Verdi stesso pretese di approntare la trama e i versi assieme al librettista Ghislanzoni per un risultato che fosse perfetto, secondo le esigenze del compositore ormai al colmo della gloria. Addirittura, per la prima della Scala del 1872, volle scegliere personalmente il direttore d’orchestra e il cast di interpreti. Il successo fu unanime e grandioso.
Aida prende senza dubbio le mosse dall’ambientazione orientaleggiante, di gusto egittologico (tanto caro ai francesi, ancora eredi delle imprese napoleoniche), ben più che accennato, ma anzi esplicitamente e continuamente richiamato. Certo, le “foreste imbalsamate” e le “fresche valli” difficilmente descriverebbero scientificamente il paesaggio etiope, come del resto Vulcano non è il tipico nome di divinità egizia, ma è anche vero che Verdi, mai stato in Africa o in Medio Oriente, si impegna a dare sfumature armoniche chiaramente evocative e di sicuro effetto. Unica eccezione il coro dei sacerdoti nella scena del giudizio, un vero e proprio canto gregoriano monodico, che però forse non a caso è un riferimento alla musicalità sacra occidentale.
Proprio la famosissima marcia trionfale viene fatta eseguire da una banda di ottoni tra cui le “Aida-trompeten”, commissionate appositamente per l’occasione al noto Adolphe Sax e ispirate alle antiche lunghe trombe egizie nitide e squillanti, ma dall’estensione limitata. Le “trombe di Verdi” sono attualmente utilizzate esclusivamente per l’esecuzione della marcia trionfale di Aida.
L’ambiente esotico non è però tutto, sulla scena si intersecano grandi temi tragici, il contrasto tra legge positiva e legge naturale e il contrasto tra mondo interiore e mondo esteriore, l’amore non corrisposto e l’amore impossibile. Da una parte la legge d’Egitto, divina e immutabile, severamente applicata e custodita dai sacerdoti, dall’altra l’amore non corrisposto della principessa Amneris per il condottiero Radames. Da una parte il dovere verso la patria etiope vilipesa e saccheggiata dai faraoni, dall’altra l’amore impossibile tra Radames e la schiava Aida. E non manca in filigrana il tema “risorgimentale” cui non può rinunciare Verdi, alfiere dell’unità d’Italia, anche musicalmente.
Se Ronconi e Zeffirelli ci avevano abituati alla teatralità fastosa, in questa inedita produzione del Teatro alla Scala la regia di Peter Stein decide di prediligere l’intimità. Del resto Aida, per quanto modello di grand-opéra italiano, è anche per eccellenza l’opera verdiana dei duetti e della pluralità di punti di vista.
Nelle scene d’insieme Stein valorizza gli individui, i loro drammi interiori. Non nasconde niente dietro lo sfarzo trionfale e mostra vividamente le umiliazioni di Aida, i maneggi disperati di Amonasro, il turbamento di Radames e la gelosia infausta di Amneris. Quasi scompaiono il Faraone e il Gran Sacerdote, paradossalmente campeggia al centro della scena la sacerdotessa di Ftha, parte minore solitamente relegata nell’ombra.
Il gioco di chiari e scuri, di linee spezzate e di figure geometriche, alcune proiettate sul sipario prima delle scene, è il continuum tra una rivisitazione mitologica (a metà tra l’innovazione e il gusto ottocentesco) dell’arte egizia e un richiamato simbolismo ermetico.
Si definisce un “conservatore” Peter Stein, ma certamente sa di aver compiuto una vera e propria rivoluzione, e con successo.
Essenziale e sintetico, ma mai astratto. Le forme architettoniche e gli oggetti restano quasi filologici, persino i costumi (quelli maschili a dire il vero un po’ eccessivi) costruiscono un quadro d’insieme del tutto pertinente. I vuoti di scena sono colmati dal buio cupo che incornicia le azioni e i luoghi e che, talvolta, adombra gli stessi personaggi. Le ansie che opprimono Aida sono costantemente esibite, ogni personaggio ha i suoi crucci da mostrare per poter ricreare un ambiente di totale e organica tensione. Se le invocazioni ricorrenti dei personaggi sono rivolte alla pietà dei Numi, vero è che la pietà e i Numi sono del tutto assenti e indifferenti e Peter Stein, con spirito pratico, li elimina dalla scena. Niente più sfingi, niente più colossi.
L’opera è in quattro atti, suddivisi in sette scene. Verdi compose sia un preludio che una sinfonia iniziale, ma optò per il preludio, scelta poi sempre confermata dai direttori e dai registi.
