Dmitrij Palagi

Dmitrij Palagi

Nato nel 1988 in Unione Sovietica, subito prima della caduta del Muro. Iscritto a Rifondazione dal 2006, subito prima della sconfitta de "la Sinistra l'Arcobaleno". Laureato in filosofia, un dottorato in corso di Studi Storici, una collaborazione attiva con la storica rivista dei macchinisti "ancora IN MARCIA".

«Vivere in un mondo senza evasione possibile dove non restava che battersi per una evasione impossibile» (Victor Serge)

 

«Belfast offrirà una cornice spettacolare ed apporterà qualcosa di molto speciale alla storia di questa corsa già mitica»Michele Acquarone rilascia questa dichiarazione a inizio 2013, quando è ancora direttore di RCS Sport (organizzatrice dell'evento), per annunciare la partenza da Belfast del Giro d'Italia n°97 (maggio-giugno 2014). Probabilmente il riferimento è al "cielo di Irlanda" cantanto dalla Mannoia o alle suggestioni che evoca il trifoglio nell'immaginario italiano.

Le polemiche che sono scoppiate attorno all'evento sportivo, ad un anno di distanza dall'annucio, non riguardano però la cultura celtica. E neanche le vicende che hanno portato al licenziamento di Acquarone. È la ferita dell'Ulster (le contee settentrionali rimaste sotto il controllo britannico) che continua a sanguinare. A ricordare il problema della questione irlandese sono state le dichiarazioni dell'onorevole Anna Lo, dell'Alliance Party (partito moderato di orientamento liberale), che ha proposto di rimuovere dal tracciato del Giro d'Italia le bandiere e i murales di Belfast (che caratterizzano la città), perché legate a un passato di guerra.

Secondo un rapporto dalla commissione lavoro della Camera dei Deputati, in Italia ci sono 7 milioni di “soggetti in situazione di disagio occupazionale”. In questo contesto esiste una questione generazionale che caratterizza il nostro paese: siamo la realtà europea dove per un giovane è più probabile rimanere disoccupato, rispetto alle altre classi di età. Non solo, siamo l'unico caso di tutto il vecchio continente in cui ci sono più "scoraggiati" (2,9 milioni di persone che non cercano più impiego) che disoccupati (2,7 milioni).

Sabato, 08 Febbraio 2014 00:00

RoboCop, inutile ma senza danno

Il remake di RoboCop doveva uscire nel 2010. Darren Aronofsky rinuncia al progetto, che finisce nelle mani di José Padilha, reduce dai successi dei due Tropa de Elite e appassionato del cult del 1987.

Sul web ovviamente si aggira una nutrita schiera di utenti che sostiene il pregiudiziale “non sentivamo il bisogno che venisse rifatto RoboCop”. È chiaro. Infatti, per fortuna, nessuno ripropone le logiche di 26 anni prima. L’intervento sulla storia è significativo e il film si adatta a un pubblico più ampio, soprattutto in termini di età anagrafica. Assomiglia a un film della Marvel piuttosto che a un noir fantascientifico.

Giovedì, 06 Febbraio 2014 00:00

Morire lavorando, prima della pensione

"Non stiamo discutendo di quanto il nostro lavoro sia gravoso. Stiamo parlando del fatto che moriamo prima". 

Una ricerca ha indicato in 64,5 anni la vita media di un macchinista, mentre la riforma Fornero prevede per questi lavoratori i 67 anni di età per andare in pensione. La salute di chi manda avanti i treni è compromessa da diversi fattori, tra cui i turni aciclici con una discreta quantità di servizio notturno e il microclima della cabina di guida. 

Questo dato non è argomento di discussione.

Giovedì, 30 Gennaio 2014 00:00

Internet ha ucciso il comunismo

“L'introduzione del computer nel lavoro non è riuscita a realizzare l'aumento di produttività atteso (forse Tetris era parte di un progetto segreto dei sovietici per fermare l'economia capitalista)"

 

«L’ingenuità della rete. Il lato oscuro della libertà di internet» è un libro del 2011, scritto dal sociologo Evgeny Morozov. L’autore, nato in Bielorussia nel 1984, ha portato avanti gli studi universitari fuori dal suo paese, grazie a una borsa di studio della Open Society Foundation (presieduta da George Soros), ed è attualmente professore invitato alla Stanford University. Ha collaborato con le organizzazioni non governative che sostengono la “libera informazione” nei paesi dell’ex Unione Sovietica. 

