo alternativi.
La seconda parte sarà pubblica a mezzanotte tra il 15 e il 16 aprile sul nostro sito
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