L’Egitto è in guerra con gli Etiopi e il Gran Sacerdote Ramfis informa il condottiero Radames che presto al Faraone, consultata la dea Iside, sarà comunicato il nome del capitano delle armate. Radames spera di essere il prescelto e di ricoprirsi di gloria così da esaltare l’amore per Aida, schiava della principessa Amneris. Giunte costoro, Amneris si accorge che lo sguardo eccitato di Radames, da lei amato, non è però a lei diretto e, temendo di avere qualche rivale, si rivolge sospettosa, ma amichevole, ad Aida. Sopraggiunge un messaggero dal fronte: gli Etiopi alla guida del Re Amonasro hanno varcato il confine e muovono assedio contro Tebe. Il Faraone finalmente nomina il suo generale di guerra, il valoroso Radames. Nel tripudio collettivo Aida è schiacciata tra l’amore per Radames e l’amore per la sua Etiopia: tra gli Egiziani nessuno sa che ella è figlia di Amonasro stesso. Non sapendo come risolversi, invoca disperata la compassione divina.
Mentre una sacerdotessa officia alle cerimonie per il dio Ftha, nel tempio di Vulcano Ramfis consegna a Radames le insegne e le armi regali. Egli ha le sorti d’Egitto nelle mani, l’amore di Aida nel cuore e gli Dèi a protezione celeste.
La guerra è finita con la schiacciante vittoria egiziana e Amneris riposa nelle stanze imperiali di Menfi circondata da ancelle e giovani schiavi danzanti in attesa del trionfo di Radames. Presentendo che tra il condottiero e Aida vi sia amore, è decisa a smascherare e umiliare la sua schiava. Fingendole vicinanza per la sconfitta del suo popolo le rivela la morte di Radames. Aida si strazia di dolore, ma nega che sia per Radames. Amneris allora le confessa che Radames sta tornando in pompa magna e l’intrattenibile esultanza di Aida la denuncia definitivamente. Amneris al colmo d’ira non può trattenersi e giura vendetta contro la misera Aida che dapprima si erge fiera ma subito, compunta, vaneggia il suicidio e descrive il suo triste stato di amante dell’uomo che ha appena devastato la sua patria.
Ha luogo il trionfo. Sullo spalto il Faraone e Amneris assistono circondati da dignitari, sacerdoti e guardie. Nell’esultanza del popolo e con l’accompagnamento della fanfara, sfilano le armate egiziane. Radames entra col giubilo popolare e subito lo accoglie Amneris estasiata e desiderosa di mortificare Aida. Il Faraone riconoscente promette a Radames di esaudire ogni suo volere ed egli, seguito da un nugolo di ufficiali prigionieri, ne chiede la liberazione, pensando così di fare colpo sull’etiope Aida. Tra costoro Aida aveva infatti riconosciuto il padre, di cui però nessuno conosce la regale identità, che facendosi portavoce degli sconfitti ha interceduto presso lo stesso Faraone. I sacerdoti, sdegnati, invocano la pena capitale, mentre il popolo, impietosito, ne accoglie le istanze. Il Faraone infine delibera: i prigionieri siano salvati, ma Aida e suo padre restino schiavi a corte e Radames, il clemente liberatore degli etiopi, sia congiunto all’erede al trono Amneris. Aida, ancora una volta, è disperata e non sa se gioire per la vita del padre o abbattersi per le imminenti nozze di Radames.
Sulle notturne rive del Nilo Amneris, scortata dal Gran Sacerdote e dalle guardie imperiali, prega Iside per la felicità del proprio matrimonio. Nella penombra giunge Aida, che attende Radames, ma viene sorpresa dal padre Amonasro. Il Re degli Etiopi ha colto al volo i sentimenti della figlia e ne ha subito riconosciuto la situazione, per questo le rivela che solo col suo aiuto il loro popolo potrà rialzarsi e vendicarsi. Un nuovo esercito di etiopi li attende, pronto ad attaccare gli egiziani, ma per non sprecare l’occasione occorre che Aida si faccia rivelare da Radames i piani di guerra segreti. Aida dapprima rifiuta, ma non può contrastare il padre che le rammenta le atrocità subite dalla sua terra e dai suoi cari.
Quando giunge Radames, Amonasro si nasconde e può ascoltare il colloquio tra i due innamorati. Aida accoglie freddamente l’amato e lo invita ad andarsene, egli però le confessa i suoi sentimenti e le confida che non sposerà Amneris. Gli egiziani sanno della nuova iniziativa bellica etiope e stanno per contrattaccare, Radames chiederà in premio per la sua vittoria la mano di Aida invece di quella di Amneris. La schiava Aida lo ammonisce per la velleità del suo piano e, piuttosto, lo invita a fuggire in Etiopia con lei. Radames non vuole disonorare la patria, ma alfine acconsente, ora deve solo dire ad Aida quale sentiero percorrere per evitare le schiere egizie in marcia. L’armata di Radames imboccherà le “gole di Napata”, tanto basta ad Amonasro per uscire allo scoperto e rivelare il suo nobile lignaggio al condottiero. Radames è sconvolto per aver così scioccamente tradito i suoi, ma mentre Aida e Amonasro lo confortano, sopraggiunge Amneris che denuncia il complotto. Le guardie inseguono Amonasro e Aida in fuga, Radames è condotto in custodia da Ramfis.