Nel suo libro definisce Angela Davos una “controversa attivista” e invece non dubita delle giuste finalità della blogger anticastrista Yoani Sánchez (anche se ne contesta l’efficacia). L’impostazione delle argomentazioni dà sempre per scontata la necessità di esportare il modello democratico occidentale negli altri paesi, da quelli dell’America Latina alla Cina.

Un giovane conservatore con discutibili idee politiche. Questo impedisce di rimanere avvolti completamente dalla scrittura brillante e dall’efficace impostazione delle argomentazioni. 

Venerdì, 24 Gennaio 2014 00:00

The Counselor, un McCarthy troppo compiaciuto

Il sesso aumenta il numero di spettatori, si sa. Viene percepito come elemento di provocazione anche sul grande schermo, nonostante appaia abbastanza anacronistico con la diffusione del web tra le nuove generazioni. Quindi rimane l'interrogativo sul perché di tanta ostentazione. Alla fine della pellicola ci si arriva: c'è un autocompiacimento ai limiti dell'insopportabile di Cormac McCarthy, consacrato dal grande pubblico come genio dopo Non è un paese per vecchi (tratto dal suo romanzo) e qui alla sua seconda sceneggiatura, dopo una prima esperienza nel lontano 1996.

Dialoghi che saltano fuori senza motivo, aspetti narrativi dati per scontato senza valide motivazioni, attori capaci che si scontrano senza amalgamarsi, un ritmo incapace di decidersi tra la tensione narrativa (mai ottenuta) e il dramma esistenziale degli uomini (senza raggiungere mai un livello di riflessione innovativo o quantomeno originale).

Spesso si rasenta la noia, senza addormentarsi ma interrogarsi sul senso di passare due ore davanti a questo film, uno spreco di regia e di recitazione.

Quando ci si vuole celebrare si rischia di fare un disastro ed è effettivamente quasi impossibile salvare la storia con un buon Ridley Scott e stelle holywodiane in ottima forma. Sfigura solo Michael Fassbender. Glaciale e splendida Cameron Diaz, che però non fa dell'età un punto di forza e appare invecchiata. Brillante e piacevole Javier Bardem, a causa della storia inutile Penelope Cruz. Il ricordo migliore lo lascia Brad Pitt, una comparsa che in più riprese risolleva lo spettatore (senza però sfuggire dalla discutibile sceneggiatura, che non rende ben chiaro il perché della storia).

Ci fosse qualcosa di realmente innovativo, non importerebbe l'assenza di un senso specifico. Il fascino della lentezza, l'indeterminazione del messaggio, un semplice quadro cinico della realtà (attraverso tonalità surreali): c'era già Non è un paese per vecchi.

Ingiustificate le pretese che stanno dietro a questa operazione cinematografica. Un peccato. Commercialmente è uno stile che paga, perchè la provocazione estetica è meno impegnativa di quella sostanziale.

Il nichilismo è un'altra cosa, non è il vuoto ridondante.

[Voto 5 su 10]

[The Counselor, USA, Gran Bretagna 2013, thriller, durata 111', regia di Ridley Scott]

Immagine tratta da www.comingsoon.it

Martedì, 14 Gennaio 2014 00:04

Sul dialogo tra Natoli e Foa

"Pensavamo che la visibilità corrispondesse alla realtà.

Non calcolavamo come nel voto le masse di coloro che non partecipavano diventavano maggioranza"

[Vittorio Foa e Aldo Natoli]

Aldo Natoli nasce a Messina il 20 settembre del 1913. Ricopre incarichi all’interno del Partito Comunista Italiano ed è deputato dalla prima legislatura della Repubblica italiana. Tra le sue esperienze c’è quella di capogruppo nel comune di Roma e una stretta collaborazione con Longo, prima che quest’ultimo diventasse segretario del PCI, dopo la morte di Togliatti. Nel 1969 verrà espulso insieme al gruppo de il Manifesto, ma presto prenderà le distanze anche da questa realtà: «il modo in cui funzionava la redazione era praticamente del tutto arbitrario, del tutto soggetto agli umori, soprattutto, di Rossanda e un po' anche di Pintor». Muore l’8 novembre del 2010.

