Sabato, 05 Dicembre 2015 00:00

L’elisir d’amore di Donizetti alla Scala nella regia fiabesca di Asagaroff

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Dopo l’esibizione sorprendentemente riuscita all’Aeroporto di Malpensa, allestita in forma di performance all’aperto per celebrare l’Expo di Milano, L’elisir d’amore torna sul palco del Piermarini in una versione che ha girato i maggiori teatri d’Europa già dal 1998.

È a partire dalle bozze del costumista Tullio Pericoli, che aveva collaborato con la regia di Ugo Chiti nel 1998 e nel 2001 e di Laurent Pelly nel 2010, che Grischa Asagaroff ha voluto produrre questa nuova messinscena.

Una versione che fa il verso ad un ottocento fiabesco, da illustrazione per bambini, in cui colori sgargianti e tinte pastello, abiti dalle forme voluminose e accentuate ed oggetti di scena puliti e semplici, si uniscono alla recitazione da commedia dell’arte dei personaggi.

Del resto l’opera del 1832 si presta benissimo a questa interpretazione disimpegnata. Gaetano Donizetti è stato un maestro sommo del genere detto melodramma giocoso, in cui il compositore bergamasco fondeva la tradizione italianissima dell’opera buffa con una spiccata vena patetica e amorosa: un genere di commistione di generi che vantava celebri precedenti, come il Don Giovanni di Mozart e il Matrimonio segreto di Cimarosa e che avrà notevoli echi, fino al Falstaff di Verdi e al Gianni Schicchi di Puccini.

La malinconica visione dell’amore, del destino e dei turbamenti d’animo ha quasi una funzione formativa per i personaggi che, di fatto, sono inseriti in un contesto decisamente comico. È al sorriso che ci si deve arrendere, è alla risata che deve tendere l’animo.

La partitura di Donizetti è in questo senso sublime. Le melodie non si contano, gli scherzi e le trovate retoriche fanno a gara con i coevi capolavori rossiniani, l’alternanza di frasi di notevole complessità con temi meno elaborati crea una continua e felice tensione narrativa. Nessun momento dell’opera è scevro di interessanti elementi di introspezione quasi psicologica, nonostante il carattere assai leggero della storia.

Il libretto di Felice Romani si basa su un lavoro precedente, francese, del drammaturgo Eugene Scribe e del compositore Daniel Auber, e in pochissimi giorni fu tradotto e adattato per il pubblico italiano e per le esigenze compositive di Donizetti. Si tratta di un tipico intreccio degli equivoci, in cui i malintesi attorcigliano la storia d’amore sempre più fino alla risoluzione finale, in cui tutti vivono felici e contenti.

Nemorino è segretamente innamorato, non corrisposto, della più bella ragazza del villaggio, Adina, agiata e indipendente. Un giorno i popolani la sentono leggere la storia del filtro amoroso che unì i leggendari Tristano e Isotta e il povero credulone Nemorino cova l’idea di procurarsene uno.

Di Adina si invaghisce presto il sergente Belcore, giunto con il suo plotone nel villaggio per arruolare nuove reclute. Belcore la corteggia vanamente, fino a chiedere all’avvenente fanciulla di sposarlo.

Nel frattempo giunge al paese il fantomatico dottor Dulcamara, un imbroglione patentato in costante fuga dalla legge e dai clienti truffati, che spaccia per filtri miracolosi i suoi banali intrugli. I contadini si lasciano facilmente abbindolare da Dulcamara che riesce a vendere al buon Nemorino una bottiglia di bordeaux come filtro d’amore. Il ciarlatano avverte però lo squattrinato Nemorino che l’effetto dell’elisir ha bisogno di un giorno di tempo.

