Si tratta del primo melodramma a tema storico mai composto, ispirato alle vicende amorose che portarono l’imperatore romano Nerone a ripudiare la moglie Ottavia per sposare l’amante Poppea.
Scritta nel 1642 l’Incoronazione di Poppea è l’ultima opera di Claudio Monteverdi, straordinario artista tra il Rinascimento e il Barocco e pietra miliare della musica moderna. Di Monteverdi è infatti l’Orfeo, il primo vero e proprio melodramma musicale, pubblicato nel 1609 e che, nel 2009, ha inaugurato la trilogia monteverdiana alla Scala, in coproduzione con l’Opera Nazionale di Parigi, proseguita con Il ritorno di Ulisse in patria nel 2011 e L’incoronazione di Poppea, già rappresentata a Parigi nel 2012.
Opera spettacolare sotto tutti i punti di vista: nonostante l’orchestra ridottissima Monteverdi esprime in un prologo e tre atti tutte le passioni e i sentimenti dell’umana esperienza, grazie anche al libretto di Busenello, artista eccentrico e vivace, straordinariamente attuale. Fu il Carnevale di Venezia a fare da cornice all’Incoronazione, ed è certamente il clima particolarmente liberale e irreligioso della comunità intellettuale e artistica che risiedeva nella città lagunare (Busenello era accolito dell’Accademia degli Incogniti) a favorire un’opera dalle tinte quasi immorali.
Ambizione, lussuria, egoismo sono i valori condivisi da tutti i personaggi, esclusi pochissimi tra cui l’austero Seneca, macchietta stoica, incompreso, deriso, odiato e il solo a pagare con la vita per i maneggi di palazzo. Il libretto è denso di citazioni dotte implicite ed esplicite, Dante Alighieri compreso, tanto nei dialoghi di seduzione e passionalità tra Nerone e Poppea quanto nelle arringhe filosofiche di Seneca, ma non lesina affatto, anzi abbonda, in licenziosità erotiche e riferimenti piuttosto palesi alla bieca mondanità.
Di fatto, si crea una sorta di tripartizione etica dei personaggi, da una parte il popolino pratico e individualista, dall’altra la moralità religiosa, elevata e virtuosa, infine la spensierata sensualità e il dominio dei desideri di chi può ciò che vuole. La caratterizzazione sociale è marcata magistralmente dal registro linguistico e dal fraseggio musicale. Colti e raffinati gli altolocati e libidinosi nobili imperiali, comici e sboccati i servi, le guardie e le nutrici, nel mezzo gli amori lirici di Drusilla e di Ottone.
Monteverdi, che voleva la musica ancella della parola, costruisce stili musicali propri per ogni personaggio e per ogni situazione, trasformando il “recitar cantando” in un vero e proprio melodramma musicale che appassiona l’ascoltatore coinvolgendolo nell’azione.
La partitura, come usava all’epoca, lascia agli artisti ampi margini d’iniziativa, così da rendere necessario per ogni esecuzione la ricostruzione degli accompagnamenti, delle armonie e degli abbellimenti. Oltre a ciò dell’Incoronazione esistono due versioni assai simili, veneziana e napoletana, di cui occorre ricostruire la filologia. Per questi compiti è stato scelto il maestro Rinaldo Alessandrini, clavicembalista e direttore dell'orchestra Concerto Italiano, esperto di fama mondiale di musica rinascimentale e barocca.
Il risultato è eccellente e dona a Monteverdi tutta la freschezza e la limpidezza, quasi giocosa, della sua musica anche ai giorni nostri sempre più rivalutata.