Vittorio Foa nasce a Torino il 18 settembre del 1910. Eletto deputato all’assemblea costituente con il Partito d’Azione, con lo scioglimento di quest’ultimo, passa al Partito Socialista Italiano. Ha un ruolo di primo piano nella Cgil di Di Vittorio, diventando segretario della Fiom nel 1955. Nel corso della seconda metà del ‘900 ha partecipato a diverse esperienze politiche (fra cui PSIUP, PdUP, Democrazia Proletaria), incrociando più volte il gruppo de il Manifesto e lo stesso Natoli. Nell’ultima parte della sua vita sostiene la nascita dei Democratici di Sinistra e del Partito Democratico. Muore il 20 ottobre del 2008.

Nel dicembre del 2013 Editori Riuniti ha dato alle stampe “Dialogo sull’antifascismo il PCI e l’Italia repubblicana”, che è un’intervista di Foa a Natoli (lunga circa 300 pagine) registrata con un magnetofono a cavallo tra il 1993 e il 1994. La scelta del titolo potrebbe dare l’idea di un testo in cui le due voci si confrontano alla pari, ma in realtà è una ricostruzione delle esperienze di Natoli alla luce della curiosità di Foa, la cui vita emerge solo parzialmente, a fronte di una più sistematica ricostruzione dell’intervistato.

Non c’è alcuna estemporaneità nel lungo dialogo, che sorvola sulle vicende di quel tempo e si concentra sulla prima metà del XX secolo: il fascismo, la clandestinità, il carcere, la Resistenza, la nascita della Repubblica, la svolta di Salerno, i primi governi democratici, la repressione dei comunisti da parte dei governi democristiani, il primo centrosinistra italiano, la morte di Stalin, la morte di Togliatti, il Vietnam, l’espulsione del gruppo de il Manifesto e nella parte finale una breve riflessione sulla rivoluzione culturale di Mao. Su questo ultimo passaggio termina il libro, che più che chiudersi si interrompe. Resta la sensazione di aver solo sfiorato la profondità di due esperienze storiche che hanno attraversato attivamente la storia d’Italia, fuori dalle ricostruzioni schematiche e dalle semplificazioni.

Ingrao appare come una figura che affiancò Natoli nella nascita di una corrente di sinistra all’interno del PCI, dopo la morte di Togliatti, in risposta alle proposte della destra di Amendola. Rispetto a questi protagonisti del comunismo italiano, che avrebbero fatto scelte completamente diverse da quelle dei conversanti, non c’è alcun elemento polemico, nessun rancore. Non è un libro che ricostruisce gli eventi, dando giudizi sul passato. Si tratta di un interrogare se stessi sulle scelte fatte negli anni in cui andava definendosi la vita democratica della giovane Italia antifascista. Non si tratta neanche però di una riflessione astratta sul senso del fare politica. Quindi rispetto al carteggio tra Ingrao e Bettini, iniziato quasi negli stessi anni (1992) il livello della discussione è completamente diverso (come la natura del dialogo, articolato e intenso, ma concentrato in pochi mesi). Foa accompagna Natoli in una sorta di autobiografia critica sulle scelte di quest’ultimo negli anni ’50 e ’60, attraverso una più distaccata ricostruzione degli anni ’30 e ’40. I due appartengono a una generazione cresciuta all’interno del fascismo, “che non conosceva la democrazia”. Nel dialogo i primi anni di vita vengono considerati con lucidità ed una sincerità che lascia disorientati, per chi è cresciuto con i livelli dei confronti politici italiani del XXI secolo. Un esempio su tutti è il riconoscimento del trattamento privilegiato che viene loro riservato in carcere: «c'era una linea di classe nella polizia. […] Se uno era della borghesia lo rispettavano».

In tempi di anticomunismo da bancone del bar appare provocatoria la serenità con cui Natoli argomenta con lucidità il suo allontanamento dal Partito Comunista Italiano (e dal blocco sovietico). Anche qui nessun giudizio. Solo ricostruzione dei ragionamenti dell'epoca, senza negare i limiti soggettivi e senza sconfessare o rimpiangere niente.

La ricerca della verità come metodo rivoluzionario: assistere a questo dialogo riesce a relativizzare la dimensione del presente in un contesto storico più ampio. Una sorta di riscatto rispetto al pensiero unico che oggi porta anche la sinistra radicale ad essere subalterna anche da un punto di vista culturale.

Natoli e Foa sono distanti dalle esperienze del socialismo reale, ma anche i loro percorsi sono stati travolti dalle macerie del muro di Berlino. Sarebbe interessante arrivare a capire come abbia fatto il già segretario della Fiom a sostenere la guerra del Golfo del 1992.