Nemorino, trangugiando avidamente la bottiglia di elisir, cioè di vino rosso, si ubriaca e combina una pessima figura con la bella Adina. La ragazza, indispettita dal comportamento del giovane contadino, decide di sposarsi con il sergente Belcore il giorno stesso. Il povero Nemorino, tornato lucido, si dispera e per poter affrettare l’effetto del filtro d’amore pensa bene di acquistarne una nuova bottiglia ma, non avendo soldi, si arruola nell’esercito spendendo presso Dulcamara i gettoni di reclutamento.

Mentre fervono i preparativi delle nozze tra Adina e Belcore, giunge al villaggio la notizia inaspettata che Nemorino ha appena ricevuto una grossa eredità da un ricco e sconosciuto zio appena defunto. Le ragazze del paese, sognando gli agi della bella vita, corrono subito attorno a Nemorino, ignaro di tutto, per catturarne l’attenzione. Nemorino, pazzo di gioia, si convince della buona riuscita del filtro amoroso e spera che l’effetto sortisca anche con la sua unica vera amata.

All'assurda scena assistono Adina e Dulcamara, anch'essi all'oscuro della notizia. La ragazza si scopre gelosa e morsa d’invidia, mentre l’incallito truffatore, al colmo d’incredulità, senza potersi spiegare l’accaduto racconta ad Adina di aver venduto a Nemorino un elisir d’amore. Adina, mossa da pietà, convince Belcore a venderle il contratto d’arruolamento di Nemorino ma, orgogliosa qual è, non riesce a confessare al ragazzo i suoi veri sentimenti.

Nemorino è deluso, il filtro funziona con tutte fuorché con la sua Adina: decide così di andarsene per sempre dal paese.

Finalmente Adina, per non perdere per sempre colui che l’ha sempre desiderata nonostante ogni avversità, conferma a Nemorino il suo amore e i due possono finalmente dichiararsi reciprocamente ogni gioia. A Belcore, scornato ma non afflitto, non resta che cercare nuove avventure amorose nel prossimo villaggio. Dulcamara, ormai convinto di essere davvero un potente alchimista, è più che mai deciso a procurarsi sempre maggiori fortune con i suoi filtri già famosi in ogni dove.

In buca d’orchestra il direttore Pietro Mianiti, in sostituzione del maestro Fabio Luisi, con una bacchetta pacata e morbida, ha interpretato in maniera un po’ accademica, ma certamente dinamica, la partitura di Donizetti.

Sul palco pressoché sgombro, in cui solo delle scene dipinte su pannelli fissi situano la vicenda ai margini di un villaggio di campagna nel primo atto, e attorno a grandi tavolate imbandite a nozze, come in una festa di paese, nel secondo atto, si sono ben distinti tutti gli interpreti.

Ottimo tutto il coro, sotto la direzione del maestro Casoni.

Non abbiamo potuto ascoltare Vittorio Grigolo, bravo cantante ma dalla personalità piuttosto eccentrica, e la parte di Nemorino è stata impersonata dal tenore Atalla Ayan, dalla voce squillante e precisa, anche se un po’ debole nelle arie che rendono celebre l’opera. Ha fornito buona prova di sé nella celeberrima “Una furtiva lagrima”, reggendo il paragone con il pantheon della lirica.

Ottima Eleonora Buratto, grande soprano, dalla notevole tessitura e dai colori espressivi. Attrice espansiva e di buon carattere.

Molto bene il baritono Mattia Olivieri, eccellente nell’esibizione sia per quanto riguarda la presenza scenica sia come cantante, nel ruolo del sergente Belcore.

Divertente e simpatico Michele Pertusi, Dulcamara, basso buffo di notevole verve comica e di spiccata espressività vocale. In piena forma nella parte semiseria.

Brava Bianca Tognocchi, nella parte di Giannetta, la popolana che per prima scopre la notizia dell’eredità di Nemorino e per prima lo corteggia. Nel breve ruolo si è distinta per una bella e intesa vocalità.

Ultima modifica il Venerdì, 04 Dicembre 2015 15:09
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