Alla regia, invece, il maestro Robert Wilson, protagonista dirompente del mondo dello spettacolo contemporaneo, sempre all’altezza dei lavori con cui si cimenta. Un regista eclettico, sostanzialmente essenziale ed astratto, ma attento ai particolari scenici e ai dettagli narrativi e scrupoloso nel disegno di luci e colori. Il risultato, ancora una volta, è una rappresentazione profondamente contemporanea, senza tempo, ma con chiari e raffinati cenni alla realtà del racconto. Gli ambienti sono delimitati da grandi fondali che accennano le forme di portici e palazzi, arricchiti da pochi e semplici oggetti stilizzati, alberi, siepi e colonne, simmetrici e razionali. Il tutto su un pavimento e un fondale di luci nitide e violente, dal risultato rabbuiante ma non fosco, in un continuo contrasto con il trucco pallido dei volti, i colori scuri e chiari dei costumi e un generale clima di tensione cromatica. Magistrale la gestualità, lenta e curata al dettaglio, che rifinisce l’azione già raccontata dal canto e descritta dalla musica e che riprende le movenze della teatralità quasi meccanica delle origini, astratta e simbolica insieme. Completamente azzeccati i costumi, a metà tra l’astratto e il filologico. Barocco Nerone, con tanto di tacchetti e calzoncini a sbuffo, senza tempo Seneca, in una cappa di velluto nero, rivisitata la modernità di dame e nutrici, e assai teatrali le corazze opache dei gendarmi.
Gli unici limiti di questo allestimento sono una certa rumorosità dei movimenti degli oggetti che scorrono su binari o trascinati da cavi, e il rischio, per i riflettori seguipersona, di non mantenersi saldi.
Sotto le aspettative il cast, incostante nella qualità dell’interpretazione: se nell’insieme riesce a garantire un risultato complessivo gradevole, nelle singole parti i cantanti non paiono mantenere le stesse capacità durante tutta l’opera. In particolare non convincono Nerone/Leonardo Cortellazzi e Seneca/Andrea Concetti, in alcune frasi troppo poco curati negli abbellimenti, mentre eccellenti Ottone/Sara Mingardo e Drusilla/Maria Celeng, sempre limpidi e freschi. Notevole l’interpretazione di Pino De Vittorio, nei panni della nutrice di Ottavia, d’altro canto un poco deludenti Poppea/Miah Persson e Ottavia/Monica Bacelli.
La trama dell’opera è ricavata dalle notizie storiche di Tacito, Svetonio e Cassio Dione, riadattate sul tema amoroso e riambientate in una sola giornata, con protagonisti Nerone/tenore, l’imperatrice Ottavia/soprano, Poppea/soprano amante di Nerone, l’amante di Poppea Ottone/contralto, la dama di corte Drusilla/soprano innamorata di Ottone, il filosofo e precettore di Nerone Seneca/basso e diversi personaggi minori tra cui le nutrici di Poppea e di Ottavia, quest’ultima comicamente affidata a una voce maschile, le guardie di Nerone, i servi di Seneca, il valletto dell’imperatrice e altri.
Nel prologo parlano le personificazioni di Amore, Fortuna e Virtù, che si sfidano ad influire sulle vicende del genere umano.