Alla fine del libro sono riprodotte una serie di foto dei due autori. In una c'è la funzione del matrimonio tra Clio e Giorgio Napolitano, celebrata da Natoli. Lo stesso Napolitano che ha firmato la prefazione di un recente libro su Amendola. I ruoli che i protagonisti della prima repubblica hanno avuto nella seconda e le ultime scelte che alcuni di loro hanno fatto meriterebbe un'analisi attenta e complessiva.

Lo scorcio offerto dal Dialogo si limita però ad un periodo ben determinato, forse quello che i due riescono a ricostruire con maggiore serenità. Sono tanti gli spunti su cui riflettere, fra cui la reazione del PCI e della Cgil all’affacciarsi di una nuova generazione di operai comuni (diversi da quelli professionalizzati), che avrebbero scosso i meccanismi della rappresentanza, poi ulteriormente provati anche dal movimento studentesco e dall’emergere di numerose sigle extraparlamentari. Resta però la testimonianza di due antifascisti cresciuti nell’Italia fascista, il punto di vista parziale ma sincero di chi non costringe a leggere tra le righe, evitando rimpianti o rivendicazioni.

Il Dialogo sull’antifascismo di Foa e Natoli dovrebbe diventare un pezzo fondamentale nella formazione delle nuove generazioni, che però rischiano di non trovare il tempo di informarsi su chi fossero Togliatti e Secchia, troppo impegnate a seguire i tweet di Renzi o gli spettacoli di Grillo. Perché il nemico di classe ha vinto e la sconfitta dei comunisti italiani continua a travolgere ogni tentativo di ricostruzione. Prendersi il tempo e lo spazio per respirare l'aria del Dialogo è un modo per rivendicare e difendere la Costituzione scritta dalla Resistenza. Un'esperienza che fa bene alla mente e al cuore.

"Non si può costruire un'organizzazione se tu non dai un indirizzo politico generale, se tu non cerchi di formare un nucleo abbastanza grande di quadri convinti".

"La cancellazione è un modo di annientare i problemi o di impedire che sorgano, la gente semplifica la propria coscienza in questa maniera".

[Aldo Natoli]

Si consiglia la lettura anche dell'articolo di Alessandro Portelli da "il Manifesto" del 27 dicembre 2013, rintracciabile anche cliccando qui

Domenica, 12 Gennaio 2014 00:00

Il grande match

Una farsa.

I nomi dei personaggi sono irrilevanti, così come i dettagli della trama. 

Non è un film sui drammi della vecchiaia. Non è una pellicola sul pugilato. Sono due protagonisti indiscussi dell'immaginario collettivo che tornano sul ring al meglio delle loro possibilità (ossia malandati e provati dal tempo). Autoironia senza eccessi di cattiveria.

10 gennaio 2004, Simone Collini intervista Fausto Bertinotti su l'Unità.

«Il segretario di Rifondazione comunista sarà oggi e domani a Berlino, dove insieme ai segretari di altri sette partiti della sinistra europea, firmerà l’atto di nascita di un nuovo partito transnazionale. Il nome sarà semplicemente Sinistra europea

Non una nuova internazionale ma un'organizzazione che provi a costruire «un’altra Europa: dei popoli, della partecipazione, della pace».

In vista delle europee del 2004 il nuovo soggetto politico parte con un appello sottoscritto, tra gli altri, da:

  • Rifondazione Comunista (Italia), 
  • PCF (Francia, oggi parte del Front de Gauche), 
  • PDS (Germania, oggi parte della Linke), 
  • Izquierda Unida (Spagna), 
  • Synaspismos (Grecia, oggi parte di Syriza).

Delle 20 formazioni ufficialmente presenti solo 11 sono promotrici attive, mentre altri partiti (tra cui il PdCI di Diliberto) scelgono di rimanere osservatori. Non mancano le polemiche. 

I francesi optano per un referendum tra gli iscritti. In Italia molti denunciano l'operazione come un tentativo di liquidare la questione comunista, sostituendola con la non-violenza. Questo è stato messo in conto dai promotori del nuovo percorso: 

«C'é una precipitazione, nella scelta concreta che ci accingiamo a compiere. Ci sono alcune forze che avviano la marcia, imboccano una direzione, si assumono una responsabilità» (da Liberazione dell'11 gennaio 2004).

Questa accelerazione non ha ancora sanato le divergenze tra aderenti e osservatori. Non a caso il Partito della Sinistra europea non coincide con il GUE (il Gruppo Confederale della Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica), che raccoglie i deputati alla sinistra del PSE (quello di D’Alema, per semplificare in tempi di barbarie).

