Giovedì, 03 Gennaio 2013 00:00

Maggio Musicale: una storia lontana

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"Eccolo Maggio che fa fiorire le pere
a voi capoccia vi si chiede da bere
ebbene venga Maggio e Maggio gli è venuto"
(Canto del Maggio, tradizione popolare)

Come Boccaccio ci racconta, Dante ha incontrato la sua bella Beatrice, per la prima volta, alla festa del Calendimaggio. Dall’ultimo giorno di aprile a Firenze, come in altre città toscane, iniziavano i festeggiamenti per la primavera. Canti, balli, giochi e rappresentazioni teatrali, intrise di gioia per il mondo che rinasceva, coinvolgevano tutti i cittadini che per l’occasione chiudevano la loro attività, qualunque questa fosse.

E il nostro Maggio Musicale Fiorentino prende il suo nome proprio da questa festa. Se il fatto di essere nato negli anni Trenta su iniziativa del mecenate Luigi Ridolfi Vay da Verrazzano e del maestro Vittorio Gui già lo circonda di un’aurea di autorevolezza, scoprire che le sue radici affondano in tradizioni centenarie non può che renderci ancora più orgogliosi.

Sì, orgogliosi, perché quella del Maggio Musicale Fiorentino, quasi superfluo ricordarlo, è una delle istituzioni che rende la città di Firenze famosa nel mondo. E’ un festival che ogni anno porta in città il meglio della musica, del balletto, dell’opera e del teatro mondiale.

Ma, nonostante il prestigio e la storia, anche sul Maggio Musicale Fiorentino si è abbattuta una mannaia. E parliamo di una delle mannaie peggiori: di quelle che tolgono lavoro a persone altamente qualificate e che allo stesso tempo fanno ad intaccare il primato che ha reso il festival una meta obbligatoria nella vita per chiunque sia appassionato di musica e teatro.
Il 31 dicembre 2012, dieci famiglie hanno ricevuto una notizia che ha fatto concludere il loro anno nel modo peggiore che potessero immaginare: il sindaco Matteo Renzi, nella sua veste di Presidente della Fondazione del Maggio, ha firmato la lettera di licenziamento per dieci lavoratori del Teatro, comportando un risparmi complessivo inferiore ai 450.000 euro.

Si conferma così ciò che oramai in molti affermano da tempo: Firenze è una città che potrebbe vivere di cultura ma che nella cultura non investe. La decisione presa dal Sindaco “rottamatore” e dalla sovrintendente della Fondazione del Maggio Francesca Colombo si pone in linea di continuità con un processo che, lentamente, sta portando alla morte della cultura in città. I cinema si svuotano a causa dell’impossibilità di rendersi concorrenziali nei confronti dei mostri multisala, le librerie chiudono e adesso questo colpo micidiale al Teatro del Maggio. Si potrebbe, senza difficoltà, ribattere che tutti questi cambiamenti non possano essere imputati direttamente a Matteo Renzi. Vero. Ma il punto è che in quanto massima carica in città, il Sindaco risponde politicamente dei macro-cambiamenti avvenuti durante il suo mandato. In secondo luogo, Renzi non si è certo contraddistinto per un impegno preso in prima persona per arginare questa deriva. Prima la vicenda dell’Edison, uno dei fulcri di cultura ed incontro in centro, che ha visto i lavoratori chiedere un intervento delle istituzioni per contrastare l’inevitabile destino di chiusura della libreria, adesso l’iniziativa che il Sindaco stesso ha preso in prima persona nei confronti dei lavoratori del Teatro.

In un momento come questo, avendo appena passato un anno segnato da una crisi economica funesta ed alle porte di altri dodici mesi che di certo non si preannunciano più rosei, il licenziamento di persone con un bagaglio di conoscenze e specializzazioni accumulate negli anni in ambienti di tale prestigio è un gesto più che criminale: un investimento serio nelle attività culturali potrebbe da una parte dare lavoro a molte persone permettendo loro di applicare competenze di prim’ordine e dall’altro spingere le persone a spendere in questi servizi, facendo girare a questo modo l’economia. Sarebbe quindi una decisione lungimirante, che non porterebbe che vantaggi. Anche perché farebbe di ciascuno di noi un fiorentino un po’ più acculturato di quanto non lo sia già.

Immagine tratta da Repubblica.it

Ultima modifica il Giovedì, 03 Gennaio 2013 18:53
Diletta Gasparo

"E ci spezziamo ancora le ossa per amore
un amore disperato per tutta questa farsa
insieme nel paese che sembra una scarpa"

Cit.

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