Nel palazzo reale Amneris è pentita del suo folle gesto, ha gettato l’amato fra le braccia del boia. Tentando l’ultima speranza fa convocare Radames in ceppi e gli chiede di rinunciare ad Aida: se acconsentirà a soffocare il suo amore, Amneris lo farà salvo. Radames non può rinunciare all’amata, tanto più ch’ella è ancora viva e in fuga, come lo informa la stessa principessa. Egli spera solo che Aida torni sana e salva dai suoi cari e di spegnere con la morte il proprio disonore.
Lo stuolo dei sacerdoti è pronto a giudicare Radames, senza pietà. A nulla valgono le imprecazioni di Amneris che implora Radames di dichiararsi innocente e i sacerdoti di non punirlo. Per tre volte il Gran Sacerdote chiede a Radames di discolparsi, per tre volte egli tace. I sacerdoti lo condannano con infamia ad essere sepolto vivo sotto l’ara del tempio di Vulcano. Amneris urla il suo anatema a Ramfis, vanamente.
Nel tempio di Vulcano i sacerdoti e le sacerdotesse invocano Ftha, nella cripta ormai sigillata Radames si dispera. Inaspettatamente, però, dall’ombra sorge uno spettro: è Aida, che trattasi in salvo dalle guardie si è nascosta proprio lì, avendo presagito le sorti dell’amato. I due sono pronti a morire insieme, ormai puri e finalmente in pace, mentre sull’altare Amneris si accascia definitivamente distrutta.
Nell’interpretazione licenziosa di Stein, comunque abbastanza rispettosa delle indicazioni sceniche, Amneris chiude l’opera svenandosi fino alla morte.
Tra i personaggi spicca notevolmente proprio Amneris, Anita Rachvelishvili, mezzosoprano georgiano già incensata per la Carmen di qualche anno fa e che ora conferma definitivamente le sue doti brillanti. Una voce drammatica e piena, dizione perfetta e gestualità teatrali, il suo talento è destinato a crescere.
Non è dato sapere se potrà esibirsi alla Prima del 15 febbraio il tenore Fabio Sartori, Radames, che a causa di un’influenza è stato sostituito nella Prova Generale all’ultimissimo minuto da Massimiliano Pisapia, davvero bravo per la parte “improvvisata”.
Una voce davvero fenomenale anche quella del soprano Kristin Lewis, fin troppo chiara e limpida per il ruolo di Aida, ma capace di spaziare con agilità dai gravi agli acuti. Bravissima anche nella recitazione. Unico difetto la dizione un po’ forzata.
Ottimi il Faraone, Carlo Colombara, e Amonasro, George Gagnidze, anche se possono senza dubbio spendersi ulteriormente.
Imperdonabile invece il basso Matti Salminen, nel ruolo del Gran Sacerdote Ramfis, che ha peccato di dizione e di intonazione. Fuori forma anche nella recitazione e in generale non adeguato al ruolo.
Sotto le aspettative il corpo di ballo dell’Accademia del Teatro alla Scala, chiamato ad esibirsi nei frequenti balletti che costellano Aida: se è possibile perdonare i piccoli schiavi di Amneris per l’età davvero giovane, più grave è l’esibizione troppo manchevole delle più grandi sacerdotesse di Ftha.
L’esecuzione del direttore Zubin Mehta, chiamato in luogo di Lorin Maazel recentemente scomparso, è serafica e lineare, poco in linea con l’usuale idea di musicalità verdiana degli ascoltatori e degli interpreti italiani. Mehta pare voler sottolineare l’aura di mistica irrealtà che echeggia per tutta l’opera domando il Verdi esplosivo ed esaltando gli aspetti più lirici. Il risultato c’è, ma occorre abituarcisi. Di sicuro il maestro conserva nella bacchetta una carriera che non può far dubitare dell’eccellente direzione.
L’esito complessivo dell’allestimento è di pieno successo, e strappa un applauso caloroso. Il merito è tutto di Stein e di Mehta, che hanno davvero radicalmente innovato l’interpretazione di Aida, ma il confronto con Ronconi e Zeffirelli, anche per i direttori e i cast che hanno impegnato, resta nonostante tutto non così facile da aggiudicarsi.
Noi, con più modestia, ci limitiamo a ripetere, com’è tradizione alla Scala: "viva Verdi!".