Non accade spesso di poter sperimentare un’opera d’arte esattamente come è stata pensata dall’autore, senza che sia stata oggetto di modifiche, spesso anche radicali, che la rendano più appetibile al pubblico. Grazie ad un progetto del Conservatorio di Musica Luigi Cherubini di Firenze coordinato dal M° Giovanni Del Vecchio, sabato 6 Ottobre 2018 presso il Teatro dell’Affratellamento è stato possibile assistere alla prima rappresentazione di un’opera di questo tipo, in versione per ora semi-scenica.
“L’Italiana in Algeri” tra stereotipi liberatori e regie discutibili
La più recente opera cui il munifico biglietto di cui ho già parlato mi ha dato accesso, che incidentalmente marca anche la chiusura della stagione operistica pisana (sì, è stato breve ma intenso, ok, più breve che intenso, un giorno vivrete anche voi a Pisa e allora capirete) è L’italiana in Algeri (1813) di Gioachino Rossini.
Tuco in Love – la subdola rivoluzione di un’opera western
Grazie al gradito dono di un abbonamento all’opera da parte di un’anziana amica di famiglia ho avuto la possibilità di andare a vedere una serie di opere di cui per essere del tutto onesto non mi sarei scomodato a pagare il biglietto. La prima è stata l’Iris di Mascagni – e la mia idea che non valga i soldi del biglietto ne esce immutata. Domenica scorsa è stato il turno della Fanciulla del West di Puccini – un autore che per qualche motivo ho sistematicamente sottovalutato, e per quanto la resa sia stata tutto men che perfetta, l’opera è senza dubbio una di quelle che val la pena di vedere, tanto per il suo innegabile valore musicale, quanto per degli interessanti aspetti nella caratterizzazione dei personaggi.
Se Carmen non muore – il politicamente corretto e la cultura silenziata
Si racconta che Lee Van Cleef, durante le riprese di “Il buono, il brutto, il cattivo”, si trovava estremamente a disagio nella scena in cui il personaggio che interpretava, il sociopatico assassino Sentenza, picchia una prostituta, interpretata da Rada Rassimov. Questo disagio rendeva la scena assolutamente non credibile, al punto che la Rassimov stessa dovette incitarlo a picchiarla in maniera più convincente; la versione finale della scena in questione non mostra nulla delle riserve di Van Cleef. Questo significa che Van Cleef sia riuscito ad essere un uomo violento, o che “Il buono, il brutto, il cattivo” sia apologetico nei confronti della violenza sulle donne? No. Significa semplicemente che Van Cleef era un ottimo attore, che è riuscito ad interpretare una scena credibile di un ottimo film tenendone fuori il suo disagio personale.
Inaugurata nel 1845 e ripresa fino al 1865 la Giovanna d’Arco di Giuseppe Verdi mancava al Teatro alla Scala da ben 150 anni. Ci se n’era dimenticati senza troppo sforzo, giudicandola senza entusiasmo e con molte critiche, ed ora torna alla ribalta con un allestimento eccezionale: sul podio il maestro Riccardo Chailly e sul palco niente meno che Anna Netrebko, Francesco Meli e Carlos Alvarez.
A volere una ripresa tanto coraggiosa è stato proprio Chailly, che inaugura ufficialmente la sua prima stagione da Direttore principale del Teatro. Il maestro milanese aveva già diretto Giovanna d’Arco al Comunale di Bologna, nel 1989, nella storica produzione di Werner Herzog, e oggi vi ritorna con l’ausilio dei registi Moshe Leiser e Patrice Caurier, in debutto alla Scala.
Dopo l’esibizione sorprendentemente riuscita all’Aeroporto di Malpensa, allestita in forma di performance all’aperto per celebrare l’Expo di Milano, L’elisir d’amore torna sul palco del Piermarini in una versione che ha girato i maggiori teatri d’Europa già dal 1998.
È a partire dalle bozze del costumista Tullio Pericoli, che aveva collaborato con la regia di Ugo Chiti nel 1998 e nel 2001 e di Laurent Pelly nel 2010, che Grischa Asagaroff ha voluto produrre questa nuova messinscena.