Nelle fasi iniziali il ruolo degli italiani non è mai stato marginale.

«Quando il PCI, rinominato PDS, decise di aderire all'Internazionale Socialista nel 1991, si ritrovò nel Gruppo Socialista del Parlamento Europeo. Allora iniziò un processo per unire tutte le forze della Sinistra non socialista». 

Così si apre la sezione “storia” sul sito dell'European Left.

Dopo un articolato percorso si arriva all’appello del 2004 e al primo congresso, che si tiene nel maggio dello stesso anno, eleggendo all'unanimità Fausto Bertinotti come presidente. L’allora segretario di Rifondazione darà le dimissioni una volta eletto Presidente della Camera nel 2006. Per i primi due anni non è però in dubbio la centralità dell'esperienza italiana, ritenuta all'avanguardia in termini di risultati elettorali e di elaborazione teorica, oltre che di sperimentazione politica (apertura ai movimenti, superamento di molte posizioni storiche del comunismo, dibattito sulla categoria dell'imperialismo, …). 

Oggi il Partito della Sinistra Europea ha deciso di candidare Tsipras alla presidenza della Commissione Europea, come abbiamo scritto sul Becco il 19 ottobre del 2013 (quasi per primi in Italia, a confermare quanto scritto nei prossimi paragrafi).

Il giovane politico, che ha sfiorato la vittoria alle ultime elezioni greche, destando scalpore e notizia in tutto il vecchio continente, viene dallo stesso Synaspismos che era a Berlino quel 10 gennaio del 2004. Lo stesso progetto della Sinistra Europea dà spunti decisivi per la nascita di Syriza, che vive forti momenti di difficoltà già nel corso dei primi mesi di vita, senza superare il 5% per numerosi anni, fino alla rapida ascesa del 2012 (quando diventa il secondo partito della Grecia). 

I sondaggi prevedono, nella maggior parte dei paesi, un netto avanzamento delle forze della Sinistra Europea alle europee del 2014. I partiti dell'European Left hanno effettivamente registrato un significativo aumento di consensi in tutto il continente "dall'inizio della crisi economica" (per citare un'espressione cara al giornalismo italiano).

L'avanguardia italiana nel frattempo si è dissolta. Non c'è nessun parlamentare italiano che si riconosce in quel progetto nato nel 2004. Gennaro Migliore, all’epoca tra i promotori più convinti, sostiene oggi una linea di avvicinamento di Sinistra Ecologia e Libertà al Partito Socialista Europeo. Bertinotti si è ritirato dalla politica attiva. Rifondazione Comunista è sparita dal livello istituzionale nazionale. A livello diffuso, nella percezione dei cittadini, si ignora il destino di quelle forze che dettero vita all'infelice esperimento de la Sinistra l'Arcobaleno (un tentativo di tradurre a livello nazionale la progettualità ipotizzata su scala europea).

Oggi in Italia si dibatte ferocemente tra i residui di quella che veniva chiamata "sinistra radicale".

Come per l'esperienza di Rivoluzione Civile ci si riduce all'imminente scadenza elettorale concentrandosi sul risultato immediato: far salire qualcuno sulla barca di Tsipras. Si ignora del tutto l'aspetto della progettualità, si preferisce evitare una seria riflessione su quello che è successo nel paese nel corso degli ultimi dieci anni. Sarebbe un ragionamento che coinvolgerebbe dirigenti ormai diversamente collocati, intellettuali, società civile e movimenti organizzati. Gli stessi limiti della Sinistra Europea non sono stati mai superati e non è ben chiaro quali siano le prospettive di un'esperienza che rischia di ripetere su scala continentale la mancata occasione della Rifondazione Comunista italiana.

Rimuovere la storia non aiuta mai, ce lo hanno ricordato gli ultimi appuntamenti elettorali.

Errare è umano, perseverare è diabolico. 

L’unico vero momento di ilarità condiviso dal pubblico della sala cinematografica è quello causato da una signora che rientrando dal bagno, dopo aver superato una decina di persone a sedere, incerta, guardando lo schermo più volte, finisce per domandare a tutta la sala: “ma non è Philomena”?.

Il resto delle risate non spezza una costante patina di malinconia, che avvolge lo spettatore dai primi minuti. L’uomo inadeguato rispetto alla felicità, messo in scena da un cast eccezionale, che incanta e regala una delle pellicole meglio recitate degli ultimi anni (anche se Bale supera tutti, all’altezza dei riflettori puntati su di lui).

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