Il primo atto si apre con lo scoraggiamento di Ottone, non corrisposto dalla gentildonna Poppea e le allusioni delle guardie di Nerone agli amori illeciti tra il sovrano e Poppea. Alle luci dell’alba Nerone e Poppea si salutano struggendo d’amore e di passione, per la verità molto sensuali durante tutta l’opera. Poppea è decisa a diventare moglie dell’imperatore, convincendolo a ripudiare Ottavia, nonostante le preoccupazioni della nutrice Arnalta. A palazzo nel frattempo Ottavia si dispera, è a conoscenza della relazione fedifraga del marito e teme di essere ripudiata: mentre la nutrice, campione di saggezza popolare, la induce a vendicarsi, Seneca le impartisce una severa quanto inefficace lezione di stoicismo e si lascia convincere da Ottavia a intercedere per lei presso Nerone. L’imperatore, tornato a palazzo, discute con Seneca del ripudio di Ottavia e delle nozze con Poppea ma il dialogo si risolve in un brusco litigio, da una parte i moniti morali del filosofo, che ragguarda Nerone sull’etica del potere politico, dall’altra l’ostinata e superba volontà di Nerone, consapevole del suo potere assoluto e della materialità degli strumenti di dominio: Zenone di Cizio ed Epicuro ancora una volta in lizza, ma questa volta, forse, con lo zampino del Machiavelli. Poppea, venuta a conoscenza dell’intercessione di Seneca, convince Nerone ad eliminarlo, onde evitare all’imperatore l’onta di essere tacciato d’obbedire ad un precettore. Nerone, follemente e carnalmente invaghito di Poppea, decide la morte del suo vecchio maestro. Esce l’imperatore ed entra il gentiluomo Ottone, risolto a dichiararsi un’ultima volta all’amata Poppea, ma quest’ultima irriconoscente lo scaccia con sdegno. Ottone, sempre più disperato, teme che Poppea una volta diventata imperatrice lo eliminerà e pensa di agire per primo. Sul punto giunge la dama Drusilla, da tempo invaghita di Ottone, il quale tenta di convincersi a corrisponderle l’amore che, tuttavia, non può non riservare che alla sola Poppea.
Il secondo atto si apre con la premonizione della morte a Seneca da parte di Mercurio, su invito di Pallade. Il filosofo stoico non solo non se ne preoccupa, ma se ne rallegra addirittura, poiché finalmente può dimostrare coi fatti le sue teorie sulla vita, la morale e la virtù. Quando il capitano delle guardie gli reca infine l’ordine di suicidarsi, egli gioisce e lo informa d’essere pronto a morire poiché già avvisato dagli dèi. Chiamati amici e servi, che non capiscono e anzi rifiutano la serenità di Seneca, egli è pronto a morire svenandosi nell’acqua tiepida. Nerone, invasato dall’amore per Poppea, festeggia della morte del suo maestro e canta col poeta Lucano canzoni erotiche e spensierate. Intanto, nei giardini di palazzo, Ottone si rende conto di non poter odiare Poppea e di non poter amare nessun’altra, ma Ottavia, al colmo d’ira per i continui affronti di Nerone, gli intima di eliminare la rivale uccidendola travestito da donna, per evitare d’essere riconosciuto. Intanto a palazzo Drusilla suscita l’invidia della nutrice di Ottavia, sbeffeggiata da un paggio per la sua vecchiezza. Ottone, riluttante al massimo grado, è costretto ad obbedire al tragico ordine e, con la complicità di Drusilla, indossate le vesti di questa si appresta a pugnalare Poppea. Giunto dove Poppea sta riposando sola, però, viene interrotto dal dio Amore che lo frena subdolamente e, avendo troppo indugiato, viene sorpreso da Arnalta e dalle guardie che riconoscono però solo le vesti di Drusilla.
Il terzo e ultimo atto risolve l’intreccio di amori. Le guardie arrestano Drusilla sospettata del tentato omicidio di Poppea e la dama, interrogata e minacciata da Nerone, non solo non tradisce Ottone e Ottavia, ma si confessa colpevole. Ottone, colpito dalla forza di Drusilla, confessa tutta la tresca e Nerone, affascinato dall’innocente amore di Drusilla, la scagiona. Ottone viene invece condannato all’esilio coatto, al quale però vuole associarsi Drusilla, incapace di separarsi dall’amato. Per Ottavia la sorte non è migliore, alle guardie viene ordinato di condurla su una barca e lasciarla alla deriva, spogliata di beni e ricchezze. Poppea sta finalmente vedendo coronate le sue aspirazioni, con la contentezza di Arnalta che vagheggia sul suo prossimo stato, e lo sconforto di Ottavia costretta ad abbandonare Roma. Nerone riunisce infine consoli e magistrati e convola a nozze con Poppea, incoronata imperatrice, con tanto di squilli di tromba e duetto amoroso.
Travolgente l’applauso finale, che certamente meritano le eccelse note del “divino Claudio”.