Una versione che fa il verso ad un ottocento fiabesco, da illustrazione per bambini, in cui colori sgargianti e tinte pastello, abiti dalle forme voluminose e accentuate ed oggetti di scena puliti e semplici, si uniscono alla recitazione da commedia dell’arte dei personaggi.
Al Teatro alla Scala Giacomo Puccini è sempre di casa, un suo busto trova posto nel foyer Toscanini al terzo ordine dei palchi e molte sue opere vi hanno trovato la propria prima rappresentazione. Quest’anno il palco ha già ospitato Turandot, con il finale di Berio, e in questi giorni calcano la scena le vicende romane di Tosca.
Opera dalla gestazione lunga e travagliata Tosca è senza dubbio un capolavoro sommo della musica operistica, tra le più rappresentate al mondo con clamoroso successo.
Quella allestita alla Scala per il 22 giugno è una produzione sui generis, del regista Luc Bondy, ripreso da Marie-Louise Bischofberger, con le scene di Richard Peduzzi.
È la stessa produzione che calca le scene ormai da qualche anno quella della "Lucia di Lammermoor" in programma al Teatro alla Scala nelle prossime settimane, sebbene ampiamente “ricostruita” per l’occasione dalle maestranze scaligere. Una regia piuttosto tradizionale, made in USA, della nota Mary Zimmerman.
L’allestimento, di facile consenso per il grande pubblico, può suscitare senza dubbio qualche perplessità tra gli appassionati del genere, ma ha il pregio di non disturbare con stravaganze e velleità un’opera tanto raffinata e melodrammatica.
Era il 2007 quando Stéphane Lissner, Sovrintendente del Teatro alla Scala, commissionò al compositore Giorgio Battistelli un’opera per l’occasione dell’Esposizione Universale. Un lavoro teatrale e musicale che riguardasse il tema di Expo 2015, “nutrire il pianeta - energia per la vita”, e che fosse nuovo, moderno, attuale.
I lavori di scrittura del libretto e degli spartiti furono travagliati fin dall’inizio, con tensioni tra compositore, librettista e i registi che si sono susseguiti nel ruolo. Quando infine si approdò alla scelta di Robert Carsen alla regia e il libretto era completato, mancavano ancora numerose pagine di partitura. Il Teatro alla Scala, nel frattempo, scelse di inaugurare l’Expo con la Turandot di Puccini, diretta da Chailly, e il finale inedito di Luciano Berio.
Il maestro Battistelli ha lavorato all’orchestrazione di "CO2", titolo che riprende la formula chimica dell’anidride carbonica, fino agli ultimissimi giorni di prova, a qualche giorno di distanza dalla prima esecuzione, riducendo, allargando, tagliando e riscrivendo numerosi fogli. Il prodotto scaturito da una gestazione tanto lunga è senza dubbio, e non poteva non esserlo, di notevole qualità e pregio artistico.
Una Turandot che farà storia quella diretta da Chailly, col finale di Luciano Berio, in scena al Teatro alla Scala per l'apertura di Expo. Un Puccini insolito, nuovissimo, rivisitato, che sfonda i confini del melodramma italiano e dirompe nell’espressionismo musicale, nella politonalità che strizza l’occhio alla dodecafonia.
Non è forse un allestimento eccezionale, ed è presumibile che il giudizio complessivo della critica non sarà granché positivo, ma senza dubbio lascerà il segno nella filologia pucciniana e nell’esecuzione del Puccini maturo il lavoro di ricerca intima, misura per misura, che Riccardo Chailly ha operato sulla partitura della Turandot dalla prima all’ultima nota, fino a congiungerla con il recentissimo spartito conclusivo di Berio.
Lo spettacolo è la riedizione aggiornata di quello che andò in scena ad Amsterdam nel 2002, con la regia di Nikolaus Lehnhoff, cui sovrintese lo stesso Berio, scomparso soltanto l’anno successivo.
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